Particolare dell’Installazione Veduta generale dell’Installazione Particolare dell’Installazione Particolare dell’Installazione Veduta generale dell’Installazione
“Credo che l’arte, anche parlando di cose drammatiche, possa mantenere sempre un certo senso poetico non raccontando tutto ma lasciando dei messaggi che poi ognuno può approfondire.”
Queste le parole di Ines Fontenla (nata a Buenos Aires, vive principalmente in Italia, a Roma: http://inesfontenla.idra.it), che da quindici anni si occupa dei problemi riguardanti l’ambiente e che analizza gli squilibri ecologici e le loro possibili risoluzioni. Il medium utilizzato è l’installazione che si diversifica a seconda del tema trattato. La sua prima opera in tale ambito è stata Il cielo alla fine del mondo che si incentrava sulla problematica del buco dell’ozono.
L’interesse di Fontenla per questo argomento nasce dalla lettura di un articolo che denunciava come il buco dell’ozono si aprisse nella Terra del Fuoco in Argentina, dove non c’è una civiltà industrializzata e quindi non c’è inquinamento. L’artista commenta così:
“Mi ero incuriosita molto del fatto che la gente che abita lì soffre le conseguenze di questo fattore senza avere i vantaggi di una società altamente sviluppata. L’installazione era composta da una grande mappa della Terra del Fuoco fatta con un tappetino verde, perché la zona è molto verde, e sopra si trovavano case piccole colorate con tetti rossi spioventi che sembravano case giocattolo secondo l’architettura della zona, poi questo paesaggio bucolico veniva reso inquietante da una serie di coltelli che scendevano dal soffitto dando l’idea del rischio che arriva dal cielo. Infine c’era un video con persone che abitano in questi posti: si entrava con la telecamera nelle case e le persone parlavano di come vivevano questo problema.”
Il secondo lavoro su tematiche ecologiche è stato Requiem Terrae che si incentrava sull’inquinamento e la contaminazione della Terra. È stato esposto nella chiesa sconsacrata romana San Filippino, scelta per riflettere sulla sacralità del tema. Lo racconta la stessa Fontenla:
“Ho coperto tutta la chiesa di terra su cui si poteva camminare, se ne sentiva l’umidità e l’odore. Volevo creare la sensazione fisica di immersione nella natura, e sopra ho collocato un planisfero rotto impresso su un vetro molto grande di circa due metri per uno e mezzo dando l’idea di quello che l’uomo ha fatto con la terra, rompendola, mettendo in rilievo il contrasto fra la vitalità e l’energia che sprigiona la terra e la una sua realtà sofferente. Poi ho posto alle pareti il documento La Carta dei Diritti della Terra dove sono numerati tutti i principi della sua relazione con l’uomo come il bisogno di proteggerla e soprattutto il fatto che non è nostra ma esiste da prima di noi. Questo documento è stato approvato dalle Nazioni Unite molti anni fa e papa Francesco, con mio piacere, lo ha incluso nell’ultima sua enciclica sull’ambiente.”
Ora al Macro di Roma è in corso la sua personale dal titolo Albedo, che si sviluppa sul problema dell’acqua dolce. L’artista ci ha riflettuto attraverso un’installazione che si incentra sul continente Antartide; così puntualizza:
“Ho scelto Antartide per parlare dell’acqua dolce la cui diminuzione è uno dei grossi problemi del nostro tempo e se non si prendono le misure specifiche nel futuro sarà un problema sempre più grave. Antartide è il serbatoio d’acqua dolce più grande di tutto l’orbe terraqueo, il continente ne è interamente coperto sotto forma di ghiaccio, ghiaccio che si sta mano mano sciogliendo, Mi è sembrato un buon modo di cominciare a parlare di tale tematica perché Antartide è un testimone di quello che sta succedendo nell’ambiente con la perdita di questa risorsa primaria che dovrebbe essere una riserva naturale dell’umanità.”
E continua:
“Ho chiamato Albedo la mostra perché albedo è l’effetto luminoso che si produce in Antartide grazie alla luce del sole ed è dovuto all’enorme estensione di territorio, che è completamente bianco, dato che il continente è tutto coperto di neve e di ghiaccio: quando i raggi solari lo colpiscono si produce la loro totale rifrazione su questa superficie così candida. Qualcuno degli astronauti che ha visto dallo Spazio la Terra ha detto che questo effetto dava l’idea di una grande lanterna, naturalmente quando è possibile vederlo perché tutto ciò avviene in alcuni periodi dell’anno, non l’inverno che è buio, ma in primavera ed estate.”
Al Macro si entra nella stanza dedicata all’artista e, con sorpresa, la scopriamo tutta buia, con le pareti nere; risalta così l’installazione luminosa dove una mappa di Antartide è composta di sale (sì, il cloruro di sodio) che riflette la luce di un light box circolare con una foto dei ghiacciai. È stato scelto il sale per rendere proprio il citato effetto albedo, con una luminosità che si origina dal basso; la luce è, infatti, fondamentale nella sua relazione con questo continente. Dal soffitto scendono dei pendoli che stanno a significare il tempo; spiega la Fontenla:
“Possiamo vedere che questo territorio si va sciogliendo lentamente, volevo mettere in risalto la relazione fra il tempo e lo scioglimento dei ghiacci”.
Perché le pareti sono nere? Per prima cosa per rendere efficace l’effetto albedo e poi per sottolineare le scritte sui muri che spiegano il significato dell’opera. Dice Fontenla:
“Le scritte sono fatte con i gessetti bianchi, come si faceva a scuola, perché dovevano essere essenziali e raccontare il contenuto di ciò che volevo esprimere.”
Viene messo in luce, per esempio, che il 28 luglio del 2010 le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione che riconosce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico – sanitari, “diritti umani fondamentali”, che rientrano nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Su una delle pareti una scritta racconta che Antartide, con i suoi 27 milioni di chilometri cubi di ghiaccio, viene denominato Pianeta Ghiaccio, ma purtroppo sta perdendo circa 152 chilometri cubi di tale ghiaccio a causa del riscaldamento globale, con la conseguente diminuzione dell’acqua dolce. Fontenla ricorda:
“Il patrimonio naturale esiste da prima di noi e non dovremmo essere noi a distruggerlo. E bisogna che l’acqua sia considerata un bene pubblico , un bene di tutta la comunità, e non un bene privato che può essere gestito economicamente.”
A completare l’installazione alcuni light box che ritraggono immagini di Antartide; uno in particolare ha un pugnale inflitto sull’immagine di un ghiacciaio. L’artista ne parla così:
“Il coltello indica la violenza dell’uomo, la sua forza distruttiva, molte volte l’uomo violenta la natura.”
Infine Fontenla dichiara:
“Antartide è stata scelta da me anche per significare come tutto il sistema ecologico è interconnesso, interrelato, come il corpo umano, se una parte non funziona tutto il resto non funziona e si crea uno squilibrio, mi sembrava che Antartide fosse l’esempio più chiaro di questo principio.” (di Claudia Quintieri)
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