Quattro donne intente a cogliere e gustare il fuggevole sapore dell’esistenza
Il Latte Versato è un romanzo tutto al femminile che ha come protagoniste quattro amiche che vivono la loro quotidianità che le porta, nel corso di un’unica giornata, a un epilogo curioso e diverso che cambierà le loro prospettive. I quattro personaggi femminili descritti da Cristiana Bullita sembrano come pezzi di un puzzle che, riuniti, tracciano il ritratto di molte cinquantenni di oggi, inguaribilmente sentimentali, con la capacità di rimettersi in gioco anche dopo delusioni cocenti, più consapevoli della loro tensione verso un equilibrio con sé stesse e con il mondo che le circonda.
La voce narrante è affidata a Chiara (“bellezza serotina, aspra, intrisa di vissuto. Una bellezza non facile, da intenditori. Uno Chateau Petrus del 1961, la mia annata”), una professoressa di liceo che osserva con ironia e incanto il mondo della scuola che la circonda cercando di restare nelle retrovie di chi, anche dopo anni di insegnamento, non si arrende e cerca di non farsi portare via dal flusso delle sterili logiche aziendali perché crede ancora nell’insegnamento e nella funzione della didattica. Vorrebbe ritrovare un compagno di banco che le è rimasto nel cuore e indirizza lettere nella speranza di incontrarlo di nuovo (“mi lasciavo ipnotizzare da quei suoi riccioli neri schiacciati sulla nuca, da cui colavano piccole gocce che si facevano lentamente strada sulla pelle lanuginosa del collo, che poi sparivano oltre il margine superiore del colletto bianco della sua divisa scolastica. Allora furtivamente, premevo con forza il lato lungo del banco sotto il mio petto e mi protendevo sulla facciata verde laminata, avvicinandomi il più possibile alla sedia di Franco. Poggiavo il mento sulla superficie liscia e fresca, a pochi centimetri dal collo di lui, chiudevo gli occhi e facevo una profonda inspirazione. Il sentore di quel sudore bambino mi proiettava in una sorta di paradiso olfattivo ricco di colori, di suoni, d’incanto”). Intorno a lei le tre amiche: Angela nella roccaforte del suo dolore che non si placa, (“si era sporta nell’abisso e ora restava sospesa, oltre l’orlo di quel baratro, incapace di muovere un passo indietro verso la salvezza e consapevole che sarebbe rimasta lì a lungo, forse per sempre.”); Carla nella sua inguaribile fiducia per il destino che guida (“a me sembra di cogliere proprio in lei dell’inquietudine, come se fosse sempre in attesa. In fiduciosa e paziente attesa. Credo sia vittima di un’allucinazione ottimistica non attenuata dal senso della realtà, e consolidata dal rifiuto di dare ascolto alla timida voce dell’evidenza”); Francesca nella sua allegra licenziosità, senza indulto, che diventa anche specchio in cui ritrovarsi (“da sempre sono la lama con cui lei rovista dentro se stessa; potrebbe farcela da sola, ma preferisce lasciare a me il lavoro sporco”). L’autrice con la sua prosa leggera, condita da citazioni piacevoli e ricercate, disegna i personaggi attraverso le loro emozioni, che non gli risparmia, portandoli a descrivere anche lati di sé meno piacevoli o graditi, ma che proprio per questo li rendono più veri e in grado di creare similitudini con chi legge. Qualcuno potrà riconoscersi in questi tratti così umani e magari provare meno vergogna di fronte “all’universalità dell’esperienza del mondo” perché “nulla è più vero di una storia inventata” come l’autrice scrive nei ringraziamenti in fondo al libro.
Proprio da questa frase mi piacerebbe cominciare a far parlare l’autrice.
Quante volte ti sarà stata fatta questa domanda: quanto di te c’è in questo libro?
Sì, è una domanda frequente, e io rispondo sempre che i miei testi sono molto più autobiografici di quanto sia disposta ad ammettere. Quando scrivo parlo di me stessa anche se parlo di altro. In particolare, non posso negare che io abbia un’affinità speciale con Chiara, protagonista e voce narrante di questo romanzo. Chiara è un’insegnante come me, come me tendenzialmente ribelle, combattiva e combattuta, come me sognatrice con la forza tipica e travolgente di chi è spinto dall’amore, dalla sua ricerca e dal brivido che esso genera. Chiara, poi, ama concedersi fugaci ma intense incursioni nella propria fanciullezza, che anch’io continuo a vagheggiare.
Come sono queste cinquantenni di oggi?
Naturalmente senza nessuna pretesa di addentrarmi nell’analisi sociologica, scrivendo questo romanzo ho inteso fornire alcuni ritratti credibili di donne moderne, donne di mezz’età, secondo la corrente e odiosa locuzione. Queste cinquantenni sono ancora inclini a sentimenti delicati e malinconici ma restano anche sensibili al richiamo dell’avventura erotica. Sono coraggiose, o incoscienti, e si lanciano in imprese senza garanzie, investendo tutto, nella consapevolezza della fragilità e della provvisorietà di certi sogni, che poi magari vedono trasformarsi in realtà tangibile. Tentando di sfuggire ai lacci del ruolo e dell’età, sono ancora alla ricerca di un’armonia con se stesse e con il mondo, che molte loro coetanee di mezzo secolo fa avevano da tempo rinunciato a raggiungere. Sono tutte avvolte nell’illusione di una giovinezza prolungata che oggi la scienza sembra garantire e che i nuovi costumi impongono, inducendo comportamenti e situazioni un tempo neppure immaginabili.
Si prova molta simpatia per i tuoi personaggi femminili, ti sei affezionata maggiormente a uno di loro?
Le donne che descrivo sono diverse per indole e per le armi con cui ribattono colpo su colpo alle spallate della vita, ma sono accomunate dal rapporto conflittuale con gli uomini, e dal bilancio foscamente deficitario delle loro relazioni. Per tutte avverto un’empatia che me le fa sentire parte di me. Ma, come dicevo, mi è particolarmente vicino il personaggio di Chiara, che continua a commuovermi per un suo gesto d’amore tenero e disperato e per la difesa incondizionata della sua dignità.
C’è un unico personaggio maschile positivo nel libro che arriva proprio nelle ultime pagine, è l’accenno di un finale romantico?
Attorno alle quattro protagoniste, come satelliti ingrigiti dal loro titanico spessore, gravitano piccoli uomini dal piccolo aspetto, dal piccolo carattere e dalle piccole ambizioni. Uomini scialbi, intristiti, fatui e immateriali pur nella fisicità esasperata, alcuni francamente insopportabili, altri che inducono ad una tenerezza che è quasi compassione: anonimi, impercettibili, inconsapevoli, domestici e rassicuranti, goffi. Tutti escono immiseriti dal confronto con le donne di questo libro. Tutti tranne uno. Lui è il vero deus ex machina, il vero eroe di quest’opera. Non so se l’improvvisa apparizione di quest’uomo-bambino rappresenti una svolta romantica, ma è di sicuro l’evento che tutto svela, tutto risolve, tutto riporta sulla giusta via. E’ il riscatto di quegli altri uomini troppo bambini per essere veri. (di Susanna Casubolo).
Commenti