Francesca Santucci, “Suggestioni e meraviglie”, Kimerik 2009

(estratto)

Un uomo che dichiara il suo amore a parole è uno sciocco.
L’unico modo di farlo è con le proprie attenzioni.
G. Casanova

casanova - GIACOMO IL SEDUTTORE
Giacomo Casanova

Giacomo Casanova, figlio di attori (sua madre, Giovanna Maria Farussi, detta la Buranella, era un’attrice abbastanza famosa), libertino, edonista, rubacuori, imbroglione, giocatore, baro, falsario, spia, faccendiere, diplomatico, dissoluto e colto (ben rappresentò questi ultimi due aspetti della sua personalità il pittore tedesco Anton Raphael Mengs nel ritratto in cui lo immortalò con un libro su una gamba ed un amorino accanto), eccellente giornalista, ottimo scrittore, nonché perfetto cavaliere e gran signore, incarnazione del vero italiano del Settecento, testimone e protagonista del suo tempo, cosmopolita e apolide, ebbe una vita multiforme, avventurosa e girovaga, costellata da intrighi ed avventure, in continua fuga da ogni tipo di legame, irrequieto come uomo e come amante, in realtà interessato solo a se stesso e all’ ansia di vivere le sue passioni brevi ma intense, apprezzando, come molti libertini, sia le donne che gli uomini.
Alto quasi due metri, di colorito olivastro, con occhi vivi e scrutatori, naso importante e labbra carnose, brillante conversatore, eccellente ballerino di minuetto, Casanova era garbato e grazioso nelle movenze, perfetto negli inchini, nei baciamani e nei complimenti, mai banali, mai gratuiti, che elargiva a profusione alle donne che ben sapeva comprendere, conquistare, soddisfandone generosamente ogni desiderio, ogni capriccio, colmandole di fiori, profumi, gioielli, convinto che:

“Un uomo che dichiara il suo amore a parole è uno sciocco. L’unico modo di farlo è con le proprie attenzioni”.1

Ebbe numerose donne, le più belle del tempo, grandi dame e semplici popolane, concupì insieme due sorelle, Nanette e Marton, persino una giovane monaca, Caterina Capretta (“nella mia lunga carriera di libertino, durante la quale la mia invincibile inclinazione per il bel sesso m’ha insegnato a usare tutti i mezzi di seduzione, ho fatto girare la testa a qualche centinaio di donne”,2 affermò nelle sue memorie, L’Histoire de ma vie, Mémoires écrits par lui-même, tremilaseicento furibonde pagine che abbracciano gli anni che vanno dal 1756 al 1774, i più intensi ed avventurosi, cominciate a scrivere in francese nel 1790, nel castello di Duchov in Boemia, dove si era ritirato nel 1785 al servizio, come bibliotecario, del conte di Waldstein), addirittura fu sul punto di sposare, a Firenze, una giovane che risultò essere sua figlia illegittima.

“Se quelle donne ci amano, è naturale che temano di perderci e facciano quindi il possibile per tener sempre desto in noi il desiderio di possederle. Di fatto, quando arriviamo a possederle, smettiamo di desiderarle, perché non si desidera ciò che si possiede”.3

Tutte le donne gli piacevano, tutte le seduceva, nobili, attrici, servette, prostitute, non motivato da nessun altro fine, né morboso né utilitaristico, in ricerca esclusiva unicamente del piacere, e a tutte piaceva, tutte si lasciavano sedurre; inizialmente se ne invaghiva, ma poi le lasciava (ed in tutte restava nostalgia e rimpianto, mai risentimento) una volta esaurito il gioco della seduzione (considerata nel XVII secolo vera e propria arte, descritta dai primi approcci fino all’abbandono finale da molti artisti e scrittori dell’epoca, anche da una raffinata scrittrice come Madeleine De Scudéry, che rappresentò l’amore galante nei suoi segreti e minuti particolari secondo i gusti dell’epoca, elaborando, nel romanzo “Clelia”, un delizioso gioco: seguire le vie e i sentieri indicati dalla “carta del tenero”, simile proprio a una carta di geografia, con indicazioni di mari, fiumi, monti, un lago, città e villaggi,4 una vera e propria mappa, per arrivare a conquistare l’oggetto del desiderio) ma ne amò solo una, e non soltanto una notte, per diversi mesi, l’Henriette dei suoi diari. La incontrò a Cesena nel 1749; poiché aveva abbandonato il tetto coniugale, viaggiava sotto mentite spoglie, in abiti maschili, vestita da ufficiale, senza possedere alcun indumento femminile, ma ci pensò Casanova a rivestirla da capo a piedi, dalla biancheria alle cuffiette, dalle scarpe alle mantelline, e poi guanti, ventagli, orecchini, non badando a spese, nonostante lei lo avesse avvisato:

“Mio caro, tu spendi molto per me, e se lo fai per farti amare di più, butti il tuo denaro: io oggi non ti amo più di ieri. Ciò che fai mi può far piacere solo perché mi fa capire sempre meglio che sei degno di essere amato: ma non ho bisogno di prove come queste”.5

Intelligente (di un’intelligenza effervescente e sottile),6 colta, spiritosa, acuta, dolce, sensibile, oltre che bella (incantevole, tesoro, divina creatura),7 rispettata e tenuta in grande considerazione da Casanova, che forse se ne sentì pure inferiore, Henriette comprese subito il suo bisogno d’indipendenza e fu presaga del futuro, tanto che, lucidamente, allorché intuì il pericolo dell’imminente definitiva separazione, disse all’amante disperato:

”Sta’ certo che saprò procacciarmi tutta la felicità possibile, se mi vedrò costretta a vivere senza di te. Tu farai lo stesso per il tuo avvenire, e sono certa che riuscirai. Nel frattempo, per quanto possibile, bandiamo la tristezza”.8

Casanova ed Henriette vissero alcuni mesi felici a Parma, finché la donna, riconosciuta, fu costretta a rientrare ad Aix-en-Provence e pose termine alla loro liaisons con un biglietto che conteneva una sola parola, “Addio”, seguita da una lettera in cui gli scrisse:

“Sono io, mio unico amore, che ho dovuto abbandonarti, ma non accrescere il tuo dolore pensando al mio. Facciamo finta di aver fatto un bellissimo sogno e non lamentiamoci della nostra sorte, perché mai sogno così bello durò tanto a lungo. Vantiamoci di essere stati capaci di renderci completamente felici per tre mesi ininterrotti: non c’è alcuno al mondo che possa dire altrettanto. Non dimentichiamoci dunque mai l’uno dell’altro, e ricordiamo spesso il nostro amore per rinnovarlo nei nostri cuori che, anche separati, ne godranno con intensità ancora maggiore. Non chiedere mai di me, e se il caso ti farà conoscere la mia vera identità, fingi di ignorarla. Sappi, amor mio, che ho sistemato le mie faccende in modo da essere per il resto dei miei giorni felice senza di te. Non so chi tu sia, ma so che nessuno al mondo ti conosce meglio di me. Non avrò più amanti, ma mi auguro che tu non pensi di imitarmi. Desidero che tu ami ancora e desidero anche che trovi un’altra Henriette. Addio”.9

Casanova trovò, poi, su uno dei vetri delle finestre della sua camera, una scritta che la donna aveva inciso con la punta di un piccolo diamante, che proprio lui le aveva donato; diceva:

“Tu oublieras aussi Henriette”, Dimenticherai anche Henriette.

Non s’incontrarono mai più (anche se le loro strade s’incrociarono ancora, nel 1763 e nel 1769, ma la prima volta lui non la vide, la seconda la vide ma non la riconobbe), ma lui non la dimenticò.

“Ma non l’ho dimenticata, e mi scende un balsamo in cuore ogni volta che mi viene in mente”.10

E Casanova ebbe pure un’avventura amorosa non proprio a lieto fine. Quando, nel 1763, si trasferì a Londra, conobbe, tra le varie donne, anche Marianna Charpillon, una prostituta, figlia e nipote di prostitute, che gli sottrasse una gran quantità di denaro e lo tradì con un barbiere. Come tutti gli innamorati traditi, le fece una scenata, poi, però, perdonò, ma siccome lei continuava a tradirlo, decise di porre fine alla sua vita annegandosi nel Tamigi … ma fu dissuaso in tempo da un amico.
Un’altra donna di cui s’invaghì, nel 1779, quando era ritornato a Venezia, fu Francesca Buschini, una ragazza semplice, ingenua, remissiva, altruista, devota, una modesta sartina che viveva con la madre ed il fratello; affittata una casetta in Barbaria delle Tole, vi si stabilì con lei e con la sua famiglia. La relazione durò nove anni, anni grigi per Casanova, oppresso dai creditori, imprigionato in una vita piatta, casalinga, dalla quale riuscì ad evadere allorché fu costretto ad abbandonare frettolosamente Venezia (dove non sarebbe mai più tornato) per aver pubblicato il libello “Né amori né donne”, una violenta satira in cui dimostrava che, come lui, il potente Carlo Grimani era figlio bastardo del patrizio Michele, ma ancora per anni, dopo la fine della loro relazione, continuò a provvedere a lei inviandole somme di denaro.
E, tra un’avventura e l’altra, sempre in tema di donne, trovò anche il tempo di scrivere, quando si trovava a Bologna dove aveva cercato riparo dopo essere stato espulso da Firenze per cattiva condotta, un pamphlet “sull’influenza esercitata dagli organi sessuali sul carattere femminile”, che gli fece guadagnare cento zecchini.
Casanova incarnò perfettamente lo spirito gaudente dei facoltosi borghesi dell’Europa settecentesca, di cui fu esatto interprete artistico l’arguto ed amabile pittore francese Fragonard, autore versatile, di grande facilità esecutiva (così appassionato della sua arte da affermare “se necessario, dipingerei anche con il sedere”),11 ricordato soprattutto come pittore di soggetti erotici, “pittore del piacere” (ma varia fu la sua produzione), autore di quadri licenziosi e sensuali che andarono a decorare le stanze private degli appassionati d’arte e dei ricchi esponenti del mondo finanziario e i boudoirs delle attrici (anche di una famosa ballerina dell’epoca, Madeleine Guimard, che impreziosì con suoi dipinti erotici la propria abitazione), in trattazione dell’amore non tragico o non corrisposto (come accadrà nel secolo successivo), ma come diletto, gioco, mai noioso, sempre con lieto fine.
Quando, il 31 0ttobre 1756, riuscì rocambolescamente ad evadere dal famigerato carcere dei Piombi di Venezia (il racconto, poi, che riusciva a farne era così pittoresco che gli diede da vivere per il resto della sua vita, perché tutti i nobili facevano a gara per averlo alla propria tavola) dov’era stato rinchiuso il 26 luglio 1755, in una cella umida e infestata dai topi e dalle cimici, condannato a cinque anni per “disprezzo pubblico della Santa Religione” attraverso scritti e discorsi (l’ordine, impartito dal tribunale degli Inquisitori, alle cui orecchie era giunta voce anche delle varie sue bravate sessuali, tra cui una relazione con due monache, di cui una bisessuale, rapporti plurimi e giochi erotici particolari, come la predilezione a mangiare ostriche dai seni femminili, fu di prenderlo “vivo o morto”, secondo la formula tipica del mandato d’arresto dell’epoca) scappò a Parigi, e ad accoglierlo, nel 1757, furono i Balletti, Silvia e Giuseppe, detto Mario, famosi attori della Comédie italienne (così fu chiamata all’estero la Commedia dell’arte italiana che, soprattutto in Francia, trovò, nonostante le alterne vicende, un pubblico molto entusiasta).

casanova2 - GIACOMO IL SEDUTTORE
Manon Balletti

Tra Casanova e la loro figlia Maria Maddalena, che sarebbe, poi, divenuta attrice famosa col nome di Manon Balletti, già conosciuta quando aveva dieci anni, scoppiò l’amore e nacque una corrispondenza segreta.

“[…]aveva quindici anni e si era fatta molto bella. La madre l’aveva allevata dandole tutto ciò che una donna affettuosa e intelligente può dare a sua figlia: talento, finezza, intelligenza e belle maniere”.12

“A cena da Silvia[…] rimasi molto colpito dalla sua figliola. A quindici anni aveva tutte le qualità più seducenti. Mi congratulai perciò con la madre che l’aveva allevata e non pensai neppure di stare in guardia dal suo fascino, anche perché non mi sentivo ancora abbastanza a posto da poterne cadere vittima”. 13

Manon era una fanciulla piena di virtù, bella e affascinante, qualità che tutte emergono dalla tela in cui la immortalò l’elegante e raffinato artista Jean- Marc Nattier (pittore di corte, soprattutto di principesse reali, che amò rappresentare sempre esaltandone le seducenti grazie, sotto le spoglie di figure della mitologia arcadica, come ninfe, dee, anche suonatrici di musica, combinando favola e realtà), valorizzandone in semplicità e leggiadria la bellezza, ritraendola con la testa lievemente rivolta verso sinistra, sì da conferire vivacità, il roseo volto giovanile esaltato da un velo attraversato da un filo di perle (occhieggiante anche sul lato destro), fissato ai capelli con una spilla, e sulla bella veste, a ben catturare l’occhio dello spettatore, appuntata una rosa (fiore sacro a Venere, uno degli attributi della dea dell’Amore, anche attributo delle Grazie, simbolo di bellezza, gioventù e castità).

“La figlia di Silvia mi amava e sapeva che anch’io l’amavo, nonostante non mi fossi mai dichiarato. Ma si guardava bene dal farmelo capire. Temeva di incoraggiarmi a pretendere qualche favore perché ben sapendo che poi non avrebbe avuto la forza di rifiutarmeli, temeva di perdermi. Sua madre e suo padre l’avevano destinata a un certo Clément, che da tre anni le insegnava il clavicembalo. Lei lo sapeva e non poteva acconsentire, perché, nonostante non fosse innamorata di quell’uomo, non lo detestava. Sapendo di essergli desinata, inoltre, non poteva che vederlo con piacere. La maggior parte delle ragazze ben educate, del resto, si sposano senza amore e non ne soffrono in modo particolare. Sembra che sappiano che i loro mariti non sono destinati ad essere i loro amanti. La stessa mentalità, specie a Parigi, regna tra gli uomini. I francesi sono gelosi delle loro amanti, mentre non lo sono mai delle mogli. Clément, tuttavia, era palesemente innamorato della sua allieva e lei era contenta che me ne accorgessi. Sapeva che questo mi avrebbe finalmente costretto a dichiararmi e infatti non si sbagliava. Così, dopo la partenza della La M-re mi decisi a farlo e me ne pentii. Dopo la mia dichiarazione, Clément, fu licenziato, ma io mi trovai in condizioni ancora peggiori. L’uomo che dichiara il proprio amore per una donna in modo diverso che con i fatti è proprio un ingenuo”.14

A 17 anni Manon, lasciato il fidanzato, C.F. Clément, un musicista, divenne la fidanzata ufficiale del Casanova (che allora aveva trentadue anni), ma, dopo aver atteso lungamente il suo innamorato (infedele, pur amandola) ed “errante” (viaggiatore instancabile, in continuo spostamento, fu a Mosca, a Lisbona, a Berlino, a Ginevra, in Inghilterra dove, per trovare una compagnia femminile tramite annuncio si rivolse ad un giornale, poi di nuovo a Venezia, infine trascorse gli ultimi anni della sua vita nel Castello di Dux, in Boemia, dove, dimenticato, annoiato ed in malinconia, si spense nel 1798) ruppe anche questo fidanzamento e si sposò con un architetto, Jacques-François Blondel, affronto che il veneziano non dimenticò per tutta la vita; la giovane morì, poi, a soli trentadue anni per ipertensione polmonare.

“Un giorno, ricevetti da Parigi un grosso pacco insieme ad una lettera di Manon.
‘Sii saggio’ diceva la lettera ‘e accogli con calma la notizia che ti do. Questo pacco contiene tutte le tue lettere e il tuo ritratto. Rimandami il mio e se hai lettere mie bruciale. Conto sulla tua onestà. Non pensare più a me e io dal canto mio farò il possibile per dimenticarti. Domani a quest’ora sarò la moglie del signor Blondel, architetto del re e membro dell’Accademia. Ti sarò molto obbligata se, quando tornerai a Parigi, incontrandomi, farai finta di non conoscermi‘.
Rimasi per due ore buono come instupidito e poi caddi nella costernazione. Mandai a dire al signor D.O. che non stavo bene e che sarei rimasto in camera tutto il giorno. Aprii il pacco e, guardando il mio ritratto, mi parve di scorgere un prodigio: il mio viso, prima sorridente, mi appariva in quel momento minaccioso e furibondo. Mi accinsi a scrivere alla fedifraga, ma stracciai una lettera dopo l’altra. Alle dieci, mangiai una minestra e poi mi coricai, ma non riuscii a prender sonno. Feci e disfeci cento progetti. Decisi di andare a Parigi per ammazzare quel Blondel, che non conoscevo e aveva osato sposare una ragazza che mi apparteneva, e che tutti consideravano mia promessa. Ce l’avevo anche con il padre di Manon e con suo fratello, che non mi avevano scritto nulla. Il giorno dopo feci sapere a D.O. che ero ancora ammalato e passai tutto il giorno a scrivere e a rileggere le lettere di quella perfida. Dallo stomaco vuoto mi salivano al cervello vapori che mi facevano assopire. Quando riacquistavo i sensi deliravo e parlavo da solo, in preda ad accessi di collera che mi straziavano il cuore.
Alle tre D.O. venne in camera mia per invitarmi ad accompagnarlo all’Aia, dove il giorno dopo, San Giovanni, si sarebbe tenuta la riunione di tutti i notabili della massoneria olandese. Quando vide in che stato ero, non insistette”.
‘Cosa la fa star male’?
‘Un grande dolore, ma la supplico di non chiedermi nulla’.”15

Manon scrisse quarantadue lettere d’amore, traboccanti di sentimento, al suo “Giacometto” (da lei chiamato anche mon cher Casanova, mon cher Giacomo, amant, mari, ami, – ce qu’il vous plair, “mio caro Casanova, mio caro Giacomo, amante, marito, amico, quello che vorrete”),16 fino a tre lettere al giorno, che furono, poi, rinvenute, insieme ad altri documenti, nell’estate del 1911 dallo studioso Aldo Ravà, nel castello del conte Waldstein.
Nella lettera qui presentata Manon, spiritosa, spigliata, innamorata, palpitante, ma lucida, mostra l’ansia tipica di ogni fanciulla innamorata, ma pure la saggezza di chi è consapevole che il sogno d’amore vagheggiato non potrà mai realizzarsi perché l’uomo amato non ama quanto ama lei e, dunque, non sarà mai possibile creare insieme una felicità stabile e duratura.
Pur consapevole di lasciare il certo per l’incerto, il fidanzato per uno sconosciuto, non può impedirsi, però, tanto è sotto l’incanto d’amore, di rivelargli, seppure in sogno, il suo sentimento.

avril 1757

Ah! que M. mon frère m’ennuie! Il est excédant et l’on ne peut pas être plus gauche qu’il ne l’est, à sa garde; mais ne parlons pas de lui, car il m’a cosi mis de mauvaise humeur, que je ne veux point du tout l’être avec vous.
Je vais répondre exactement à votre dernière lettre. Vous commencez par m’exagérer beaucoup votre amour, je le crois sincère, il me flatte, et je ne désire autre chose que de le voir durer toujours. Durera-t-il? Je sais bien que vous allez vous révolter contre mon doute; mais enfin, mon cher ami, dépend-il de vous de cesser de m’aimer? ou de m’aimer toujours?
Mais, passons, car je crois que ces craintes ne vous plaisent pas beaucoup. La crainte que vous me marquez sur l’incertitude et la réussite de vos projets me flatte, parce qu’elle me prouve votre amour, et l’envie que vous auriez de me rendre heureuse en tout point. Je vous assure que je me le trouverai si je puis être à vous et si vous me conservez toujours cette tendresse que vous me devez pour accompagner la mienne. Mais je ne veux point que vos craintes vous fassent me dire de tâcher de vous oublier.
Moi, vous oublier! moi, cesser de vous aimer, quand j’ai osé vous le dire! Ah! vous ne me connaissez pas! Si vous saviez les efforts que j’ai faits pour vaincre le penchant que je me sentais pour vous quand j’ai commencé à l’apercevoir! A présent je puis vous le dire, puisque heureusement ou malheureusement je n’y ai pas réussi.
Mais cela m’a donné bien de la peine inutile. J’ai commencé par croire que la complaisance que je m’apercevais avoir pour vous, n’était qu’une simple amitié, mais des plus simples; je m’amusais avec vous plus qu’avec qui que ce soit, mais je me disais : «Il est gai, il a de l’esprit, cela n’est pas étonnant»; mais enfin je me trouvais inquiète; quand vous passiez un jour sans venir au logis, j’étais triste, sérieuse, et je trouvais qu’en rêvant, je ne pensais qu’à vous. Ah! j’ai frémi, je me suis aperçue du penchant que je prenais pour vous, et l’épouvante s’est emparée de moi. «Que fais-je? me disais-je; sur le point d’épouser un homme à qui l’on m’a promise, auquel je me suis aussi promise moi-même, je vais prendre de l’inclination pour un homme que je ne verrai peut-être bientôt plus, qui ne m’aime pas»; car alors je croyais de bonne foi que vous ne m’aimiez pas ; «que deviendrais-je? Que je suis imprudente, ridicule! aimer quelqu’un qui n’a que de l’indifférence, c’est se rendre malheureuse». Mais quelquefois je me figurais que vous pourriez peut-être m’aimer aussi, que vous n’osiez me donner des marques de votre amour à cause des circonstances qui ne vous le permettaient pas.
Les choses sont changées; il y a eu un disgracié qui vous a fait tout à fait connaître; je vous ai démasqué et cela ne vous a pas fait du tort dans mon coeur! Puisse cette tendre amitié que nous avons l’un pour l’autre être heureuse! Elle peut faire notre bonheur ou notre malheur; quelle dure alternative! Il est cosi fâcheux d’aimer!
Mais bonsoir, mon cher ami, je me meurs de sommeil; ma plume tombe de mes mains, mes yeux se ferment; mais comme ce n’est point tout cela qui vous écrit, je vais toujours; mais il n’y a pas moyen, je dors tout de bon.
Bonsoir, bonsoir, mon bon ami, aimez-moi toujours bien. Si vous vouliez me rendre bien contente, vous brûleriez mes lettres! Je rêve que je vous dis que je vous aime!

aprile 1757

Ah, quanto m’annoia mio fratello, è insopportabile e non si potrebbe essere più maleducati di lui, ma non parliamone, ché mi ha messo così tanto di malumore che non voglio affatto esserlo con voi.
Rispondo puntualmente alla vostra lettera. Cominciate ad ingigantire molto il vostro amore, io lo credo sincero, mi lusinga e non desidero altro che di vederlo durare sempre. Durerà? So benissimo che vi rivolterete contro il mio dubbio ma, infine, amico mio, non dipende da voi smettere di amarmi? O di amarmi sempre?
Ma lasciamo stare, perché credo che questi lamenti non vi piacciano troppo. Il timore col quale mi sottolineate l’incertezza e la riuscita dei vostri affari mi lusinga perché mi prova il vostro amore e la voglia che avete di rendermi felice in tutti i modi. Io vi assicuro che sarò felice se potrò essere vostra e se mi conserverete sempre questa tenerezza che mi dovete per accompagnare la mia, ma non voglio affatto che questi timori vi inducano a dirmi di cercare di dimenticarvi.
Io dimenticarvi? Smettere di amarvi quando ho avuto il coraggio di dirvelo? Ah, voi non mi conoscete! Se sapeste gli sforzi che ho fatto per cercare di vincere l’inclinazione che sentivo per voi quando ho cominciato ad accorgermene! Ora posso dirvelo perché, fortunatamente o malauguratamente, non ci sono riuscita, ma questo m’ha causato delle inutili pene. Ho cominciato a credere che l’inclinazione che sentivo per voi non fosse che una semplice amicizia, ma delle più semplici; mi divertivo con voi più che con chiunque altro, mi dicevo: “E’ allegro, è spiritoso, non c’è da stupirsi”. Ma infine mi scoprivo inquieta; quando lasciavate passare un giorno senza venire da noi ero triste e seria, e m’accorgevo che fantasticando non facevo altro che pensarvi. Ah, ho provato un fremito quando mi sono accorta dell’attrazione che provavo per voi, e lo spavento s’è impadronito di me. “Che faccio? – mi dicevo- sul punto di sposare un uomo al quale m’hanno già promessa, al quale io stessa mi sono promessa, vado ad innamorarmi di un uomo che, forse, non vedrò più, che non m’ama”, perché allora io credevo davvero che non mi amaste; cosa sarà di me? Quanto sono imprudente, ridicola, amare qualcuno a cui si è indifferenti significa rendersi infelice”. Ma talvolta m’immaginavo che anche voi mi poteste amare, che non osaste mandarmi dei segnali del vostro amore a causa delle circostanze che non ve lo permettevano.
Le cose ora sono cambiate, quel disgraziato17 tanto ha fatto che vi ha messo le parole in bocca, e io vi ho scoperto e tutto ciò vi ha fatto tutt’altro che torto nel mio cuore! Possa questa tenera amicizia che sentiamo l’uno per l’altro essere felice, può fare la nostra felicità o la nostra infelicità: che dura alternativa! E’ così inquietante l’amare!
Ma buona sera, mio caro amico; muoio di sonno: la penna mi cade dalle mani, gli occhi si chiudono, ma siccome non è affatto con questi che vi scrivo, tiro avanti, ma non c’è verso, dormo sodo.
Buona sera, buona sera mio buon amico, amatemi sempre tanto! Se voleste farmi veramente felice, brucereste le mie lettere. E intanto sogno che vi dico che vi amo.18

Francesca Santucci

NOTE
1) G. Casanova, “Storia della mia vita”.
2) Op.cit.
3) Op.cit.
4) Madeleine de Scudéry, “Clelia”.
5) Op.cit.
6) Op.cit.
7) Op.cit.
8) Op.cit.
9) Op.cit.
10) “I grandi pittori”, De Agostini, pag. 252.
11) Lettera del 14 ottobre 1758.
12) Op.cit.
13) Op.cit.
14) Op.cit.
15) Op.cit.
16) Op.cit.
17) Il “disgraziato” era Clément, il fidanzato di Manon.
18) Traduzione dell’A.

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