Donne indimenticabili

di Paola Dei

Sigaretta in bocca e sguardo da bambina curiosa, la ricordo rispondere con ironia a chi le chiedeva cosa ne pensasse del fato, in una deliziosa intervista, registrata a casa sua, fra i suoi oggetti da Rai 3: “Che dire! Oggi siamo tutti infatuati!”
Avvolta dalle nuvole di fumo della sua sigaretta Alda insegnava senza farlo e dava pace senza averla o forse riusciva a trasmetterla proprio perché il suo cammino per arrivare ad assaporarla era stato lungo e tortuoso, con qualche sospensione in un ospedale psichiatrico dove lei però sosteneva di aver trovato tanta umanità. Quella che difficilmente si respira in un mondo di infatuati.

«Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita.»
(Alda Merini. La pazza della porta accanto)

L’hanno chiamata in molte trasmissioni, a volte valorizzandola, altre volte invece facendola apparire come un fenomeno da baraccone, ma ne ricordo una di circa 15 anni fa, forse su RAI 1, una fra quelle che più ha esaltato la sua personalità dove lei, dopo esibizioni fra fumo colorato e spazi riempiti di luci, colori, suoni, apparve dal nulla su un seggiolino piccolo, sola, senza scenografie, senza domande, senza fumo, senza nessun colore, ma con le sue poesie in stereofonia al cospetto delle quali ogni altra cosa appariva sbiadita, banale e vuota. Nonostante vivesse tutta la profondità del suo essere e non rifuggisse nessuno dei suoi vissuti, sosteneva: “La superficialità mi inquieta, ma il profondo mi uccide!”. Il femminile con lei assumeva un significato del tutto diverso da quello di una quotidianità stereotipata e si tingeva di mille colori.
Ironica al punto da sostenere che quando un uomo lascia non c’è bisogno di farla tanto lunga… in sostanza… si fa un pianto e poi… vita nuova! Da quel tono cinicamente provocatorio, traspariva una filosofia di vita semplice ma densa di senso, in fondo un uomo e una donna s’incontrano, instaurano legami, spesso si sposano, fanno un pezzo di strada insieme ma nessuno deve rendersi indispensabile all’altro…
Chissà se lo diceva per non farsi uccidere dal profondo inquietandosi persino con se stessa o se silenziosamente cercava di trasformare un dolore in poesia.
“Anche la follia merita i suoi applausi!” recitava con quella sua capacità di stupire unica ed insostituibile, senza fronzoli, pruderie o falsi pietismi che scatenava, senza volerlo, ondate di tenerezza. La sua forza stava proprio in quella nebulosità che la avvolgeva e di cui si faceva complice quel sottile filo di fumo che le usciva da quella bocca che, insieme agli occhi, diveniva il luogo-non luogo dove si concentra l’identità unica ed insostituibile di un individuo. Ascoltare le sue poesie immortali lette da un’altra artista immortale come Mariangela Melato è un soffio che accarezza l’anima, sentirle musicate da Giovanni Nuti è un’esperienza artistica che diventa essa stessa anima, udire gli stati d’animo interpretati da Monica Guerritore, una attrice dotata di grande profondità, è come veder trasformate le percezioni in materia viva e palpabile.
L’hanno definita “la poetessa dei navigli”, figlia di quella Milano da bere dove fra pochi giorni avrà luogo la grande manifestazione dell’Expo, fra nebbie e luci di una città che dista un’ora soltanto da Lugano.
Conobbe Salvatore Quasimodo e fu annoverata per la sua bipolarità fra poeti ed artisti come Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, George Gordon Byron, August Strindberg, Virginia Woolf.

Scrisse:
“… vogliono cibarsi della mia pena
perché la loro forse
non s’addormenta mai!”

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