Tavolo:
“Il lavoro pagato e non pagato tra mercato e cura”
Hanno partecipato alla tavola rotonda: la Prof.ssa Antonella Picchio, la Dott.ssa Rita Borsellino, l’On. Monica Baldi, la sig.ra Federica Rossi Gasparrini e la Sig.ra Silavana Fucito.
Il lavoro, nel mercato e nella famiglia, non si distingue per il tipo di lavoro, ma per la presenza del compenso o meno. Questo, che è stato uno dei temi portanti della Conferenza di Pechino è ancora la chiave per affrontare il problema del lavoro femminile con tutte le problematiche connesse, strutturali ma anche venute alla ribalta di recente.
Questo il filo conduttore dell’intervento della Prof.ssa Picchio che ha aperto il dibattito; il lavoro non è altro che una delle variabili che attengano alla condizione del vivere. L’uomo è vulnerabile e questa vulnerabilità comporta tutta una massa di cure, assistenza, lavori, che da sempre sono presenti nella nostra società ma che solo ora vengono isolati ed assumono una loro configurazione ed una valenza anche di mercato. La donna conosce molto bene questa vulnerabilità sua e degli altri, questo segna la relazione fra: pagato e non pagato, perché i corpi hanno una valenza economica, per la loro riproduzione, per il loro uso, per la loro conservazione.
L’ISTAT ci dice che la massa del lavoro di cura, assistenza, familiare in genere, è ben più ampia di quella del lavoro che tradizionalmente si manifesta sul mercato.
Questo significa che le politiche di conciliazione sono faticosissime; oggi la parità fra uomo e donna si raggiunge ancora sui livelli bassi perché la donna, ma più ancora il sistema economico-sociale si porta appresso una struttura dei rapporti così come si è venuta a configurare nei secoli.
Vi è ancora un conflitto profondo fra le condizioni del vivere e la struttura economica e questo viene pagato dalla donna o in termini di superlavoro o di scarto salariale o di mancanza di carriera, oppure di tutto questo assieme.
In questo si inseriscono le politiche pubbliche, che, in un contesto di risorse decrescenti, bisogni crescenti e modifica degli assetti sociali, devono farsi carico del problema del lavoro pagato e non pagato non più solo come quello che viene dedicato alle donne in quanto tali, ma in termini di effetti sulla vita dei cittadini senza distinzione di genere.
Il tema “lavoro pagato e non pagato” investe la nostra società progressivamente e prepotentemente.
Portare in visibilità il lavoro non riconosciuto, come dice Federica Rossi Gasparrini, comporta quindi una rivoluzione in termini economici, giuridici, legislativi, se pensiamo che la regione più economicamente potente ed evoluta la Lombardia ha 1.600.000 casalinghe, capiamo la complessità dell’approccio e la difficoltà ad “inventare” proposte e soluzioni.
Nel meridione queste difficoltà si vivono ancor di più in maniera drammatica, non solo per l’arretratezza economica e culturale contro cui le donne devono combattere, ma anche per la presenza in vaste aree della criminalità mafiosa che costituisce una cappa pesante allo sviluppo, alla modifica degli assetti sociali e familiari ed alla battaglia per la completa parità.
Rita Borsellino ci ha ricordato come dalle stragi del ’92 in poi la società civile si sia mossa in maniera più determinata e costruttiva, rispetto all’indignazione momentanea, costruendo una rete di associazioni e promuovendo degli strumenti come l’uso sociale dei beni confiscati ai mafiosi, che stanno dando dei grandi risultati, anche in termini di esempio ed incoraggiamento.
In questo le donne sono inevitabilmente in prima fila, proprio per questo loro ruolo di terminale di tutte le esigenze della società, ma anche, ora, di costruttrici di nuove opportunità.
Un esempio è Silvana Fucito, Presidente dell’associazione antiracket, che a Napoli sta facendo un grande lavoro; dopo essere partita da un rifiuto a sottomettersi alla pratica del pizzo con la sia azienda, ha messo a disposizione questa esperienza e questa grande determinazione di tutti i commercianti che vorranno svincolarsi, denunciando i propri oppressori e riportando pezzi di legalità nei quartieri e nei paesi. La Fucito ha ricordato che nel meridione vi è una fortissima presenza di donne nel commercio, dato che si evince anche dall’indagine di Unioncamere e Ministero delle Attività produttive sull’imprenditorialità femminili e la legge 215/92, in cui vediamo che la natalità maggiore di imprese femminili è nelle regioni del sud, soprattutto nei settori del commercio e dell’agricoltura.
Sono importanti, come sostiene giustamente la Gasparrini, le norme legate alle assicurazioni ed alle pensioni integrative per le donne, ma molto di quello che si può conquistare e consolidare sta nella capacità delle donne stesse di mettere a frutto le proprie caratteristiche ed eccellenze.
Lo sostiene l’On. Monica Baldi quando afferma che ormai è riconosciuto alle donne un grande equilibrio, intuizione, concretezza ed una mente più flessibile (che forse deriva da questo svolgere diversi ruoli), che si scontrano però col fatto che “mentre viviamo siamo polifunzionali e mentre lavoriamo siamo marginali”.
Siamo di fronte ad una rivoluzione silenziosa che sta proiettando sempre più le donne nella società e nel lavoro con l’eccezione della politica, in cui si vive una presenza ed un ruolo non proporzionato alle capacità ed all’impegno: i dati che scorrevano sulla lavagna indicano che i consiglieri provinciali sono 2721 uomini e 307 donne, gli assessori 816 uomini e 162 donne, i presidenti di Consiglio 93 uomini e 11 donne; i presidenti di Provincia 96 uomini e 8 donne.
Le donne sono prime nel numero di laureati, prime nei concorsi pubblici, ma nella carriera si fermano, si fanno dirigere dagli uomini; il mondo maschile decide per il femminile, anche l’ultimo rapporto europeo indica che la situazione è più arretrata dei nostri desiderata.
Dobbiamo imparare a non cercare la gratificazione e l’approvazione dell’uomo ma in noi stesse, dobbiamo costituire una rete, come ha ricordato anche la Vicepresidente della consulta Antonietta Vasco, che crei una solidarietà femminile al di là dei partiti di appartenenza.
Le battaglie che non vinciamo a volte dipendono da una scarsa preparazione e coordinazione; bisogna che su una piattaforma comune che segni avanzamenti del nostro ruolo e della rappresentanza dobbiamo essere unite e coordinate anche nei confronti dei partiti di appartenenza.
La UE ha votato l’istituzione di un “Istituto europeo per le pari opportunità”, che rappresenta un grande passo avanti, soprattutto perché dedicherà particolare attenzione al rapporto donne-carriera, donne-funzioni qualificate.
Anche questa consulta è un grande esempio di concretezza, di lavoro al di fuori degli schemi, di trasversalità efficiente; occorre tenacia, un collegamento costante su temi precisi, come ad esempio sulle norme per il finanziamento all’imprenditorialità femminile, che vedranno regioni e province in primo piano.
La Provincia di Bologna ha illustrato il progetto sulla parità retributiva, costruito in modo da poter essere trasferito in altre realtà, sulle dinamiche retributive uomo-donna, in cui la parità diventa la cartina di tornasole del sistema e permette di effettuare una lettura di genere anche per gli strumenti di pianificazione economica e finanziaria.
La Provincia di Novara ha ottenuto un risultato oltremodo lusinghiero con un progetto di creazione di impresa nel settore turistico, che ha coinvolto 15 donne e si è coordianato con esperienze analoghe in altre province montane.
La provincia di Enna ha illustrato un progetto di creazione di nuova imprenditorialità femminile nella floricoltura, operando riconversione di terreni agricoli e dando impulso allo strumento cooperativo.
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L’obiettivo primario di un Paese è raggiungere un reale sviluppo, una sana economia di mercato attraverso una progettualità mirata ad un miglioramento del tessuto sociale e del sistema produttivo.
In questo sistema evolutivo non sempre le donne hanno trovato spazio, scontrandosi con grosse difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.
E’ pur vero che un numero anche se esiguo di donne, sono attive e ricoprono incarichi dirigenziali mentre risulta più difficile l’accesso nel mondo dell’imprenditoria soprattutto se non vi è un filo generazionale.
Fino a qualche anno fa, essere donna significava essere diverse, inferiori agli uomini, e nonostante la loro ricchezza di propositi di sviluppo, idee ed obiettivi, stentatamente sono riuscite a venir fuori dagli stereotipi che le ha sempre viste relegate a ruoli sociali, alla cura dei figli, dei genitori anziani e non a un lavoro che fosse fuori le mura domestiche.
Per fortuna, l’applicazione della legge 125/1991 ha costituito una vera rivoluzione per le donne, segnando un percorso verso la parità di trattamento e l’uguaglianza dei diritti.
Purtroppo però, le leggi non sempre vengono applicate, infatti, da ricerche effettuate in vari enti pubblici, è emerso che a subire discriminazioni sul lavoro sono proprio le donne.
Tale fenomeno è frequente nelle Regioni del meridione, anche e forse soprattutto per una questione culturale e di costume. Un esempio di questi dati, riguarda la Regione Siciliana, dove l’occupazione femminile è scesa dell’1,2%. Un dato allarmante se si considera che anche su scala nazionale, le donne hanno un livello di scolarizzazione superiore a quella degli uomini, ma in contraddizione, hanno più difficoltà ad accedere ai posti di lavoro ritenuti di alta responsabilità.
Ad aggravare il difficile scenario economico del nostro paese, contribuiscono anche le varie organizzazioni criminali, le quali intercettano somme destinate allo sviluppo, favorendo di conseguenza l’espansione di una economia sommersa, illegale, e il proliferare del lavoro nero. Fattori,questi, che generano conseguenze devastanti per le istituzioni e per i lavoratori. Vittime di questo sistema di illegalità sono soprattutto le donne, le quali accettano lavori a basso reddito, senza un reale contratto, prive di garanzie salariali e senza la tutela dei diritti.
Probabilmente però, la discriminazione più mortificante per la donna, è vedersi tagliata fuori dal mondo del lavoro nel momento in cui decide di crearsi una famiglia e magari affrontare una gravidanza. poiché nell’ottica aziendale, rappresenterebbe un soggetto improduttivo.
Nel corso degli anni, le donne hanno portato avanti intense battaglie, al fine di rimuovere discriminazioni occupazionali, economiche, sociali e politiche, per rappresentare al meglio la cultura delle donne e i loro bisogni.
Sebbene la legge 903/1977 vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, non si riesce ad abbattere le pressioni psicologiche che le donne ancora oggi subiscono, portandole spesso alla perdita dell’autostima e alla rinuncia dell’occupazione.
Attraverso un’indagine, è emerso che il 39% di donne si sono sentite discriminate sul posto di lavoro; il 40% dichiara di aver subito mobbing; il 4% dichiara di aver subito molestie, mentre le retribuzione salariale delle donne è del 27% in meno di quelle che percepiscono gli uomini.
E’ opportuno e anche possibile sconvolgere questi dati, attraverso un percorso formativo-culturale, ma nello stesso tempo intervenendo in modo incisivo affinché a legiferare su questi temi, siano soggetti particolarmente sensibili alla problematica e che con coraggio affrontino le cause recondite del disequilibrio.
Le politiche di Pari Opportunità possono far molto affinché sia equa la partecipazione tra uomini e donne nei posti di lavoro, attraverso le commissioni preposte e magari applicando sanzioni per la mancata osservanza delle leggi vigenti.
Inoltre, occorre che il Governo si adoperi a favorire azioni positive, per una forte crescita tra soggetti diversi per sesso e per cultura, riconoscendo a tutte le donne l’alta dimensione affettiva e lavorativa valorizzando la differenza di genere.
Giuseppa Scafidi – IdV – Consigliera Provincia Regionale di Palermo
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