“Usato anche quando si sapeva che era pericoloso”

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 PROCESSO A QUEL "TALCO" CHE AVVELENAVA L'ARIA

Morti d’amianto, morti che si potevano evitare, morti causati dalla negligenza di chi ha violato i principi basilari della sicurezza. La condanna, pesantissima, per il patron del Gruppo Espresso ed ex presidente dell’Olivetti, Carlo De Benedetti, associata a quelle inflitte al fratello ed ex senatore del Pds-Ds Franco e all’ex ministro Corrado Passera, dimostra che, almeno per quanto stabilito in primo grado, è stato davvero il «talco assassino», utilizzato nella fabbrica per macchine per scrivere e calcolatori dal 1963 al 1996, a portarsi via la vita di alcuni operai, colpiti da malattie devastanti come il mesotelioma pleurico. Per anni, dunque, nell’Olivetti di Ivrea dell’Ingegnere si è lavorato con l’amianto presente nella fibra usata per assemblare gomma e metallo e nelle strutture edilizie necessarie a rivestire pareti e soffitti e isolare le fonti di calore. Alla fine della prima tappa, e dopo aver ascoltato 134 testimoni e 28 consulenti, la conclusione è stata chiara. Così come chiaro si è rivelato il dibattimento da quando, nel gennaio scorso, gli imputati sono stati rinviati a giudizio. In aula è comparsa Bruna Perello, un’ex dipendente malata di mesotelioma diagnosticato, dopo 43 giorni di ricovero, nel 2011. Di fronte ai magistrati, la donna ha ricordato di quando, arrivando in azienda, sulla scrivania trovava sempre «una polverina bianca caduta dalla soffittatura», tanto da portarsi «sempre uno straccio da casa per pulire il tavolo». Anche un secondo testimone, Pierangelo Bovio Ferassa, che ha lavorato nella catena di montaggio delle macchine per scrivere dal 1963 al 1980, respirando il talco a base di tremolite, ha affermato di non poter sospettare che quella polvere fosse a base di amianto: “Noi la chiamavamo borotalco (…). Dove lavoravamo non c’era alcuna aspirazione d’aria particolare. Mi ricordo, però, che c’era un camion che veniva ogni anno in azienda per delle visite. Ci faceva delle lastre ma non so dire perché, nessuno ci spiegò a cosa serviva».

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