Spiritualità laica alla prova dei fatti:
Riesumazione di un vecchio discorso sull’Essere
Lettera ad un ipoetico interlocutore “altro”…
Eccomi qui a raccontarti il mio sogno, tu ci sei dentro ed anche molti altri…. ma per semplificare diamoci del “Tu”, parliamo come se fossimo in due, giacché solo in termini duali possiamo parlare.
Spiegare è come giustificare, tu sei lì che sogni e mi dici di avermi incontrato nel tuo sogno poi ti svegli e mi chiedi “sai che ci siamo incontrati in sogno ed abbiamo fatto questo e quello, che ne dici?”
Rispondo iniziando dal discorso del karma (l’agire), non esiste karma, è tutto nel sogno, finché continuiamo a sognare facciamo varie interpretazioni del nostro sogno e cerchiamo di dargli un senso, lo chiamiamo causa-effetto oppure libera scelta o quello che ti pare, ma a che serve descrivere la verità del sogno? Per uscirne fuori, per un risveglio spirituale laico dal dualismo, si “consiglia” di non attaccarsi alle ragioni ed agli eventi del sogno ma di concentrasi su colui che sogna, sull’io, sulla coscienza… senza seguire i pensieri, le intenzioni di questo o quello, bello o brutto….
A che serve ulteriore speculazione quando lo specchio non potrà darti mai alcuna sostanza? Solo il senso dell’essere, di esistere, è innegabile, non si può mettere in dubbio, è la sola certezza o “capitale” che abbiamo. Per esprimere questo essere diciamo “io sono”, questo nello stato di veglia ed in sogno , ma persino nel sonno profondo o nello svenimento questo essere è implicito anche se –allora- non possiamo affermarlo, eppure siamo consapevoli… di esistere.
La coscienza non è un processo descrivibile in alcuna forma, la coscienza può essere sperimentata e direttamente conosciuta, il momento che cerchiamo di descriverla essa sfugge al nostro controllo, subentra l’astrazione del pensiero, eppure essa “assiste” anzi “consente” il pensiero, essa è testimonianza e causa prima di ogni andamento mentale. Purtroppo la mente usa il linguaggio duale e speculare e quindi non può descrivere ciò che è al di là dello specchio. La mente è il riflesso, la coscienza è la luce che si manifesta come riflesso. Essendo quindi questa coscienza l’unica ed assoluta verità puoi anche chiamarla “Dio” -se vuoi- nel senso che essa rappresenta la vera “esistenza presenza”.
Per quel che riguarda la coscienza personale, o mente, essa è solo una rifrazione una “forma” della coscienza, variegata ed irripetibile, come una goccia d’acqua non è mai uguale all’altra, come una foglia non è mai uguale all’altra, come una granello di polvere non è mai uguale all’altro, nessuna coscienza individuale può essere uguale all’altra… questa diversità è la caratteristica della coscienza quando si manifesta nell’aspetto individuale. Ma questa “diversità” è possibile solo perché la coscienza (che è la matrice) nella sua espressione indifferenziata è alla base di ogni manifestazione vitale. La “consapevolezza” priva di attributi è il substrato necessario per svelare ogni attributo.
L’individualità della mente muore con la morte fisica ma non la pura coscienza che continua a manifestarsi in altre innumerevoli forme, la così detta anima individuale è una maschera, una proiezione fittizia, un personaggio nel sogno nella coscienza. Quanti personaggi sogniamo in un sogno e chi sono essi se non il sognatore stesso, ovvero la coscienza che sogna? Quindi, aldilà di ogni pensiero, religioso od ateo che sia, non si può negare “quell’io sono”, l’unica verità.
E’ questo “io sono” che viene definito l’Assoluto nell’Advaita Vedanta, così è nel pensiero Platonico e persino nella Bibbia è detto: “I am that I am” – Io sono quell’io sono. Che senso ha continuare a menar il can per l’aia su un’esperienza ovvia, un’esperienza che non ha bisogno di essere confermata da alcuno, in cui solo lo sperimentatore è reale? Eppure il momento che ricominciamo a ragionare su questo “io sono” appaiono le inevitabili differenze di pensiero (religioni, interpretazioni, ideologie, filosofie) che, come dicevamo all’inizio, sono infinite quante le forme ed i nomi….?
Se dici “io lo penso.. e ci credo” vuol dire qui, ovvero “presenza -fissità” intendendo l’esser-ci in un luogo ed in un tempo. Sarai però d’accordo che l’essere non è condizionato dal luogo e dal tempo, l’essere è indipendente dal luogo e dal tempo e non ha nessun bisogno di riscontro per conoscere la sua esistenza, nè serve conferma nel pensiero. Siccome siamo abituati a confrontarci, e sin qui abbiamo dialogato molto…, possiamo anche dire che “ci” siamo tutti dentro in questa elaborazione dell’esser-ci (sempre tu, io .. e tutti gli altri).
Ma se tu, indipendentemente dal confronto con noi tutti, non sapessi di esistere “ab initium” -indipendentemente dalla “nostra” supposta esistenza- (e nota bene che ciò vale per ognuno di noi) potresti forse dire di non esistere? Potresti affermare oggettivamente e soggettivamente di non esistere se non avessimo questo confronto letterario? Che hai bisogno di guardarti alla specchio per conoscere la tua esistenza? Ma nel girare in tondo in tondo ci sembra di compiere un percorso e siccome siamo abituati a considerare l’esistenza quando si manifesta sotto forma di “pensiero” e –chiaramente- siccome il pensiero, come la parola e come ogni concetto, è per sua natura condivisibile (in quanto si presuppone che possa essere trasmesso ad un “altro”), qualsiasi considerazione appaia nella nostra mente diventa per noi un assioma, una verità, che “possediamo” in comune, ma -attento- a chi appare quel pensiero? Prima di poterlo condividere, chi è quell’io cosciente che lo percepisce (e successivamente lo condivide)?
Senza la prima persona, senza l’essere in prima persona, come è possibile divenire coscienti dell’altro? E del qui ed ora, etc. etc. etc. Questo bel discorso, perciò, non implementa la nostra esistenza, il nostro essere coscienti, se non -forse- per il “sospetto” (ma é una certezza) che “io sono quel che tu sei..”. Io sono e quindi tu sei e quando tu sei io sono allo stesso tempo, ecco-ci siamo riflessi l’un dell’altro, quindi tu ed io siamo la stessa identica cosa: coscienza.
Continuando nel riverbero vedi ora la “specularità” delle forme? Ma per i fatti pratici accettiamo la separazione, come in un sogno, questo è il gioco della coscienza….
Paolo D’Arpini
“La vita è sogno” (Calderon de La Barca)
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