di Fausta Genziana Le Piane
José Ortega y Grasset dedica a Goya un interessante saggio e lo fa da vero ignorante di storia dell’arte.
Dato l’enigma che è Goya, dato il dilemma enorme da chiarire, se non da risolvere, per cui occorre prudenza e rinuncia alle semplificazioni, l’autore inizia con il rivolgere uno sguardo panoramico all’opera intera del pittore spagnolo, non ad una sola delle sue opere. Goya ha trattato tutti i temi, divini, umani, diabolici e fantasmatici. Insomma, non ha operato alcuna scelta poiché si sentiva capace di tutto. Il che non vuol dire che lo fosse. La ricchezza della sua maestria di artefice, la perizia in ogni tecnica della pittura, del disegno e dell’incisione, cioè il suo mestiere, erano illimitate. Goya considerava il suo mestiere di pittore come alto artigianato.
Goya si poneva dinanzi ai suoi soggetti, dinanzi al tema trattato con una strana distanza. Quanto rappresenta – oggetti o persone che siano–non suscita nel pittore alcun interesse diretto, immediato, che riveli il destarsi in lui del minimo calore umano. Quest’assenza di simpatia umana nei riguardi degli esseri che ritrae è una delle ragioni del suo stile.
José Ortega y Grasset confuta l’immagine di un Goya impetuoso e quella di un individuo la cui produzione nasce da un’interiorità solitaria, segreta, profonda e ritrosa.
Individua nei “cartoni” per arazzi, sotto la guida di Mengs, a Madrid, il manifestarsi dell’arte di Goya, la sua nascita. Avverte l’influsso del mondo della capitale e del mondo palatino. Cosa sta nascendo in quei cartoni? I soggetti degli arazzi riproducono scene popolaresche. La direttiva generale di dipingere quadri che rappresentassero i costumi nazionali giunge a Goya dall’alto. La presunta inclinazione di Goya per il popolaresco va inquadrata da altri fattori.
Ortega si sofferma su alcune interessanti osservazioni riguardanti la cultura popolare. Quello “popolaresco” era uno dei grandi filoni della pittura europea già a partire dalla fine del secolo XVI, fin dagli inizi del secolo XVIII i pittori di corte, che erano stranieri, eseguono costantemente temi popolari. Quindi dipingere costumi popolari nel 1775 non significava nulla di particolare. L’autore parla poi del “demotismo”, entusiasmo per l’elemento popolare, non solo in pittura, ma anche nei comportamenti della vita quotidiana, che arriva a contagiare le classi superiori. Diventa una vera e propria frenesia. Altrove è successo il contrario e cioè che le classi subalterne guardavano con ammirazione le forme di vita elaborate dell’aristocrazia cercando di imitarle. L’inversione di questa tendenza è una vera enormità di cui gli aspetti fondamentali sono tre.
Il primo riguarda il modo di vestire e di adornarsi adottato dal popolo di Madrid e di alcune città dell’Andalusia. Gli altri due campi di interesse della travolgente marea “populista” sono le corride di tori e il teatro.
E’ a partire dal 1740 che la corrida giunge a configurarsi come opera d’arte: appaiono le prime “squadre” professionali, in grado di “lavorare” il toro nell’arena secondo riti ben formalizzati e sempre più precisi, culminanti in un’uccisione in regola d’arte. L’effetto che ciò produsse in Spagna fu fulmineo e travolgente.
La corrida scatenò un entusiasmo inaudito e lo stesso fu per il teatro: il quarantennio dal 1760 al 1800 è stato quello in cui gli Spagnoli hanno tratto maggior piacere dal teatro. Prendono forma e si diffondono nuovi generi teatrali – sainetas, jacaras, tonadillas – di origine e stile popolari, o, come la zarzuela, nati a corte ma ogni giorno sempre più influenzati dall’estro popolaresco. Pur essendo il teatro privo di buoni autori, fu un momento culminante per attrici geniali, attori dotati e lo stesso per ballerine e cantanti di estrazione popolare. Gli autori incominciarono a costruire i personaggi delle loro opere a partire delle persone di coloro che li dovevano interpretare. E Goya? Quali sono i suoi rapporti con le corride e con il teatro? A Madrid, dove arriva nel 1775 e dove prende dimora, proveniente da Saragozza dove l’atmosfera lo disgustava, irritava, gli toglieva il respiro, dovette assistere alla corrida né più né meno di ogni altro abitante della città. Non risulta altresì che avesse rapporti con gente di teatro. Nel 1783 gli viene finalmente commissionato il ritratto del ministro Floridablanca che lo deluse accordandogli una protezione tiepida. Tuttavia il suo nome circolava. In breve diventa ritrattista di personaggi famosi ed è nominato pittore ufficiale del re. Nel fondo di quel rozzo artigiano dormiva un senso aristocratico dell’esistenza che, ignoto a lui stesso, agisce dapprima quasi in forma sonnambolica e trapela nei cartoni per arazzi. Goya riforma la propria esistenza: convivono in lui il temperamento primitivo e la mente confusa del paesano contrapposti allo slancio verso l’alto e l’eletto.
Goya è avvolto nel mistero di una leggenda senza documentazione. Il libro più importante pubblicato su di lui è quello di Augusto L. Mayer. Scarsissimi sono i riferimenti all’Artista negli scritti dei suoi contemporanei poiché il pittore vive immerso nel proprio lavoro per la maggior parte del suo tempo, se ne sta chiuso in bottega. Tuttavia, la sua vita è nota dai venticinque anni fino alla morte avvenuta a ottantadue. E dopo la regina sono Jovellanos e Moratin che citano Goya più di frequente. Ma è Don José Somoza che ci fa giungere numerose e fondate informazioni su di lui: nel suo articolo “Goya e Lord Wellington” prende corpo l’immagine di un Goya truce e turbolento.
La vocazione di Goya è la pittura dalla quale fu totalmente posseduto: era un tipico rappresentante della media borghesia provinciale che, all’epoca, era in Spagna di maniere e di gusti enormemente grossolani, gravemente incolta e di ristrettissimi orizzonti. Egli, sia come artista che come uomo, aveva adottato i modi correnti del suo tempo, ovvero, si sentiva omologo al suo ambiente sociale, da esso nutrito e protetto. E tuttavia, già allora Goya è il primo pittore di Spagna, un vero “uomo creatore”. Il coefficiente di novità insito nell’opera di Goya è uno dei più alti che si registrino nell’intera storia dell’arte ma le sue innovazioni non appaiono tutte insieme e all’improvviso ma si vanno manifestando con straordinaria lentezza.
Fausta Genziana Le Piane
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