di Maddalena Rispoli

Ufficialmente Gerlando era “custurieri”(sarto) rifinito ma in quel fottutissimo paese da quattro soldi pochi erano abituati a vestirsi dal sarto, preferivano ”farsi cucire” dalle loro mogli che non costavano nulla ed obbedivano più rapidamente ai loro ordini. Così, il povero sarto nella sua casupoletta non riusciva mai a mettere insieme il pranzo con la cena e per di più era costretto ad ascoltare le litanie della moglie Addolorata che piagnucolava in continuazione biascicando un rosario di :”Mischini, commu n’arridducemmu…”. (Poveri noi, come siamo ridotti!)
La moglie si alzava sempre di buon’ora alla mattina, ancora in sottoveste si lavava il viso nel catino che era all’angolo della camera da letto, si spazzolava i lunghi capelli e poi li intrecciava per ricomporli in una crocchia dietro la nuca. Quindi indossava le calze di cotone pesante e le scarpe di pezza,una gonna ampia fino alle caviglie ed un corpetto alquanto liso. Il nero, ingrigito dal tempo, era imperante su questa divisa quotidiana.
Poi strisciando quasi lungo i muri del paese si recava alla prima Messa nella Chiesa di san Diego insieme ad una folla invisibile di donne come lei, nere e silenziose che si sarebbero ricomposte tra i banchi per litaniare. Quella era l’ora più adatta per andare a purgarsi l’anima confondendosi con le tenebre che annunciavano l’alba. Loro erano davvero devote e non come quelli che si manifestavano senza timore di Dio, contro il Papa e addirittura contro i preti. C’era da farsi la croce quando si incontrava Benedetto
Menzalira il quale senza alcun ritegno passando davanti alla Chiesa recitava a voce alta per essere udito:
“Monaci e parrini, taliati la Missa e stoccaci li rini”(Monaci e preti, ascolta la Messa e poi picchiali!)
Le brave donne rispondevano nella loro mente:
“Cu avi un figliu parrinu,avi’ngnardinu” (Chi ha un figlio prete, possiede un giardino)
All’uscita non ci si fermava a chiacchierare, sarebbe stato sconveniente e disdicevole per femmine di casa come loro, tutt’al più si poteva fare un pezzo di strada assieme. La sua compagna di ritorno era sempre comare Rosetta Zaccà, dirimpettaia di vicolo e donna piuttosto loquace.
“Sapiti, cummà, oggi a mio marito ci voglio fare le melanzane a stuffatu (stufato) nel testo di creta come faceva mia nonna” Esordiva Rosetta “Voi come le fate?”
Addolorata si schiariva la voce e con tono dottorale rispondeva:
“Io piglio le melanzane piccole,ci faccio tre ‘ntacche (tagli) e con il dito ci infilo il sale per spurgare, poi le passo nell’acqua fresca e in ogni pirtuso (buco) ci ficco una ‘nticchia di aglio e un pezzo di provolone piccante. Intanto nel testo ci mentu l’olio di oliva, la conserva di pomodoro, l’aglio e una ‘cchiappa (fetta) di pomodoro secco a pezzetti, scaldo e ci faccio girare le melanzane. A questo punto è assai importante allungare un poco col vino bianco e l’acqua. E fazzu cociri. ”(E faccio cuocere)
Ribatteva Rosetta:
“Viditi chi puru vui vi scurdati a cosa megghiu?” (Vedete che pure voi dimenticate la cosa più importante?)
Addolorata incuriosita:
“O Maria, chi cosa?”
Rosetta trionfante:
“Ma a fogghia di lauru!” (La foglia di alloro)
La discussione proseguiva sulla necessità dell’alloro fino alla porta di casa dove si rientrava nella realtà e nel povero pasto giornaliero.

Finalmente Gerlando aveva preso la decisione più difficile della sua vita: sarebbe divenuto un confidente della Giustizia,almeno avrebbe assicurato la dignità di un pasto a quella povera anima della consorte; forse gli sarebbe costato la vita però come recita il proverbio: ”Ognunu è patruni di pulizziarisi ‘u culu c’un corpu di lupara” (Ognuno è padrone di pulirsi con un colpo di lupara) e, dunque, morire con la pancia piena sarebbe stata una bella soddisfazione.
Era divenuto quindi gli occhi e le orecchie del paese e nulla sfuggiva a questi suoi organi che, quasi quasi, si erano ingigantiti dalla loro primaria fattura per divenire di proporzioni fisiche maggiori e ogni senso si era acuito: l’attenzione era prestata anche al passaggio di un cane figuriamoci a quello di un cristiano! Seduto su di una seggioletta davanti alla porta agucchiava senza fine su di uno straccio e nulla e nessuno poteva sfuggire alla sua attenzione essendo divenuto una sorta di radar umano. Ormai era talmente abile da leggere anche sulle labbra ciò che veniva sussurrato, comprendeva uno sguardo e quello che vi era celato, conosceva il significato anche del più piccolo movimento di un baffo.
Certo, da quando aveva intrapresa la nuova attività le sorti sembravano divenute più benigne verso di lui poiché qualche lira si vedeva circolare per casa tanto che aveva potuto comprare uno scialle nuovo alla moglie. Nulla di particolarmente dispendioso, si badi bene, però di dignitoso e non rattoppato, si.
Niente stravizi, ovviamente, per non attirare sospetti però alla solita cipolla per pranzo adesso si poteva accompagnare un buon bicchiere di vino ed un piatto di pasta quotidiano, il che non era poco. Ma anche le giumente avevano occhi per vedere, orecchie per sentire e bocche per parlare.
Ben presto gli uomini in piazza da sotto la coppola cominciarono a favoleggiare dell’improvvisa ricchezza del sarto e le donne diffusero in un baleno ai quattro pizzi del paese dei pranzi luculliani, innaffiati da litri di vino,che adesso si consumavano in quel tugurio di casa. Qualche parente americano? Qualche vincita al lotto? Qualche benefattore? Ogni congettura era ammessa e si arrivò al punto di seguire Addolorata per vedere che tipo di spesa facesse la mattina, lei che da anni non usciva di casa che per recarsi alla Messa con quel suo vecchio scialle tutto tarlato e rammendato come la rete di un pescatore.
Eppure la spesa era sempre al limite della modestia fatta di cibi semplici e parsimoniosi ma la cosa che stupiva era che adesso c’era una certa continuità sospetta e tutto veniva pagato in contanti anche da Cocò u vucceri dal quale non comprava carne da anni; c’era chi giurava di averla vista comprare da Cocò addirittura un lacerto intero!
La vita dei due sposi proseguiva come sempre, ritirata e dedita al lavoro quotidiano,nulla era cambiato nelle abitudini o nell’abbigliamento; le giornate continuavano a scorrere come il rigagnolo che trascinava con sé le sporcizie della strada ma lasciava integre le chiacchiere della gente che ormai volavano di bocca in bocca, di scialle in scialle, di coppola in coppola fino a raggiungere le orecchie di Don Diego Peritò mentre era intento a mangiare uno spongato di limone al Bar Centrale .
“In questo paese c’è qualcuno che pipitìa (pigola) troppo assai e non si fa i fatti suoi… Così mi fu riferito. La cosa, veritiera è?”
Disse Don Diego rivolgendosi suoi cani che, obbedienti, gli scodinzolavano intorno.
“Verità sacrosanta,Vossia. Gerlando da gallo, gallina che starnazza diventò” Intervenne pronto Sarinu u cusciuleri (Il vagabondo)
“Io, le galline le preferisco chiuse dentro la terracotta.”Ordinò Don Diego
“All’obbedienza” gli rispose un coro.
E fu così, che del sarto si perse ogni traccia per anni, finché un giorno durante i lavori di ristrutturazione della Cappella gentilizia dei Duchi Santopaolo al cimitero, non furono rinvenute delle ossa ospitate da camicia e pantaloni ormai consunti. All’interno di una tasca c’era ancora una pezza, ago e filo.

Maddalena Rispoli

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