sua nascita e storia
Recensione di Maddalena De Leo
E’ uscito nel 2001 andando a ruba sugli scaffali di tutte le librerie inglesi, l’ottimo libro di Lucasta Miller The Brontë Myth, un’attenta ricostruzione del mito brontëano e dei motivi che ne hanno consentito la progressiva formazione negli ultimi due secoli. Il testo, articolato in nove capitoli, è ottimamente corredato da moltissime note contestuali, da una ricca bibliografia e diverse immagini.
La Miller pone alla base della propria analisi il grande desiderio di Charlotte di ‘essere conosciuta negli anni avvenire’. Nel primo capitolo infatti ne ripercorre le tappe fondamentali di vita alla ricerca della tanto desiderata fama, atteggiamento che vide però nella Brontë alcune battute d’arresto allorché, dovendosi realmente fronteggiare con critici e disistimatori, ella preferì mimetizzarsi sotto la copertura dello pseudonimo.
Solo alla morte delle sorelle, Charlotte volle palesarsi per difendere la loro memoria e, delineando loro e sé stessa come semplici donne di provincia senza alcuna ambizione letteraria, vissute a contatto con la natura in un isolamento pressocchè totale, fu la prima a creare, secondo la Miller, quel mito intorno alle tre sorelle che fu poi cementato dalla Gaskell alla sua morte.
La vera etichetta di personaggio triste e solitario, soprattutto ‘sofferente ed eroico’ fu posta a Charlotte dalla Gaskell che sin dall’inizio della loro conoscenza fu attratta più dall’aspetto biografico di Charlotte che non dai romanzi che riteneva, malgrado tutto, alquanto controversi e pericolosi per la morale vittoriana. Creò così, lei per prima, nella sua famosa biografia, la tradizione delle Brontë = guai e dolore, soprattutto insistendo sulla snaturata indole del loro padre e sulla solitudine di cui era pervasa la Parsonage di Haworth, nell’intento di depurare il personaggio di Charlotte e difenderlo dalle accuse dei contemporanei. La biografia della Gaskell creò così effettivamente il mito delle Brontë come ‘angeli del focolare’, in linea con la mentalità del tempo, sacrificando per decenni la qualità della loro arte a tale denominazione.
Dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi il ‘mito’ Brontë è di molto cambiato e progredito, secondo la Miller, attraverso l’interesse riservato alla vita delle autrici da, Emily Dickinson, May Sinclair, Virginia Woolf e varie altre femministe. Addirittura negli anni ’80-90 dell’Ottocento si diffuse la mania degli oggetti.feticcio appartenuti alle Brontë, per il cui possesso soprattutto gli americani facevano a gara, fenomeno corrispondente in un certo senso a quello commerciale degli ultimi anni del Novecento in cui, per fini turistici, l’immagine delle Brontë si è ritrovata su biscotti, profumi o qualunque prodotto venduto a Haworth e nello Yorkshire.
Il momento di rottura e quindi di passaggio tra ‘800 e ‘900 si ebbe quando le lettere di Charlotte a Heger furono rese pubbliche nel 1914. In seguito a ciò il personaggio Charlotte assunse connotati umani fin troppo diversi dall’icona vittoriana tutta santità e devozione casalinga tramandata sino ad allora e ne emerse invece una donna complessa e innamorata, facile preda per la nuova imperante tendenza all’analisi psicobiografica affermata con Freud e Lytton Stratchey.
Tale novecentesca visione decretò infatti, a partire dall’inizio sino alla metà del secolo, la riduzione definitiva del personaggio Charlotte anche a detrimento della sua arte, cosa che privilegiò l’ascesa dell’interesse verso la personalità di Emily, ignorata o quasi sino alla fine del diciottesimo secolo. Come precisa la Miller nella seconda parte del libro, la storia del mito di Emily è stata alquanto travagliata, avendo subito un depistaggio iniziale da parte della stessa Charlotte che, protettivamente, aveva descritto le sorelle come ‘ragazze senza pretese e senza cultura’ consegnando ai posteri tale idea.
Per quasi tutto l’Ottocento di Emily e del suo romanzo non si parlò se non in modo disgustato e poco interessato e fu grazie alla biografia di Mary Robinson del 1883 che finalmente Wuthering Heights fu considerato un romanzo dallo spessore letterario, anche se esclusivamente ispirato, secondo tale biografa, a quanto Emily aveva assistito vivendo in casa con il depravato fratello Branwell. Fu però May Sinclair all’inizio del Novecento la prima ad interpretare Emily in chave mistica, aprendo così la strada a quello che è l’orientamento della critica moderna su di lei ed evidenziandone il rapporto simbiotico con la natura.
Il secolo ventesimo ha visto quindi una progressiva ascesa del mito di Emily proprio perché poco conosciuta e così impenetrabile: ogni suo biografo, alla ricerca inutile della verità, ha contribuito a dare la sua azzardata versione di Emily: eretica, stoica, mistica, lesbica, incestuosa, visionaria sono solo alcuni degli aggettivi che l’hanno caratterizzata di volta in volta negli ultimi decenni.
Per tutto il Novecento si sono avute trasposizioni filmiche dei romanzi Brontë e della loro biografia, sempre abbastanza dissimili le une dalle altre, il cui tratto significativo è stato comunque sempre quello di sminuire la validità letteraria delle opere privilegiando il ‘mito’ ormai consolidato connesso alla vita delle loro autrici.
Rimane, comunque per la Miller, la convinzione che in questi due secoli si sia speculato solo su Charlotte ed Emily come donne mentre invece, ancora sino ad oggi, non si è data la dovuta importanza a ciò che di loro più conta, la scrittura.
Lucasta Miller, The Brontë Myth, Vintage, London, 2002, pp.320, ISBN 0 09 928714 5
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