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 LATTE VERSATO: NULLA E’ PIU’ VERO DI UNA STORIA 
 INVENTATA… Cristiana Bullita è reduce dal Salone del libro di Torino, edizione 2012, dove ha presentato il suo ultimo libro dal titolo: Il latte versato (DEd’A Edizioni): resistere alla tentazione di iniziarne subito la lettura è impossibile.
Ancora una volta sono afferrata dalle sue parole ritmate in svelti e brevi capitoli e, trascinata, sollevata da terra, sorvolo l’universo di una lingua italiana pura, perfetta, precisa, alla quale siamo ormai disabituati. Ce lo dice Cristiana stessa: “Il latte versato è il primo romanzo che ho scritto, nel 2010. Ma giunge a pubblicazione per secondo, dopo un lavoro incessante di revisione, correzione, riscrittura”. Siamo sicuri che gli scrittori contemporanei lavorino così sulla lingua, limandola e plasmandola?
Come nel primo libro, anche qui lo stile è fluido e coinvolgente fino alla fine: storie di donne che si scrutano, maturano, interagiscono l’una con l’altra. Cinquantenni che si scrutano con autoironia, amiche che condividono tratti del loro cammino: Chiara, la protagonista, cerca ancora il primo amore, è un’insegnante atipica di liceo e mi somiglia nel non appartenere talvolta al mondo della scuola, per esempio durante quelle interminabili ore di buco trascorse in Sala docenti o nel Collegio dei docenti, ha una figlia Micol e un ex marito ingegnere, Leonardo; Carla, anche lei insegnante, spinta dall’amore per la conoscenza, sposata, ha una simpatia per l’artista Ludovico; Angela, non ha potuto continuare gli studi perché la famiglia navigava in cattive acque, beve per dimenticare un antico aborto; Francesca, narcisista, amica del cuore di Chiara, dai tempi dell’Università, “intesa al primo sguardo, da subito sorelle, complici, reciprocamente madri,… che ama flirtare con uomini più giovani” (p. 13).

L’ironia disincantata in genere e l’autoironia sono sempre presenti: Cristiana ci porge senza veli il mondo della scuola quale è oggi, dove i libri sono in concorrenza con il web e ci dice che sta alle capacità e all’inventiva degli insegnanti di saper catturare l’attenzione degli studenti sempre più distratti: “Mi imbatto spesso nell’incredibile ingenuità degli alunni. Quando spiego Socrate non manco di sottolineare quanto sia stato rilevante, nella sua riflessione filosofica, il mestiere esercitato dalla madre. Infatti la donna era una levatrice, aiutava le gestanti a partorire, e questa circostanza dovette suggerire al filosofo l’idea della maieutica. Quando poi interrogo i ragazzi sull’argomento, mi capita di sentire affermare, con irriducibile convinzione e più spesso di quanto possa immaginare chi ha una normale consuetudine con le cose della vita, che la madre di Socrate faceva la lavatrice…
-Con centrifuga? Chiedo allora io, immancabilmente
(p. 35).
Anzi, l’insegnante usa lo stesso linguaggio dei suoi alunni, conosce i loro gusti musicali, il loro mondo sentimentale…
L’insostenibile leggerezza della Bullita, la sua acutezza nell’indagine psicologica, la sua saggezza scendono come un velo sulle cose della vita, anche quando sono tragiche, sul presente e sul passato sempre rivisitato con lucidità. Le amicizie della protagonista sono vissute con profonda empatia e partecipazione e con tutto il lessico che ogni terribile esperienza porta con sé, con la consapevolezza che tutto passa, che bisogna cogliere e gustare per un attimo il fuggevole sapore dell’esistenza : “Lacerare, strappare, sdrucire, divellere, sbarbicare. Sono queste le azioni che un aborto evoca (…)” (p. 41).
Cristiana sciorina sotto i nostri occhi il difficile mondo femminile e le manie di un’umanità illusa e irrequieta, che non sa dare ascolto alla timida voce dell’evidenza, non sa elaborare giudizi valutativi, inganna se stessa e gli altri, cerca, riluttante a porsi domande sulla condotta propria e altrui, un impossibile riscatto: “… oggi più di ieri io invoco a gran voce il coraggio dell’indignazione. Il coraggio di prendere una posizione inequivocabile, decisa, perfino intollerante. L’intolleranza verso certi comportamenti, esplicitata nei fatti, a mio parere si configura come dovere morale” (p. 95).
E allora? Non resta che vivere la poesia della vanità dell’attimo e dell’effimero: “Un’ora non è soltanto un’ora, può essere un vaso colmo di profumi, di suoni, di lidi”. Marcel Proust. E il latte versato, che c’entra? C’entra, c’entra…E’ il sogno ricorrente di Chiara: “La piramide di latte, a tre facce, è rovesciata sul tavolo di cucina, forse a causa di un mio movimento maldestro. Fiotti di biacca, in pulsazioni ritmiche, si riversano sul pavimento, schizzando le mie scarpe di vernice nera e i miei calzettoni al ginocchio. Io sono lì e non mi muovo. Interviene mia madre, che lavorava al piano di cottura, distante da me, e solleva la piramide, ormai quasi vuota. Mi rivolge uno sguardo d’incredula disapprovazione, perché ha visto che proprio non mi sono mossa (p. 59).
Cristiana Bullita non poteva scegliere metafora più bella e… più dolce! Quella del latte, simbolo lunare, femminile per eccellenza, legato al rinnovamento primaverile, per indicare il punto culminante della crescita e della maturazione della protagonista che arriverà a non far più versare inutilmente il prezioso liquido. Il latte è naturalmente simbolo d’abbondanza, di fertilità e d’immortalità: nessuna letteratura sacra l’ha più celebrata di quella indiana. Nell’Agnihotra, preghiera del mattino, è cantato ogni giorno dalle origini dei Veda:

Indra e Agni vivificano
questo latte dal canto gioioso:
che dia l’immortalità
all’uomo pio che sacrifica
(I Veda, 284)

E numerose sono le interpretazioni islamiche che danno al latte un significato iniziatico: sognare il latte significa sognare scienza e conoscenza (El Bokhari, Le tradizioni islamiche, Parigi, 1914, 4, 458). Quindi, passata la tempesta della passione, Chiara ha imparato la lezione: essere ciò che si vuole, senza infingimenti, senza censure, riconciliarsi con se stessi e con il mondo.

Fausta Genziana Le Piane

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