Nadia Angelini
Non v’è dubbio che questo popolo si affacciò al sipario della storia come gente marinara; si crede che dalle coste toscane nacquero i primi tentativi di assoggettamento dei residenti con il dominio delle vie marittime tutt’intorno alla penisola appenninica.
Furono certamente i primi ad aver organizzato una flotta mercantile per l’importazione e l’esportazione. Lo furono ancora per avere a disposizione una forte numero di navi da guerra che permetteva loro la supremazia sui porti e sulle coste, cosa che indubbiamente giovò a questo popolo per costruire ciò che fu considerato un vero e proprio impero commerciale.
Non a caso la loro storia è legata per tradizione alla talassocrazia.
Livio più di una volta ne afferma la grandezza sia per terra che per mare, ove le loro gesta si esplicarono “ Dalle Alpi allo stretto di Messina”- riporta testualmente questo storico.
“Subito da una nave dai bei fianchi, velocemente apparvero pirati sul mare di colore scuro: erano Tirreni. Li guidava un cattivo destino …” Così nell’inno Omerico a Dionisio, se ne parla in modo cruento e forse troppo audace così lo storico Igino riporta:“ITirreni, che poi furono chiamati Etruschi, praticavano la pirateria; il padre Libero s’imbarcò adolescente sulla loro nave pregandoli di condurlo a Nasso; questi lo accolsero, ma, attirati dalla sua bellezza, stavano macchinando di stuprarlo tutti assieme; Acete, il timoniere, li fermò, e per questo dovette subire le loro offese. Come Libero vide che permanevano nel loro intento, trasformò i remi in tralci d’uva, le vele in pampini, le gomene in edera da cui fuoriuscirono pantere e leoni. Non appena videro ciò, i pirati, terrorizzati, si gettarono in mare e il dio lì nel mare, li trasformò con un’altra meraviglia: infatti ciascuno che si era tuffato venne tramutato in delfino”( Tradu. dal greco di Nadia Angelini)
La fama di pirati farà poi parte della fama di questo popolo durante tutto il periodo della loro storia.
Sicuramente non fu inveritiera; comunque sebbene in forma meno eclatante non furono i soli, in quel periodo, a commettere atti di pirateria .
Bisogna anche osservare che per tutte le genti di mare la parola pirata non aveva il medesimo significato attribuitogli ai giorni nostri, poiché in quel contesto rappresentò invece un mestiere che si espletava per sopravvivenza.
C’è da non dimenticare inoltre che molte delle loro scorribande, arrivate a noi quali atti di temuta pirateria, forse erano riferibili ad azioni belliche per mare.
Diversi sono i termini coi quali sono indicati i pirati nel corso del tempo. Tra questi, “bucanieri”, derivato da Boucan e “filibustieri”, derivato dal francese filibustir La pirateria è la più antica delle “arti”, se così è possibile chiamarla, in quanto già documentata nell’Egitto dei faraoni. Vi sono esempi di pirati anche nel mondo classico tra i Greci e i Romani, Plutarco (lo storico) nell’anno 100 a.C. descrisse i pirati come coloro che attaccavano senza autorità legale, non soltanto le navi mercantili, ma anche le città marittime, dando così la prima definizione precisa di questo fenomeno. L’Egeo, golfo orientale del Mediterraneo e culla della civiltà greca, era per esempio un luogo ideale per l’espandersi di questi briganti del mare; qui avevano infatti la possibilità di nascondersi agevolmente tra le tante isolette ed insenature e, avvistate non visti, navi mercantili di passaggio, ne facevano razzia .
Indubbiamente essi erano facilitati, nelle loro offensive, dalla navigazione lungo- costa delle navi che per prassi non si avventuravano in mare aperto.
Quando le città-stato greche iniziarono a progredire come forza economica, parallelamente crebbe la loro flotta, fino ad attrezzare vere e proprie navi da scorta che usarono a difesa delle loro e per offesa e pirateria verso quelle che solcavano quelle acque.
A quel punto non furono solo le navi etrusche con i loro pirati a compiere gesta eclatanti e chi ne fece le spese furono soprattutto i Fenici.
Le loro navi infatti erano sempre ricolme di ambiti bottini poiché trasportavano rame, argento ed ambra in massiccia quantità.
Chiaramente non esistevano delineazioni tra trasgressori e coloro che ne subivano l’affronto: ogni paese attaccava ed era soggetto a offese quando andava per mare.
La pirateria, come già detto, non era poi considerata un vero e proprio reato verso l’altrui patrimonio, ma un modo di essere in guerra, senza che questa fosse dichiarata.
Gli Achei, i Cretesi ed i Fenici aggredivano città indifese e catturavano schiavi da vendere al primo mercato.
Con l’estensione poi del dominio di Roma in occidente e in oriente si ebbe un pauroso sviluppo delle incursioni via mare e terra di tipo piratesco.
Pompeo incaricato dal Senato, nel 67 a.C., di liberare i mari dal terribile flagello, non riuscì nell’intento, seppure dopo il suo intervento, le incursioni si presentarono più sporadicamente. Lo stesso Giulio Cesare nel 78 a.C. venne fatto prigioniero dai pirati sulla rotta per Rodi. Dopo trentotto giorni di prigionia nell’isola di Pharmacusa, quando da Roma giunse il pagamento di un ingentissimo riscatto, fu liberato. Narra la storia che questi tornò e, dopo aver attaccato il rifugio dei pirati, riportò a Roma oltre ai talenti, che erano stati sborsati per il suo riscatto, anche moltissimi schiavi. Con la caduta dell’impero romano i commerci marittimi diradarono sempre più e, per alcuni secoli, la pirateria scomparve dal Mediterraneo, anche perché nessuna potenza mediterranea era più forte di quella bizantina. Gli unici che, a partire dall’VIII secolo, ebbero il coraggio di compiere incursioni piratesche sui territori bizantini, furono i saraceni, che conquistarono la Sicilia ed erano considerati fuorilegge dallo stesso Regno Arabo di Spagna. Ma per tornare agli Etruschi, malgrado da ogni parte giungesse la eco delle scorribande del mare, su di loro si disse tutto e più che tutto; si arrivò ad ipotizzare che furono proprio i Tirreni ad aver trafugato la statua di Era a Samo. Sempre ad essi si attribuì di aver partecipato al ratto delle donne di Brauron in Attica. Si giunse a dire che, arrivati dal mare, saccheggiarono e conquistarono Atene.Temuti da est ad ovest del mediterraneo, seppero portare la loro forza e la caparbia intelligenza di cui disponevano,in Corsica e fors’anche nelle isole Baleari. Che la pirateria etrusca non fosse soltanto frutto delle malevoli insinuazioni dei greci, lo conferma lo storico tedesco Mommsen, che fa risalire proprio ai marinai etruschi l’invenzione dell’uncino, che è poi l’arnese classico per arrembare una nave avversaria.
Plinio testimonia che alla marineria di questo popolo si deve l’uso di ancore in piombo, schelerate col ferro e molto più funzionali di quelle, d’arcaica memoria, che erano invece costruite in pietra.
E’ nel periodo tra il VII e il VI sec. a.C.che si può veramente parlare di talassocrazia sul Tirreno ed in quello stesso periodo sulle tombe etrusche si ritrovano raffigurate navi da guerra
C’è da osservare innanzitutto che se i Tirreni erano considerati pirati, questa loro nomea, se ritenuta disdicevole, era tuttavia non consona sulla bocca dei Greci che non meno di essi e tanti altri, in quel periodo, praticavano questa usanza che neppure il legislatore più saggio tra loro, il grande Solone, osava condannare.
Policrate di Samo, a quanto tramandano gli storici, catturava diuturnamente navi straniere e si dice fosse usanza che il decimo del bottino trafugato divenisse proprietà dei templi.
La disfatta degli Etruschi come popolo di mare avviene nel 474 a.C quando la trireme, il nuovo gioiello della tecnica cantieristica dei Greci, già collaudato contro le navi persiane, compie imprese strabilianti.. Per questo Popolo fiero e forte è la disfatta definitiva. La loro flotta non esisterà mai più..non riusciranno mai più a risollevarsi.
I Tirreni tentarono verso il 1230-1170 a.C. di sbarcare in Egitto, ma ne furono respinti. Sembra così che il loro girovagare (o la loro pirateria) continuò fino a quando giunsero sulle coste italiche.
C’è chi crede che potrebbe essere stato proprio quel gruppo di navigatori a portare il nucleo della futura lingua etrusca che rimane innegabilmente collegata alla lingua “egea” documentata nell’isola di Lemno dalla famosa stele. E’ ipotizzabile che quello stesso gruppo potrebbe aver istaurate le proprie esperienze culturali, sociali e religiose unendole a quelle della popolazione indigena, dando vita così ad una nuova civiltà che non era “italica”,ma certamente non poteva essere considerata “orientale”.
In questo modo possiamo finalmente vedere il fondo di verità nel racconto di Erodoto che, come avviene nelle tradizioni degli antichi, non contrastano con le possibili ricostruzioni moderne.
Con la stessa ottica è possibile anche accettare come vera la teoria di Dionigi sull’autoctonia, parlando di una civiltà etrusca sorta e sviluppata in Italia, e degli Etruschi come di un popolo italico.
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