Racconto di Anna Manna

Sull’acqua. In bilico.
Come sospesa tra il buio delle profondità terrestri e la luce tersa del giorno.
Un’apparizione. La visione di un mondo “altro” che s’insinua tra il battere delle ciglia rimanendone imbrigliato. Un incantamento concesso. Una geografia dell’anima prima chedel paesaggio.
Mantova.
Laura la vide e ne restò prigioniera. Capì subito che era un incontro importante. Di quelli che segnano i ricordi. Quasi una linea di confine. Una città a metà. Tra il sogno e il risveglio.
Ne fu presa subito, anzi si abbandonò a Mantova come se stesse in confessione. Come se davanti a lei non dovesse più fingere. Non potesse più mentire. Come se stesse allo specchio.
E si spogliò di ogni maschera, di ogni inquietudine. S’abbandonò alla città prima d’abbandonarsi alle ore da trascorrere in lei, con lei, per lei. La città scorreva silenziosa sul Mincio, restando in un aurea di distante malia. Come una farfalla variopinta ancora tutta da analizzare. I colori definiti, leggiadri, chiari e scuri si rincorrevano nei muri e nella natura senza urli, senza bisbigli, senza reticenze. Esistevano. E già questo loro meraviglioso esistere bastava. Regali, importanti appena sfumati come raccontassero permanentemente il confine, la demarcazione,l’orizzonte tra il vero e il falso, il pudore e la spregiudicatezza, il limite e il velo senza sbarre. Una vibrazione costante, continua, un pulsare che s’acquietava sull’acqua del Mincio. Un movimento che raccontava la magia del silenzio. Se ne cibava. Si adagiava ad esso divenendone la voce impercettibile. Laura ne fu pervasa. E non oppose alcuna resistenza.
Aveva bisogno di placare le sue inquiete circumnavigazioni della mente. Quell’arrovellarsi, quel ruminare continuo dentro il cuore. Da troppo tempo ormai .La mancata maternità le aveva creato grossi disagi psichici. L’aborto l’aveva annientata in un’assenza ,un vuoto di ruolo.
Era instabile, traballante. Giovanni aveva cercato di aiutarla ma certo non poteva ricucire una ferita che dentro l’agitava e la travagliava continuamente. Vedeva le altre donne correre nei giorni densi di impegni, di affanni, di sacrifici, di amore di madre. Laura non aveva e non avrebbe avuto mai il ruolo di madre. E senza quella maschera, senza quella divisa da indossare si perdeva in mille piccoli doveri quotidiani che non erano assolutamente importanti. Il marito le costruì cento interessi, serate e stimoli a ripetizione. Ma tutto s’infrangeva in quel mare dell’assenza della maternità. Per anni le sembrò di navigare senza meta e cominciò a vivere l’amore come l’unico ruolo reale, come l’unica maschera esistente. Moglie! Questo vestito diventò abnorme,una corazza.
E smise di amare Giovanni.
Quando incontrò Giancesare da lei era completamente assente l’idea dell’innamoramento.
Fu proprio questo equilibrio che negava ogni possibile ipotesi di sentimento che la fece diventare una facilissima preda. Lei era completamente indifesa nei sentimenti. Perchè li aveva negati a monte, anni prima. Per non soffrire troppo dopo l’aborto.
E i sentimenti negati esplosero all’improvviso davanti alle note del violino di Giancesare.
Un musicista. Un uomo capace di affilare il momento fino allo spasimo.
Laura fu vinta dal violino, dagli arzigogoli della stramba psicologia di Giancesare. E iniziò un’avventure tutta di testa. Come una sinfonia. Che cresceva col passare dei giorni, si gonfiava, occupava tutto il suo cuore. Faceva l’amore con il marito nella realtà,e come una foglia d’autunno la sua psiche s’abbandonava alla suonata del violino del musicista. Pasticche, psichiatra, sedute. Niente. S’era sdoppiata. Da una parte la moglie,ruolo vissuto e concreto, dall’altra l’amante, ruolo accarezzato,irreale, non vissuto.
Fino a Mantova.
La città accolse Laura senza sfarzi. Calma, distante. Un sogno sull’acqua.
Cominciarono a passeggiare sulle fredde rive del Mincio.
All’ingresso di Palazzo Te Laura ebbe come una visione. Un guizzo variopinto in mezzo ai visitatori in fila all’ingresso della mostra di pittura.
“Monica, mi è venuta dentro un’immagine. Che so come una visione.”
“Che visione?” l’amica Laura incuriosita.
“Mi è parso di scorgere una giovane coppia. Un uomo ed una donna in abiti antichi, bellissimi, lunghi….”
“Come? Che bello !Sarebbe bello incontrare una favola.Qui sull’acqua!”
“Sì ecco come un riflesso dell’acqua che prende vita… e… oddio ma che stupidaggini vado dicendo!”
“Perché dice così Signora?” si fa avanti una donna in nero con una rosa grigia sul bavero.
“Non si meravigli, Lei ha visto Federico e Isabella“
“Come,come? Cosa dice ? Ci faccia capire bene? Lei è la guida della mostra ?”
“Che importanza ha io chi sono? L’importante è che la signora ha sentito la vibrazione. Sono i fantasmi di Federico Gonzaga e Isabella Boschetto ,sua amante e amore di tutta una vita.
Sono loro che continuano a vagare sulle rive del Mincio. E’ la loro casa, questo palazzo.
Il duca fece restaurare il palazzo per lei. Ne fece un gioiello d’arte.
Questo è il palazzo dell’amore,non lo sapete?”
Laura scoppia a ridere, una risata piena, di gusto, un’aprirsi alle favole, ai sogni, un sollevarsi dalle motivazioni della ragione fino all’estasi dei sogni. Come trovarsi proiettata in alto dentro una bolla di sapone colorata.
Giovanni s’avvicina curioso: ”Ma che vi dite donne di tanto interessante ?Fate ridere anche noi!”
“Signore sua moglie ha sentito una vibrazione. Ha intravisto Federico e Isabella giovani e belli vagare per queste stanze… inoltratevi nel palazzo fino alla Camera di Amore e Psiche avrete sensazioni piacevoli….”
“Giovanni io li ho visti sul serio…. dico Federico e Isabella“
“Laura come sei bella ! Sei accesa, allegra… questo posto è fatato… venite, venite non mi voglio perdere le vibrazioni … qui le mura parlano!”
Il capolavoro di Giulio Romano accoglie le due coppie di amici .Gli ozi di Federico Gonzaga si rincorrono nelle stanze–Museo ed accendono i visitatori di meraviglia. Camera di Ovidio, Camera delle Imprese, Camera del Sole, Loggia delle Muse, Sala dei Giganti.Un girotondo d’arte, una melodia di vibrazioni.Una dietro l’altra fino all’uscita mentre la nebbia notturna invade le logge e custodisce il Palazzo librandolo nella notte mantovana in una dimensione onirica.
Laura è come soprapensiero. E’ rimasta colpita dalla storia di Federico e Isabella. Questo amore clandestino così importante, così regale. Quasi istituzionalizzato.
Rimane frastornata fino alla cena.
Un ristorante alla moda, elegante, pieno di profumi. La cena con gli amici, come una scoperta di nuovi sapori ad ogni portata.
Una incomprensione con Giovanni. Una lite piccola, piccola, quasi inesistente.
E la paranoia nella testa. La ribellione, la voglia di fare qualcosa solo per ferire Giovanni prende forme e sembianze di Giancesare.
Il suono di un violino ascoltato per caso nel ristorante -forse la televisione accesa- diventano lo sguardo incantato di lui, si materializza,le note diventano parole. E quel lungo sibilo nella testa. Un momento fulmineo, un laser a spaccarle le tempie. Giancesare è lì nel ristorante.
Ne sente lo sguardo felpato sulle spalle. Vede la carezza degli occhi, il guizzo del desiderio nel viso affilato. Si sente schiacciata. Vorrebbe fuggire. Mentre il violino continua a suonare, sfacciatamente, racconta a tutti quel desiderio provato.Senza ritegno.
Le tremano le gambe. Quel sibilo continua a ferirla, a distrarla, a reclamarla.
Federico, Isabella…. il vin brulè… il miele… il buio fuori dalle finestre del ristorante: ”Non mi sento bene, ho bisogno di aria…”
“Che c’è amore,ti ha fatto male il vino?”
“No,Giovanni, anzi sto bene… ma ho bisogno di andare in albergo…”
“Andiamo subito cara, scusateci…”
“No,no… voglio andare via da sola… Giovanni non irritarmi voglio andare via da sola“
“Ma fuori è freddo ,è buio. Dove vuoi andare Laura. Ma che ti prende? Si può capire cos’hai?”
“Non lo so neanche io Giovanni,è che non lo so cosa mi prende, ma voglio andare da sola in albergo!”
La notte a Mantova impazziscono le stelle. Ad una ad una tentano di riconoscersi sull’acqua.
“Sei tu quella?” Laura le cerca in cielo e si diverte a rincorrerle con gli occhi sull’acqua.
“Ma che sto facendo. Andar via così dal ristorante, piantarli tutti in asso…” Prima timorosa, come confessando a se stessa una prodezza. Poi sempre più allegra, come una bambina che ha rubato la cioccolata.
“Ma che m’è venuto in mente..e …se Giancesare mi segue? E se mi segue Giovanni?
Ma sì che stupida, figurati se non mi segue…sarà preoccupato…come ho potuto pensare che
mi lasciasse andar via….mi vuole bene Giovanni…mi ama. Mi ama ?
E che ne so ,e che m’importa chi mi ama. Sempre a domandarsi questo e quello…come è bella questa notte… oddio è splendida!”
La notte a Mantova i silenzi hanno parole. Bisbigliano vibrazioni lungo il fiume. Laura comincia a camminare con passo svelto lungo l’argine.Le luci del Palazzo danzano sull’acqua come fate.
La notte a Mantova s’incontrano le fate. Le fuggi e le vorresti interrogare .
“Ma insomma che faccio adesso? Se mi segue il suono del suo violino ancora fino in fondo,fino alla mia stanza d’albergo…non potrò dormire. E Giovanni vorrà sapere perché non dormo. E dovrò spiegare a me, a lui i perché e…”
La notte a Mantova s’accucciano le domande lungo il fiume. Si lasciano dondolare dalle foglie.
Laura si accuccia infreddolita sull’argine. ”Se mi segue Giovanni vuol dire che sono una moglie.Se mi segue Giancesare vuol dire che sono un’amante…. E se non mi segue nessuno dei due… vuol dire che nessuno mi ama… che… Ma io, io chi voglio che mi segue?”
La notte a Mantova il sonno viene a sbrogliare i pasticci, a farne lunghe strisce di sapore.
Come i filamenti zuccherati che si vendono sulle bancarelle.
E’ buio pesto. Dalle tende pesanti non filtra neanche la luce soffusa delle stelle.
Laura nel letto si appisola stanca ed infreddolita. Ha dimenticato di chiudere a chiave la porta.
Si risveglia, anzi si lascia svegliare. ”Come è dolce questa città… ti entra nelle vene… così al buio non ho paura… mi sento accarezzare dalle sue strade dalle sue leggende.”
Lunghe, sinuose carezze la fanno vibrare.Il suo corpo si risveglia a poco a poco. Prima il viso, poi le spalle e tutto le braccia. Ha caldo, il freddo della notte è un ricordo. Soltanto un avvolgente abbraccio di calore la sostiene e le da forza.
Mille farfalle attraversano la pelle. ”Le vibrazioni di Mantova le senti? ”Una voce maschile, rassicurante, protettiva. Laura s’accuccia a quel corpo di maschio vicino a lei. ”Ho dormito, quando sei entrato? Non me ne sono accorta“
Nessuno le risponde, sente soltanto l’alito caldo su tutta la sua pelle. Sente scorrere quell’alito su tutto il suo corpo. Entrare in ogni suo diniego.
“Giovanni sei tu ?”
Un lungo sibilo le risponde, il suono di un violino nelle tempie.
“Oddio sei tu…. Giancesare sei tu… sei venuto fin qui ed io mi sono lasciata amare… perché dormivo…”
E mille e mille sinfonie dentro il suo corpo. E lievi danze delle foglie sull’acqua.
E le stelle ad impazzire nella notte.
“Non mi rispondi perché vuoi che io riconosca chi sei… ma chi sei che importa?”
-Come parlando tra sé -… io non avevo mai provato questo abbandono, questa essenza d’amore senza calice… quest’assenza di nomi nella notte”
Caldo il corpo da accarezzare. L’alito la riveste di magie. La culla dopo l’estasi nella notte.
“Sei Giovanni… nessuno potrebbe conoscermi così bene… fino alla fusione totale dei nostri corpi… sei Giancesare nessuno potrebbe meravigliare la mia pelle con carezze così diverse senza ruolo… senza tempo… siamo Federico e Isabella… siamo.. chi siamo noi due che ci amiamo nella notte ?”
Il suo abbandono, il suo calore, la sua presenza ha qualcosa di strano. Laura si protende verso l’apliques sul comodino. Lui spegne subito. Ma la luce fa in tempo ad illuminare gli occhi.
Vividi, guizzanti, fieri. Gli occhi di un cacciatore innamorati della sua preda. ”Sono i tuoi Giovanni sono i tuoi occhi di allora, quando credevamo in noi due e nel nostro futuro… no no sono i tuoi Giancesare sono i nostri occhi nuovi di oggi… ma… ma perché non mi parli! Vai via?… non andartene… Chi sei?”
Sulla porta bianco, immacolato, il pelo splendido .Gli occhi guizzanti della fiera.
Un lupo.
Laura corre alla finestra, si protende nella notte come a rincorrere, ad afferrare una verità.
Un lupo nella notte buia e profonda s’allontana veloce. Si gira. Uno sguardo tagliente e fiero fende l’aria fino all’anima. Ironico, basta a se stesso. Senza nome, senza ruolo.
Senza senso e senza motivo.
Il desiderio è come un lupo nella notte incantata. E non ti dice mai il nome né che ruolo riveste.
E’ come un lupo che ti raggiunge a sorpresa. Fino a quel momento può essere stato un marito, o un innamorato o qualunque altra sembianza.
Dopo sei la preda del lupo. E nient’altro.
E nei sei felice, almeno fino all’alba.
Quando la luce ti riveste di domande, di dubbi, di storia.

Anna Manna

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