Angela Braghin sulla Nonviolenza e sulla figura del Mahatma Gandhi con riferimenti all’opera di Martin Luther King
Premessa. Quella che segue è una breve sinossi sulla Nonviolenza tratta dal testo “Pace e guerra nel mondo contemporaneo” della dottoressa Angela Braghin, utile per “spiegare” Gandhi “politicamente”- Intervento per la giornata mondiale sulla Nonviolenza nell’ambito del convegno di Roma: “Ecologia profonda, alimentazione naturale, spiritualità senza frontiere” del 2/4 ottobre 2009.
Non-violenza.
La non-violenza è un valore che fa parte delle tradizioni etiche di alcune religioni, come si riscontra nel Buddismo, Induismo e nel pacifismo cristiano.
Comunque, ha raggiunto una tale statura, da essere considerato un valore cui aspirare, oltre ad essere divenuto un principio da seguire ed adottare contro la violenza della guerra.
Il miglior maestro della non-violenza dei tempi moderni è Gandhi. Egli è anche considerato dalla maggior parte degli Indiani il fondatore della loro Patria, e da tanti altri come il maggior esponente di questa pratica al punto da essere anche ritenuto una sorta di santo.
Infatti ha sperimentato l’uso della resistenza passiva e della non-violenza sia come approccio filosofico e spirituale alla vita di tutti i giorni, sia come tecnica da seguire per raggiungere un vero cambiamento politico e sociale.
Gandhi era conosciuto tra gli Indiani come “Mahatma”, ovvero Grande Anima, per il suo coraggio, per la sua semplicità, e per lo straordinario impatto che i suoi insegnamenti avevano su tutti, e per l’esempio di vita che ha saputo dare.
Il tema centrale della ricerca di Gandhi è la “verità” come si può desumere dalla lettura della sua autobiografia intitolata “I miei sperimenti sulla verità”; riteneva che l’amore per la non-violenza potesse raggiungersi solo con la compassione e la tolleranza per le altre persone e che il suo concreto esercizio implicasse una continua prova, sperimentazioni, a volte errori e continui sforzi.
Forse il concetto più importante dei suoi insegnamenti è satyagraha, che tradotto letteralmente significa “ la forza dell’anima” o “ la verità dell’anima”. Questo è un valore che per essere vissuto in pieno, richiede una aderenza piena e interiore al rispetto ed amore per il prossimo.
Mohandas Gandhi nasce in India nel 1869; i suoi genitori appartenevano alla casta dei commercianti Hindu. Egli rimase sempre devoto alla sua religione ma esercitarono forti influenze anche le tradizioni e i valori di altre religioni, come ad esempio il principio pacifista del Cristianesimo, e gli scritti di Thoreau e Tolstoy sui diritti e doveri degli individui di praticare la disobbedienza civile quando le autorità politiche violano le libertà personali e i diritti politici.
Si sposò molto giovane e studiò Giurisprudenza a Londra. Trascorso un breve periodo in India, il giovane avvocato si trasferì in Sud-Africa, dove fu ostacolato dal sistema delle leggi razziste di quel Paese ( c’era a quei tempi, e attualmente ancora è presente, una nutrita comunità asiatica, in particolare indiana, in Sud-Africa).
Rimase lì per circa 21 anni, portando avanti una campagna per i diritti degli Indiani, stampando giornali, e sviluppando la sua filosofia della non-violenza. Fu arrestato e torturato più volte dalle autorità britanniche ma egli li servì con lealtà quando lo ritenne giusto. Organizzò, ad esempio, un corpo d’ambulanza durante la guerra Boera, (1899-1902), e la Ribellione degli Zulù (1906), per il cui aiuto offerto ottenne anche una decorazione dal governo.
Nel 1915 Gandhi tornò in India e nel giro di pochi anni divenne il del movimento nazionale Indiano, che mirava ad ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Quando il governo ritenne fuori legge l’opposizione politica, Gandhi lanciò una vittoriosa campagna contro queste leggi.
Nel 1919 le truppe britanniche hanno sparato su una folla composta da uomini, donne e bambini indiani pacifisti e non armati, che stavano dimostrando; vennero uccisi circa 400 persone in quello che sarebbe passato alla Storia come il Massacro di Amristar.
Questo servì a sottolineare la differenza tra la resistenza passiva e la brutalità delle autorità, e aiutò Gandhi a mettere in pratica il principio contenuto nella satyagraha.
Gandhi non condivideva gli atteggiamenti aggressivi degli altri leaders per l’indipendenza indiana; infatti si fece in disparte durante i moti di Bombay nel 1921 e quelli di CHauri-Chaura nel 1922. Continuò piuttosto a battersi per il rispetto dei diritti della casta Hindù dei più poveri, chiamati “intoccabili”, che egli aveva ribattezzato Harijan, ovvero figli di Dio, e per i lavoratori più deboli, come i manovali e i contadini.
Incitò gli Indiani a creare delle aziende perché producessero direttamente il cotone, motivo principale dell’occupazione britannica, e perché si potesse così raggiungere l’indipendenza e l’autosufficienza economica ( swarai).
Era contrario alla creazione di due realtà separate composte dal Pakistan musulmano e dall’India induista e infatti, nel 1948 venne assassinato da un fanatico induista che non condivideva la sua tolleranza religiosa, proprio nell’anno in cui l’India aveva vinto la sua battaglia e divenne indipendente rispetto alla Gran Bretagna.
Questo dimostra che si è realizzato quello che molti credevano impossibile: egli è riuscito a far ottenere l’indipendenza a più di 400 milioni di persone, senza sparare neanche un colpo. Inoltre il suo esempio è stata la concreta dimostrazione che, la pratica della non-violenza, può essere uno strumento più che valido anche nel mondo del XX secolo, caratterizzato dalla “Realpolitik”, potere e violenza.
Una delle chiavi per capire in pieno gli sforzi fatti da Gandhi nell’applicare il principio della non-violenza è comprendere la ahisma, ovvero la culla del satyagraha. Come egli stesso disse, “Ahisma e la Verità sono così interdipendenti che è impossibile scindere un concetto dall’altro…. Tuttavia, ahisma è il significato più profondo, la verità ne è la conclusione”.
Risulta però limitante tradurre il vocabolo ahisma con il concetto di resistenza passiva, perché invece è fondamentale sottolinearne il contenuto di amore attivo. Implica niente altro che la personale ed individuale responsabilità di riformare il pianeta e se necessario soffrire in prima persona.
La base di questa sofferenza ( chiamata tapasya da Gandhi).
Da un lato, tranne che ci si senta portati alla sofferenza, la profondità del proprio impegno può essere messo in discussione.
Inoltre, poiché ogni conflitto porta alla sofferenza, la devozione verso la giustizia del non-violento aumenterà il senso di sofferenza.
Gandhi ha con forza sottolineato a più riprese che satyagraha deve essere distinta dal passivo desiderio di evitare conflitti a tutti i costi. La classe media in particolare, ha sempre tollerato situazioni scomode pur di poter continuare ad avere una vita sicura e comoda.
“La mia fede nella non-violenza è una forza estremamente attiva”, scrisse Gandhi, “non c’è posto per i codardi o per i deboli. Si spera che un uomo violento possa, un giorno, diventare un non-violento, ma non c’è speranza per i codardi”:
La non-vilenza e la disobbedienza civile ricerca il diritto di scelta del singolo,e anche l’obbligo di ognuno,di sperimentare fino in fondo le conseguenze di quella scelta ed essere anche giudicati, di conseguenza, dalla società in cui vive.
La scelta della strada della non-violenza non è sempre semplice: arresti, torture, a volte persino la morte possono far parte di questo modo di combattere. Gli individui sono chiamati a svolgere tutte queste funzioni e a soffrire, anche per tutti gli altri.
Inoltre richiede anche un profondo rispetto per i propri nemici; deve basarsi su una profonda onestà e verità. Occorre considerare il proprio nemico molto seriamente e instaurarci un dialogo che lo porti ad una auto-analisi perché possa fargli cambiare direzione senza fargli perdere l’onore.
In un qualsiasi conflitto in cui vengono usate le armi c’è sempre un vinto da una parte, un vincitore dall’altra.
Nel concetto di satyagraha, l’obiettivo da raggiungere è quello che entrambi le parti vincano agendo con l’amore e in armonia reciproca, piuttosto che continuare nella strada della discordia e della violenza.
Gandhi, essendo sempre alla ricerca della verità e della giustizia, non condivideva le dottrine che giustificano ogni mezzo pur di raggiungere lo scopo.
Per i seguaci di Gandhi, la violenza è reazionaria: più si usa violenza, meno si rivoluziona.
Di contro, gli attivisti politici, sia di estrema destra, sia di estrema sinistra, sono inclini ai compromessi morali, convinti che la loro visione del mondo come dovrebbe essere giustifica qualsiasi mezzo pur di ottenere il risultato da essi perseguito.
Lenin, per esempio, affermava che “ per raggiungere i nostri fini, ci uniremo persino con il diavolo”; per Lenin, qualsiasi tendenza moralizzatrice sulla crudeltà di usare mezzi violenti per il raggiungimento degli scopi rivoluzionari, era “l’ipocrisia insopportabile dei sentimentalisti presa in prestito dalla classe dominante ma marcia”.
Il Reverendo Martin Luther King Junior, leader del movimento non-violento per l’affermazione dei diritti civili durante gli anni cinquanta e sessanta in America, nonché visionario che come Gandhi era una persona molto pratica e orientata al risultato, ha scritto che “rispondere alla violenza con altra violenza, la moltiplica, rendendo ancora più scura la notte già priva di stelle.
L’oscurità non si combatte con altra oscurità, solo la luce può farlo. L’odio non può sconfiggere l’odio, solo l’amore può sconfiggerlo.”
In pratica, la satyagraha, e le azioni non violente di King si sono espresse sotto varie forme: manifestazioni, boicottaggi, picchetti, scioperi, disobbedienza civile, occupazione non violenta di vari edifici governativi, imprigionamenti di massa, rifiuto del pagamento delle tasse e una volontà di subire abusi dalle autorità e reagire in maniera non violenta, con cortesia, coraggio e determinazione.
Questo, come Gandhi sosteneva sempre, richiedeva molta più forza che premere il grilletto, molto più coraggio che combattere o rispondere ad un attacco.
Le tecniche gandiane non offrivano molta alternativa alla lotta; piuttosto fornivano altri modi non violenti di reagire. Durante una delle sue famose satyagraha del 1930, per esempio, Gandhi arrivò alle miniere di Dharasana con 2.500 manifestanti.
Secondo un testimone oculare occidentale, gli uomini arrivarono al blocco di polizia in silenzio, e vennero picchiati con i manganelli mentre nessuno di loro aveva alzato neanche un braccio per difendersi.
Un modo di dire popolare tra gli attivisti radicali americani durante gli anni sessanta era “potere al popolo”. I seguaci del credo non violento, credono che il popolo sia più potente quando ha un coraggio morale sufficiente da essere immuni non solo alla minaccia rivolta contro ma anche all’inclinazione ad usare la violenza.
L’astenersi dalla violenza deriva da una chiarezza di propositi che Gandhi avrebbe chiamato “abnegazione” .
Come diceva, non necessariamente ciò significa smaltire la propria rabbia ma trasformarla: “Ho imparato, attrerso esperienze amare, l’unica vera lezione per mettere da parte la mia rabbia e così come il calore viene accumulato e si trasforma in energia, allo stesso modo la nostra rabbia controllata può essere trasformata in un potere che può smuovere il mondo”.
La non-violenza di Gandhi e dei suoi seguaci, e compresi anche quelli di Martin Luther King, era proattiva piuttosto che reattiva.
Le loro tattiche erano imprevedibili, spontanee e radicali e le autorità governative ne erano chiaramente esasperate.
Satyagraha- la forza dell’anima piuttosto che quella fisica, di sicuro può sconcertare quelli che capiscono la violenza ma che hanno avuto poca esperienza con la forza della verità di Gandhi.
Dopo Gandhi, il maggior esponente e fautore della pratica della non-violenza fu il Reverendo Martin Luther King, che adottò in tutta coscienza la satyagraha per applicarla in America. King studiò la filosofia di Ganfhi e i suoi metodi, viaggiò in India, ed emerse come capo, architetto e leader spirituale delle campagne per i diritti civili con la non-violenza negli Stati Uniti.
Trascorse molto del tempo dagli avvocati per la difesa contro quelle leggi ingiuste che discriminavano le persone in base alla propria razza.
Negli anni Cinquanta e Sessanta i trasporti pubblici, ristoranti, sports, eventi culturali, librerie, e le scuole erano spesso riservate in base alla razza con strutture migliori solo riservate ai bianchi.
Ai neri veniva negato il diritto di voto e purtroppo era relativamente comune il linciaggio degli afro-americani, specialmente ad opera del Ku Klux Klan, una banda semi segreta di bianchi violenti e razzisti.
Forse l’evento culminante della leadership di King nella marcia dei diritti civili, è stata il boicottaggio degli autobus a Montgomery ( Alabama).
Nel dicembre 1955, Rosa Parks, si rifiutò di sedersi in fondo in un autobus pubblico.
Dopo che migliaia di afro-americani camminavano a piedi per andare al lavoro piuttosto che salire su autobus segregati, vennero concessi a tutti i servizi .
Questi erano gli anni in cui il Governatore George Wallace, di fronte all’università dell’Alabama, impediva l’ammissione ai corsi degli studenti neri e venivano usate scariche elettriche e cani contro dimostranti pacifici a Birmingham, Alabama. In tutto ciò, King mantenne sempre una devozione assoluta per la non violenza, basata sulla sua percezione dei principi cristiani. King, come Gandhi, mobilitò una schiera di seguaci non violenti, catturando la coscienza di milioni di persone, raggiungendo obiettivi epocali.
Fondò la Conferenza Cristiana del Sud, che propugnava la non-violenza, l’azione comunitaria e nel 1963 organizzò a Washington la marcia per il lavoro e la libertà, conosciuta anche come “la marcia dei poveri” che portò nella capitale americana circa cinquecentomila persone.
Nel 1964 King venne insignito del Premio Nobel per la pace.
Angela Braghin – Dottoressa in scienze politiche
Bibliografia
D. P. Barash, C. P. Webel, Peace & conflict studies, Sage publications inc. (Cap 19)
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