di Nadia Angelini

Giulia Agrippina nacque da Germanico, fratello del futuro imperatore Claudio, e da Agrippina Maggiore, nipote di Ottaviano Augusto.
Furono forse le sue radici, la consapevolezza della nobiltà della sua stirpe, che fecero di questa donna una dominatrice ambiziosa, lungimirante ed assolutamente consapevole del senso dello Stato.
Tanto è che fu considerata una delle più significative figure femminili dell’Impero Romano; comunque l’unica a conseguire uno status effettivo comparabile a quello di un Principe-donna, così come fosse un’autentica Imperatrice.
Donna dotata di una intelligenza pronta e vivace, instancabile cospiratrice, fautrice di mire indegne e spietate, si narra di lei che, dai suoi nefandi disegni, non avesse risparmiato neppure suo figlio:L’Imperatore Nerone.
Purtroppo in quel contesto storico, ella fu respinta dalla mentalità patriarcale di Roma e sebbene insignita dal Senato dal titolo di “Augusta” si trovò a fare i conti con l’isolamento, le umiliazioni ed il disprezzo di suo figlio, ultimo erede della dinastia Giulio-Claudia.
In effetti dando il giusto valore a ciò che disse Claudio, alla nascita del figlio commentando le felicitazioni che andava ricevendo per l’evento, si può ricavarne la veridicità. “Da me e da Agrippina non può nascere che una creatura detestabile, un pubblico flagello!”- Disse.
E la storia non tardò a recepire i misfatti compiuti sia dalla madre che dal figlio.
Dopo una prima fase in cui l’Imperatore sembrò sentirsi gratificato dai consigli di cotanta madre, giunse la seconda; l’insofferenza per la consapevolezza di essere manovrato ed esautorato, quasi, dei suoi poteri di Imperatore di Roma.
In definitiva era Agrippina che delineava le sorti dell’Impero e decideva cosa suo figlio dovesse o non, elargire al popolo.
Lei, nel frattempo mostrava una grande munificenza e coltivava amicizie verso le più potenti Famiglie Patrizie, presso le quali aveva grande influenza.
Questo suo imporsi con sfrenata volitività, però, fu in realtà il vero preludio alla sua morte.
Per quanto inammissibile, data la stretta parentela, c’era in ambedue un chiaro piano delittuoso.
L’ombra dell’uno offuscava l’altra: uno dei due doveva soccombere alla malvagità dell’altro.
Fu il figlio che spinto anche dall’insana passione per Poppea, apertamente ostacolata da Agrippina, che per primo decise riuscendovi di tacitare sua madre per sempre e vivere libero dalla sua devastante, nebulosa personalità.
Non ci riuscì dapprima, quando tento di fare annegare la donna al suo rientro da una visita compiuta presso di lui a Baia; incontro che si era concluso tra falsi abbracci e carezze che, quel figlio insano e bieco, riservò a sua madre salutandola.
Trovò infine successo, quando Nerone, saputa la notizia della salvezza della donna che aveva guadagnato la riva a nuoto,decise di inviarle due centurioni a Palazzo.
Erculeo ed Olcarito, questi i loro nomi, penetrarono nella stanza di Agrippina che quando li vide disse: ”Se venite a trovarmi per informarvi sulla mia salute riferite a Nerone che mi sono rimessa; se venite per uccidermi non credo che mio figlio vi abbia ordinato di farlo”
Erculeo la colpì con una bastonata al capo ed Olcarito le si avvicinò con la spada in pugno.
Furono per lui le ultime parole della donna, che non mostrò paura neppure di fronte alla morte e disse mostrandogli il ventre:”Ventrem feri” (Colpisci il ventre)
Non sono chiaramente esplicative le ragioni che guidarono la scelta sul dove volesse essere colpita a morte: chissà se desiderasse annientare la figura del figlio partorito dal suo ventre, oppure condannare se stessa per averlo generato? Morì comunque come decise di morire, fornendo all’ultimo atto terreno l’impronta certa di un carattere ferreo, prerogativa tangibile di tutta la sua vita.

Nadia Angelini