Illegittima la rettifica del Fisco che ridetermina il valore di un immobile oggetto di compravendita, fondato su “stime precedenti” per zone limitrofe, non supportate da alcun elemento concreto.
È illegittima la rettifica del valore di compravendita di un terreno se fondata esclusivamente su una perizia redatta dall’Ufficio: si tratta, infatti, di una valutazione di parte che va raffrontata con eventuali altri elementi prodotti dal contribuente. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10222 del 18 maggio 2016.
IL FATTO
C. A. P. (quale compratore), L. N. ed A. R. (quali venditori) proponevano ricorso avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributarla Regionale di Firenze, a conferma della prima decisione, aveva ritenuto legittimo (sebbene per il minor importo di euro 171.500,00) l’avviso di rettifica e liquidazione loro notificato dall’Agenzia delle Entrate per imposta di registro, ipotecaria e catastale sulla compravendita di un terreno edificabile; avviso con il quale il valore dell’immobile, dichiarato in euro 111.000,00, era stato dall’Ufficio rettificato nel maggior importo di euro 245.000,00, secondo la stima dell’Agenzia del territorio.
Con tale ricorso si lamentava un vizio di motivazione sia dell’avviso di rettifica che della sentenza dei giudici di secondo grado. Infatti, l’avviso faceva genericamente riferimento a “precedenti stime effettuate da quest’ufficio per terreni posti in zone limitrofe a quella considerata, ed aventi analoghe caratteristiche e condizioni” (valori Omi), senza però fornire alcuna indicazione precisa su tali stime. Inoltre, sia la CTP che la CTR avevano considerato legittimo il valore pari ad euro 171.500, senza però fornire alcun elemento a supporto, idoneo ad accertare il maggior valore del terreno rispetto a quello indicato nell’atto.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei contribuenti. Invero – osserva la Suprema Corte – dinanzi al giudice tributario l’Amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, sicché la relazione di stima di un immobile – redatta dall’Ufficio tecnico erariale o da altro organismo interno all’Amministrazione stessa, e da quest’ultima prodotta in giudizio – costituisce una relazione tecnica di parte e non una perizia d’ufficio; ad essa, pertanto, deve essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la sua provenienza, non anche per quel che riguarda il suo contenuto estimativo.
E’ vero che questa circostanza di certo non comporta che tale relazione di stima sia del tutto priva di efficacia probatoria – anche considerando l’ampia ammissibilità nel processo tributario delle prove ccdd. atipiche – ben potendo essa costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento, anche esclusivo, della sua decisione; e tuttavia, occorre che il giudice spieghi le ragioni per le quali ritenga tale relazione (di parte) corretta e convincente: sia in sé, sia in rapporto a tutte le altre risultanze istruttorie comunque acquisite al giudizio.
Nel caso di specie, era mancata qualsivoglia motivazione atta a sostenere – alla luce di un ben più articolato quadro istruttorio – la ‘prevalenza’ della relazione tecnica dell’Amministrazione finanziaria su quelle, di pari efficacia, prodotte in giudizio dai contribuenti; sicché appariva fondato il convincimento che la CTR avesse disatteso il valore indicato nell’atto di trasferimento proprio e soltanto in ragione del fatto che la stima in questione provenisse, appunto, dall’Amministrazione finanziarla, così da assumere (come erroneamente indicato) valenza equipollente ad una ‘perizia di ufficio’.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso. (Andrea Rosana 19 maggio 2016)
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