da Repubblica – Mercoledì, 30 marzo 1994

di Eugenio Scalfari

Fedele Confalonieri, che lo conosce meglio di tutti perché ci ha giocato bene a biliardino quand’erano ragazzi e ha suonato con lui nelle stesse orchestrine quand’erano giovanotti, ha detto l’altro ieri commentando commosso il trionfo del suo Silvio: “Ha avuto ancora una volta ragione lui perché Silvio è un grandissimo venditore. Gli italiani volevano un partito nuovo? Lui l’ha creato in tre mesi e glielo ha venduto”. Ha ragione Confalonieri. Io lo conosco un po’ meno di lui, ma abbastanza per confermare il suo giudizio: un grandissimo uomo di “marketing”, un grandissimo venditore; capisce che cosa vuole il mercato e che cosa manca, crea il prodotto e lo piazza. Ma aggiungerei anche: un grandissimo seduttore, il che non è alternativo. Berlusconi infatti non venderebbe mai roba prodotta da altri; chi vuole sedurre offre innanzitutto se stesso, pregi e difetti in blocco. Solo così soddisfa il suo bisogno di piacere e realizza la sua necessità di piacersi. In queste ore i suoi lacchè stanno compilando lunghe liste di proscrizione e lo dicono anche pubblicamente: puniremo la Rai, faremo fuori le teste d’uovo ovunque si trovino, epureremo la magistratura rossa, bonificheremo la stampa faziosa. Ma io non credo che questo avverrà. Non subito, almeno. Non prima d’aver sperimentato fino in fondo e in tutte le direzioni le sue capacità di grande seduttore. Lunedì sera, nel pieno del trionfo, ci ha provato perfino con Occhetto dinanzi all’occhio delle telecamere. Il leader del Pds non era in vena e gli ha risposto un po’ bruscamente e un po’ goffamente, ma lui ci ha provato. Non certo per averlo come alleato – e come potrebbe? – né come impensabile ruota di scorta; ma per averne la stima. Berlusconi vuole essere stimato: questo gli manca e questo disperatamente cerca. Non a caso, tra le altre nobili e meno nobili iniziative della sua carriera d’ imprenditore, organizza ogni anno una delle più belle fiere del libro antico: incunaboli, libri d’ore, edizioni aldine di grandissimo pregio. LUI, il piazzista brianzolo, il “ciarlatano” per eccellenza, capace di venderti anche il Duomo di Milano, raccoglie e offre agli specialisti di tutta Europa i capolavori di Aldo Manuzio e le liriche del duca di Berry. Questo è l’uomo che ha messo il guinzaglio alla Lega, che porterà Fini nel prossimo governo della Repubblica e che intanto ha sedotto molti milioni di italiani in Val Padana, a Roma, in Puglia, in Sicilia, dovunque. Bisogna capire bene perché. Le diagnosi politiche ed economiche sono certamente importanti. Nelle ultime ventiquattr’ore ne abbiamo fatto una scorpacciata e ne faremo ancora nei prossimi giorni. Ma oggi vorrei occuparmi di psicologia anche se mi rendo conto che si tratta d’ un esercizio rischioso in un paese accademico come il nostro, dove se non citi Machiavelli e Guicciardini almeno ogni due periodi vieni preso per un imbecille. Qualche giorno fa, in uno dei tanti dibattiti televisivi pre-elettorali, il nostro amico Luigi Spaventa contestava con eccellenti argomenti la promessa berlusconiana di creare in breve tempo, e non si sa come, un milione di nuovi posti di lavoro. Un sostenitore di Forza Italia (non ricordo chi fosse) gli rispose: “Sarà pure un sogno, ma lasciatecene uno, lasciateci sognare e forse il sogno produrrà qualche concreto risultato”. Il primo risultato è stato l’ondata di consensi che ha portato in alto Berlusconi e i suoi alleati i quali, anch’ essi, nella vendita di sogni non hanno badato a spese. Il secondo è stato l’ applauso della Borsa e dei mercati finanziari. Può darsi – perché escluderlo? – che il terzo sia una frustata all’ economia languente e una ripresa di consumi e d’ investimenti. Di consumi soprattutto, che è il fenomeno più desiderato dal proprietario della Standa, della Fininvest e di Publitalia. Una consistente maggioranza di italiani s’ identifica con Berlusconi. E’ venuto su dal niente. Ha saputo sfruttare tutte le occasioni, nessuna esclusa ed eccettuata, è diventato ricco, vive nell’ambiente del cinema e della televisione, è il mago della pubblicità, ha raccolto il Milan nella polvere e ne ha fatto la prima squadra d’ Italia soppiantando l’ antico mito juventino. Ora sarà presidente del Consiglio; domani – chissà – presidente della Repubblica. Non è forse uno come noi? Non potrebbe capitare a ciascuno di noi? Questo è il sogno e questa è una delle ragioni non piccole del successo. Ciampi non stimola i sogni. Spaventa neppure. Occhetto meno che meno. Segni ci aveva provato e in parte ci era riuscito, ma ha rovinato tutto con le sue mani. Come ha detto qualcuno, aveva vinto alla lotteria ma ha perso il biglietto. Disgrazia. Ci sono naturalmente anche altre ragioni. Gli errori dei progressisti: molti e gravi. Bisognava muovere alla conquista dei voti di centro invece di asserragliarsi nel ridotto della vecchia sinistra. Bisognava avere il coraggio e la voglia di rinunciare ai Bertinotti e agli Orlando che hanno recato molti danni e nessun vantaggio. Bisognava candidare trenta Spaventa e inventarsi trenta Magris invece di ricorrere ai sempreverdi funzionari di partito. Tutto vero, tutto giusto. Ma sarebbe bastato a spegnere la voglia di destra degli italiani? Io non lo credo. La sinistra, quella non più ideologica, quella non più persa dietro al mito della rivoluzione e del soviet, quella non più nostalgica di “Baffone”, insomma quella che tutti i democratici responsabili di questo paese hanno auspicato per anni e che in gran parte hanno finalmente visto all’opera; la sinistra che ha sostenuto il governo dei professori, che ha votato la legge finanziaria e l’accordo sul costo del lavoro; questa sinistra, infine, non poteva e non ha voluto far sognare. Quand’ anche non avesse commesso gli errori che ha commesso, non avrebbe potuto invertire la corrente. Gli italiani del 1994 vogliono cavalcare su un terreno privo di ostacoli e col minor numero di regole possibile. Inutile tentar di fermarli, ci vogliono provare anche se durante la cavalcata qualcuno si farà male, farà cadere qualcun altro e lo pesterà sotto gli zoccoli del cavallo. Pazienza, purché vinca il più bravo, il più muscoloso, il più furbo e magari anche il più mascalzone come spesso capita nelle corse senza regole. Il Papa non è d’accordo? Peggio per lui. La sinistra non è d’accordo? Bocciata, si ripresenti agli esami la prossima volta. Questa è la spiegazione della vittoria della destra. Inutile cercarne altre, anche se altre certamente ce ne sono. Questa basta e avanza. Potremmo aggiungere il dislocamento delle clientele democristiane nelle borgate di Roma, in Ciociaria, in ampie zone della Campania e della Puglia, in tutta la Sicilia. Potremmo analizzare lo sgretolarsi definitivo della fortezza operaia di Torino e degli altri distretti dell’ Italia industriale. Ma la ragione numero uno, la ragione primaria è quella voglia di cavalcare senza ostacoli, quella voglia del “fai da te” che nessuna sinistra, rivoluzionaria o riformista, massimalista o pragmatica, avrebbe mai potuto sponsorizzare senza contenerla nel contesto dei valori ideali e culturali che costituiscono la sua identità e la ragione stessa della sua esistenza. Vedremo dunque la destra all’opera. Vedremo fin dove Bossi spingerà i suoi “non possumus” che, a nostro avviso, sono soltanto fuochi fatui e tentativi seppur legittimi di alzare il prezzo e preservare l’immagine leghista nel calderone neo-conservatore. Vedremo le prime scelte politiche del polo vincitore: le presidenze di Camera e Senato, le presidenze delle commissioni parlamentari, in particolare delle commissioni bicamerali, a cominciare da quella antimafia. E vedremo anche tra qualche settimana chi sarà incaricato da Scalfaro di formare il nuovo governo e come lo formerà. Vedremo infine in che modo, con quali procedure e criteri, l’uomo politico e il possibile uomo di governo Silvio Berlusconi regolerà i suoi rapporti con le molteplici attività economiche di cui è il proprietario: televisioni, produzione e distribuzione cinematografica, grande distribuzione commerciale, editoria giornalistica, raccolta del risparmio, partecipazioni in una miriade di settori a cominciare dall’edilizia, elevato indebitamento col sistema bancario nazionale. Nell’America capitalistica è d’obbligo per l’uomo di governo disfarsi di tutte le sue proprietà e investirne il ricavato in titoli dello Stato. Ma lì il Far West è finito da un pezzo. Qui è appena cominciato.

Eugenio Scalfari

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