Fuoco di legna anime in cielo Fabrizio De André e i suoi cattivi maestri è l’ultimo gioiello di Franca Canero Medici, somma conoscitrice della poetica di Faber e scrittrice di talento, che mi pregio di conoscere personalmente, «in una vicinanza ideale e umana» che lei generosamente ha voluto evidenziare in una recente dedica.
L’anamorfismo, ingegnosa tecnica geometrica rinascimentale, gioca con la prospettiva e consente una molteplicità di punti di osservazione e una speculare pluralità di prospettive ermeneutiche. L’affresco di Maignan a Trinità dei Monti, con il miracolo di San Francesco da Paola, offre all’autrice una preziosa e imprevedibile chiave interpretativa della poetica di De André e dei suoi rapporti con i “cattivi maestri” del sottotitolo. Nello sviluppo dell’opera, Franca cerca un legame significativo tra i vari “viaggiatori”, ispiratori e mentori di Faber, che prescinda dallo stile e dal contenuto precipui della sua produzione letteraria e musicale. Nel ripercorrere i temi cari a De André, cioè la critica a ogni tipo di potere, l’antimilitarismo e il pacifismo, l’amore per la libertà, la solitudine, il ricordo, l’inevitabilità del dolore, la riflessione sulla morte, la ricerca di Dio, l’autrice cerca d’individuare l’elemento che istituisce un rapporto di convivenza indissolubile e atemporale tra il capitano Faber e i suoi preziosi interlocutori. Quel rapporto è fatto di “luci che si accendono solo quando si è spenta la luce degli occhi”, di “immagini che si possono vedere solo guardando di traverso”; nell’originale concezione di Franca è l’anamorfosi, appunto.
Chi sono i “cattivi maestri”? Sono gli artisti, gli “anticorpi che la società si crea contro il potere”, sono quelli che esprimono “il bisogno di fare qualcosa per l’eternità”, sono gli intellettuali: Eraclito, Platone, Gramsci, Croce, Freud, Sartre, Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Gadamer, i cui echi filosofici risuonano continuamente nelle parole di Franca. Sono i molti poeti, convenzionali e non, citati nel saggio: Omero, Eschilo, Dante, Caproni, Luzi, Jammes, Kerouac, Corso, Pavese, Foscolo, Goethe, Tenco, Pessoa, Pasolini, Bufalino, Montale, Masters, Ginsberg, Brassens, Mutis. Sono i cantautori come Bubola, Manfredi, Gaetano, Dylan, Baez e ancora tanti altri. Tutti hanno contribuito a tessere l’immensa tela creativa che, con un continuo gioco di rimandi, giustappone senza azzardo Faber a ciascuno di loro, e ciascuno di loro a tutti gli altri. Due sono i maestri più “cattivi”: Antonio Gramsci e Pier Paolo Pasolini, intellettuali drammaticamente inorganici, invisi al potere costituito.
Franca si sofferma su alcuni interlocutori privilegiati di Faber. È il caso di Luigi Tenco, “amico speciale”, dalla sensibilità così affine. È il caso di Fernanda Pivano, passione bruciante ma frustrata di Cesare Pavese, da lui convinta a pubblicare nel 1943 una traduzione dell’Antologia di Spoon River di Lee Masters, che le costò il carcere. Molto più tardi lei restò folgorata dall’impigliarsi del cuore sulle labbra, nel momento del bacio fatale, in Un malato di cuore di De André. È anche il caso di Álvaro Mutis, rispettosamente “saccheggiato” da Faber, con gioia squisita di entrambi. Tra i “compagni” della notte dell’ultimo De André l’autrice ricorda Céline, Biamonti, Manganelli, Saramago.
Studiando e assaporando la scrittura di Faber, Franca riflette a lungo sull’ispirazione, che “nasce sempre da un dolore” e in cui, “come nella nascita, si vive il primo disagio”. Il senso dell’ispirazione sta tutto nel tentativo di “essere ricordati […] per non morire”; si scrive “per un incontenibile affiorare di memoria”, ma anche “per dire addio a qualcosa o a qualcuno”. Di ispirazione parla anche il mito di Orfeo, che è caro all’autrice, e che lei richiama spesso in diversi autori. Tradendo il patto stipulato con gli inferi, il musico tracio lascia l’ispirazione nel suo luogo naturale. Euridice rappresenta il fervore estatico da cui l’opera emana, che appartiene alla notte dell’inconscio e non al giorno della razionalità; rappresenta forse quel pavesiano “istante estatico” che “freme nelle ossa” e che “ci farà realizzare la nostra libertà”. Altro leitmotiv nel saggio di Franca è l’estasi, sulla quale De André riflette quando assimila quella mistica a quella della contemplazione di un’opera d’arte, quando vede in un “sogno finale” che “toglie il fiato” -l’ultimo bacio di un malato di cuore- il raggiungimento di un puro “attimo estatico”, quando parla a Fernanda Pivano della sua solitudine. È estasi anche il nirvana buddista anelato dagli autori della Beat Generation, opportunamente richiamati dall’autrice.
C’è poi il canto delle sirene, che attraversa il libro dalle prime pagine alle ultime, che nasconde “il delirio del mare” ma anche un’estrema “possibilità di salvezza”.
Per Franca Canero Medici, come per Faber, la poesia è rito e preghiera, “un modo per non morire o, che è lo stesso, per restituire un senso alla necessità del nostro morire”. Per lei, come per Faber, la letteratura, la poesia, la musica sono altrettanti modi per “capovolgere la realtà in qualcosa di più giusto”. Leggendo questo bel libro scopriamo che è lo stesso per noi.
Cristiana Bullita
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