di Cristiana Bullita

Alla vigilia delle elezioni europee ed amministrative, quando già da tempo, nelle strade cittadine, chiassosi manifesti di propaganda elettorale catturano la nostra svogliata attenzione, e nei social network, tra un gatto acrobata e l’illuminante citazione dell’intellettuale di turno, scorrono di continuo locandine folcloristiche da strapaese, allora cerchiamo in affanno qualche indizio di Politica, quella vera, quella con la maiuscola.

“Il testo delle leggi, e anche i costumi andavano progressivamente corrompendosi ad un ritmo impressionante, a tal punto che uno come me, all’inizio pieno di entusiasmo per l’impegno nella politica, ora, guardando ad essa e vedendola completamente allo sbando, alla fine fu preso da vertigini.
[…] A lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato l’umanità finché una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia”
Platone, Lettera VII.

Per Platone, la politica è appannaggio della filosofia, l’arte di pensare bene per vivere secondo virtù. Solo i filosofi possono, dopo un lungo e faticoso tirocinio, arrivare a governare la polis, perché soltanto loro sono in grado di liberarsi da congetture e credenze per pervenire a un piano superiore della conoscenza, quello dell’intelligenza filosofica. Essa intuisce direttamente l’idea del Bene, che diviene modello di governo della città e di educazione all’agire sociale.

“Arrivati a cinquant’anni, coloro che si sono mantenuti integri e si sono particolarmente
distinti in tutte le attività pratiche e in tutte le scienze dovranno essere condotti alla perfezione e costretti a volgere verso l’alto il lume dell’anima e a guardare l’essere in sé che dà luce a ogni cosa; e dopo aver visto il bene in sé, dovranno usarlo come modello per ordinare, ciascuno a turno, la città, i privati cittadini e se stessi per il resto della loro vita, dedicando la maggior parte del tempo alla filosofia. E quando arriva il loro turno, dovranno impegnarsi nel travaglio della politica e del governo della città pensando di compiere un’opera non bella, ma necessaria.”
Platone, VII Libro della Repubblica

Platone raccomanda che non si diano incarichi di governo a quegli sbarbatelli che i tecnici della comunicazione, più che educare alla virtù politica, addestrano prezzolati ai sofismi dell’oratoria. Al contrario, compete ai filosofi, dopo un processo di formazione iniziato all’età di sette anni, acquisire il controllo della polis. Non prima, però, di aver condiviso per molto tempo degli incarichi pubblici con i magistrati. E non prima, soprattutto, di aver compiuto il cinquantesimo anno di età…
Platone rifugge dal mito della giovinezza che oggi, nel panorama politico del nostro Paese, sembra dettare le candidature di partiti vecchi e nuovi, in una deriva giovanile e giovanilistica assolutamente trasversale.
Fino a qualche tempo fa si aveva la sensazione che da noi aver superato i settant’anni fosse una conditio sine qua non per fare politica attiva – si fa per dire…-. Adesso, invece, se non si puzza di latte, compiacendosene sotto i riflettori, utilizzando la giovane età come argomento persuasivo delle più improbabili posizioni, come autopromozione grossolana e strafottente, elevando la mancanza di esperienza di vita ad attestazione di capacità e di limpidezza, non si può neppure pensare di inserirsi nel dibattito politico mediatico contemporaneo…

“«Hai reso i governanti bellissimi, Socrate, come uno scultore di statue!», esclamò.
«E anche le governanti, Glaucone! », ripresi. «Non credere che le mie parole valgano più per gli uomini che per le donne, almeno per quante di loro possiedono le doti naturali indispensabili».
«E’ giusto», disse, «se davvero parteciperanno in uguale misura a tutte le attività degli uomini, come abbiamo spiegato»”.
Platone, VII Libro della Repubblica

Per Platone, il politico ideale è un filosofo di più di cinquant’anni, indifferentemente maschio o femmina. Altro che quote rosa… Però le donne, come gli uomini, devono possedere “le doti naturali indispensabili”.
Sarà forse l’ambigua suggestione di questa frase, decontestualizzata, a suggerire ai dirigenti di partito che l’avvenenza e la telegenicità siano doti imprescindibili nei candidati di genere femminile da inviare al fronte mediatico? E pazienza se certi studi televisivi si trasformano, in campagna elettorale, in saloni da ballo delle debuttanti, con griffe, brufoli e spocchia.
Rivogliamo Rosy Bindi

Cristiana Bullita

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