La nomina di Sergio Lo Giudice a responsabile del dipartimento tematico dei diritti civili del PD, ha aperto un dibattito interno ed esterno al partito. Le sue posizioni sulla maternità surrogata e sul tema delle sanzioni ai clienti delle prostituite, in generale la sua visione che include i diritti delle donne in quelli delle minoranze segnalano come il PD intende confrontarsi, o non confrontarsi, con la disparità tra donne e uomini.
Sulla maternità surrogata a pagamento, le dichiarazioni di Lo Giudice sembrano annunciare azioni parlamentari tese a facilitarne il ricorso da parte dei cittadini italiani.
Le posizioni avverse “all’utero in affitto” assunte da molte femministe e donne e uomini di cultura, reportages e pubblicazioni scientifiche che testimoniano la nocività sociale, fisica e psicologica della surrogazione della gestazione sono da tempo al centro di una riflessione “di sinistra” e laica (l’UDI ha tenuto un seminario nel 2017), riflessione che si differenzia in modo netto dal proibizionismo familistico/religioso del movimento omofobo.
La cultura della riappropriazione delle facoltà sessuali e materne è un patrimonio dinamico del femminismo, una parte del femminismo, che affronta apertamente le sfide quotidiane volutamente mirate alla nullificazione dell’autodeterminazione.
In queste complesse articolazioni, dove è sempre in discussione la libertà femminile, Il PD sembra voler scegliere la direzione neoliberista che banalizza la vendita dei corpi e della prole, dimentico delle convenzioni internazionali (La Carta di Palermo, la carta di Vienna e la Convenzione di Istanbul). Per contrapporsi al conservatorismo di governo ha scelto la via più facile impugnando i diritti delle donne.
Francesca Izzo, Francesca Marinaro e Licia Conte, con una lettera molto esplicita, per questi motivi hanno detto addio al PD. Ho scritto anche io al Segretario del PD Maurizio Martina
Non riesco ad immaginare un dibattito che abbia ragionevolmente portato alla scelta di sostenere la vendita di una facoltà, quella della gravidanza, inscindibile dal corpo di una donna. So, e sappiamo, che è una pratica antica, mascherata dalla modernizzazione, segnata dallo strapotere maschile, espresso col denaro o con la violenza. Una pratica da signorotti e signori, liberi di disconoscere o sopprimere le madri.
Superare le oppressioni, prendere le distanze da destini apparentemente ineluttabili, sono tratti identitari della strada che il femminismo ha fatto percorrere al Paese. Soprattutto sono i tratti identitari del progresso voluto dalle donne, dal femminismo, e della crescita di quella sinistra che, non senza contraddizioni, ha in alcune fasi affiancato le lotte delle donne.
Le donne hanno spinto per l’evoluzione politica, impulso che non sempre viene riconosciuto come patrimonio, e richiamano a consapevolezze sui diritti e sulla loro piena realizzazione. Hanno creato uno spazio politico non neutro, né un luogo di occupazione per finalità opposte a quelle delle istanze ormai iscritte nelle convenzioni e nella giurisprudenza che da quelle discende.
Sarebbe davvero deludente che la politica della sinistra Italiana, nell’attuale desistenza alla lotta contro lo sfruttamento delle donne e contro il femminicidio, distraesse le proprie energie dall’antico debito verso le cittadine per riversarle su territori a loro ostili. Tra i nuovi diritti ce ne sono alcuni che nominati in questo modo, diritti, escludono e avversano quelli femminili.
Sarebbe altrettanto deludente che il maggior partito della Sinistra Italiana, per segnare la differenza col fascismo di governo non trovasse altro modo che, come spesso accade, brandire le facoltà femminili per agitarle contro il suo nemico. Sarebbe questa la lotta tra due nemici delle donne.
Stefania Cantatore Napoli, 1/8/2018
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