Un ponte tra generi e generazioni

di Laura Tussi

Dagli inizi del ‘900 le donne avvertono la necessità di occupare e conquistare spazi pubblici, non soltanto intesi come luoghi del lavoro, ma proprio ambiti della partecipazione politica, culturale e sociale. Questa consapevolezza non passava solo attraverso la rivendicazione del diritto di voto, ma anche tramite la ricerca, la volontà di costruire, di far parte della cultura e dei movimenti e anche di crearli.
Questa consapevolezza non ha dato luogo a irrigidimenti ideologici, ma esperienze e riflessioni anche a volte frammentarie e disomogenee, ma forse proprio tutto questo costituiva uno sprone, un incentivo a costruire insieme, a partecipare.
Infatti, proprio agli inizi del ‘900, si originò un grande dibattito tra donne riguardante la partecipazione politica, anche all’interno di partiti composti di uomini. Partecipare alla vita politica all’interno delle istituzioni o fondare un partito di donne, trasversale e diverso, fu una scelta come quella di Anna Kulisciov che prima fece parte del movimento anarchico e poi socialista, ma assunse sempre posizioni radicali anche rispetto agli uomini, con grande consapevolezza e libertà.
Le donne hanno conquistato determinate mete proponendo la trasversalità di genere, tematica molto attuale, come con la legge sullo stupro.
Questa tematica della partecipazione politica compiuta nello spazio pubblico presentava risvolti di tipo formativo come la possibilità di coinvolgere tutte le donne comprese quelle con livelli bassi di istruzione.
E ancora, la vivacità dell’associazionismo femminile, all’inizio del secolo, era molteplice, multiforme e documentava la pluralità dell’emancipazione di genere, riecheggiando molti interrogativi degli anni’60 e ’70: come per esempio l’educazione alla cittadinanza, a essere cittadine, educare allo spazio dei rapporti all’interno della polis, nell’ambito dello stato politico.
Le donne all’inizio del ‘900 cercarono di sottolineare l’attenzione verso le tematiche sociali, cercando di porre in evidenza la necessità di vivere la comunità e la tematica dei percorsi formativi differenziati, con l’attenzione centrata sul ruolo della maestra, come figura di emancipazione femminile.
Un tema molto dibattuto agli inizi del ‘900 fu il pacifismo connesso e opposto all’interventismo. Le donne a favore dell’interventismo vedevano una possibilità di chiedere il diritto di cittadinanza, mostrando alla patria l’utilità di presa di consapevolezza della donna, scoprendo così l’importanza di far parte di una comunità. Invece le donne portatrici di riflessioni sul pacifismo e sull’internazionalismo, incominciavano a cercare di superare le frontiere e comunque, in quanto portatrici di differenza, sottolineavano i molteplici motivi di dissenso, discutendo di come quanto ogni tipo di conflitto esasperi le diversità del tessuto sociale.
Attualmente si auspica che la condizione della donna a livello planetario, diventi innanzitutto una presa di coscienza e di consapevolezza di un valore intrinseco, di una diversità implicita che racchiude in sé molteplici differenze, scandagliate nell’intima, solipsistica analisi interiore ed introspettiva di un interno che diventa mondo proteiforme nel rimembrare degli eventi dei ricordi, riesumando emozioni e sensazioni, sia in solitudine, sia in comunità, in gruppo, rammentando che le conquiste ottenute sul piano sociale, i diritti, i riconoscimenti sono un patrimonio di rivendicazioni maturato e conquistato nel tempo, nel corso della storia, di cui occorre rendere partecipi e testimoni le giovani generazioni di donne volte alla partecipazione sociale, all’impegno politico, senza mai prescindere dalla propria dimensione interiore, dall’anima più genuina del sé, risorsa interiore per l’esistenza.

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