BAGHDAD (Iraq) – Ban Hanna ha meno di cinquantanni, è nata a Bagdad, è una cristiana caldea. Da poco più di un anno vive con i suoi otto figli, due nuore giovanissime, una sorella e due nipoti, in una casa-pensione del quartiere di Beyoglu, ad Istanbul. Per Ban Hanna e la sua famiglia, questo Natale del 2006 è stato il secondo “Natale turco”. Un’espressione che usano anche i più piccoli per indicare la diaspora particolare della famiglia, un riflesso di quella generale che sta coinvolgendo migliaia di famiglie irachene, di religione cristiana, costrette per salvarsi la pelle ad abbandonare le proprie case, e a cercare rifugio nei Paesi oltre confine.
Attentati, stupri e omicidi contro di loro sono all’ordine del giorno. Il livello altissimo di violenza che ha toccato ormai tutte le fasce della popolazione civile irachena, e continua a martoriare il Paese al ritmo di sessanta-settanta attentati al giorno, non li ha certo risparmiati. Anzi. Nell’Iraq dell’odierna mattanza quotidiana, la comunita’ cristiana, un tempo espressione della borghesia politica e intellettuale irachena, è diventata un bersaglio di sangue. Fanatici fondamentalisti, jiadisti esagitati, e criminali comuni, conducono da almeno due anni una “caccia al cristiano”, casa per casa, che intreccia odio religioso e tribale con invidie antiche e feroci ritorsioni.
Ban Hanna è stata costretta a lasciare la sua casa e il suo quartiere, Al Jadida, per paura dei rapimenti e degli stupri. Temeva soprattutto per le sue figlie e le sue nuore, che hanno da dieci a venti anni. Nel suo quartiere, ha raccontato il giorno di Natale ad una giornalista turca, molte ragazze cristiane sono state rapite e violentate, altre perseguitate perchè non indossavano il velo islamico e costrette con minacce e violenze contro tutta la famiglia ad ubbidire.
Quando un gruppo di fanatici vestiti di nero ha fatto irruzione nella casa di un suo vicino, padre di quattro ragazze adolescenti, Ban Hanna ha deciso di lasciare Bagdad. Di andarsene dall’Iraq. Con lei, sono partite anche due famiglie di lontani parenti: ventitrè persone in tutto, con una maggioranza di donne e di bambini, madri e figlie adolescenti, sulla strada per il nord curdo e il confine turco. Tutti con la carta d’identita’ irachena in una tasca, e il certificato di battesimo nell’altra. […] I numeri: nel Natale del 2005, i cristiani caldei iracheni erano più di 600.000, un anno dopo, a Natale del 2006, sono praticamente dimezzati, anche se stime ufficiali non ne esistono. Le storie: dall’inizio dell’invasione americana del Paese, da un Natale all’altro, sono tutte cronache di morte, di partenze e di addii. Ma è stato questo del 2006, il Natale più insanguinato della sporca guerra irachena, e probabilmente di tutta la storia dei cristiani di Mesopotamia. Una storia antica che da duemila anni vede qui presenti armeni, cattolici di rito caldeo, cattolici di rito siriano, protestanti, battisti, nestoriani, e li vede convivere con i musulmani, condividendo case e quartieri. Una convivenza consolidata e mai rimessa in discussione, compreso negli anni di governo di Saddam Husseini.
Per il Corano, i cristiani fanno parte idel ‘popolo del Libro’; come tali, sono liberi di professare la propria fede nel territorio dell’Umma, e ogni musulmano ha l’obbligo di rispettarli e di proteggerli. Ma nonostante il Libro sacro dell’Islam sia chiaro su questo punto, come chiari sono gli Hadith e la Sunna (Maria, una cristiana copta fu la seconda moglie del profeta Muhammad), le bande fondamentaliste irachene ne fanno carta straccia, e considerano i cristiani alla stregua di infedeli’, accusandoli tutti anche di “collaborazione con gli invasori crociati’.
Nel mirino non manca nessuno, donne e bambini, religiosi e studenti. A Ninive, Mazen Sako ha perso il figlio Majed di 10 anni, ucciso da un gruppo di fondamentalisti armati che avevano fatto irruzione nella sua casa gridando “morte agli infedeli”. All’Università della città di Mossul, capoluogo della provincia irachena a più alta densità cristiana, sono millecinquecento gli studenti che si sono autosospesi dalle lezioni per le minacce di morte degli islamisti che controllano l’università. Ci sono stati gravi attentati anche agli autobus che trasportano i fuorisede; violenze fisiche e minacce di morte alle studentesse che non indossano il velo.
Due settimane prima di Natale, un uomo di 69 anni, componente del Consiglio degli anziani della Chiesa Evangelica Presbiteriana di Mossul è stato rapito davanti alla porta di casa da un gruppo di uomini armati. Quattro giorni dopo, il suo corpo è stato ritrovato in un vicolo della città. Nel mese di novembre, l’uomo, che si chiamava Muthir, era stato ripetutamente minacciato, pena la vita, a non mettere più piede in una chiesa, tanto meno a festeggiare il Natale. […] Tra qualche giorno, con l’anno nuovo, Ban Hanna e la sua famiglia dovranno ripartire. Il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia sono le mete finali della nuova diaspora araba: la Turchia non concede ai cristiani iracheni lo status di rifugiati. Oggi, sono 4340, dispersi tra Istanbul, che ospita la maggioranza degli esuli, e altre città minori, lungo la costa mediterranea. Per loro, l’Ouvre d’Orient e l’Aide a’ l’Eglise en Detresse stanno raccogliendo i fondi necessari a costruire un centro d’accoglienza. “Abbiamo bisogno di altri 285mila euro”, ha dichiarato alla stampa Yakan. […] D’altronde, guerra e violenze hanno trasformato ragione e sentimento. “Nessuno dei miei clienti abituali è venuto quest’anno nel mio negozio, – ha raccontata all’agenzia Reuters il commerciante Saadit Rassoul Chakir -, i cristiani sono partiti quasi tutti l’anno scorso, dopo i bombardamenti delle chiese, gli attentati e i morti. Chi è rimasto ha paura, e non gli va di esporsi, di fare da bersaglio. E d’altra parte, anche gli agricoltori non se la sentono di passare i posti di blocco con un carico di abeti, tutti abbiamo paura”. […]
di: Nella Condorelli
da: articolo21 (articolo completo: www.articolo21.info/notizia.php?id=4423)
data: 27/12/2006
Commenti