Finalmente l’amore perfetto. Seducente, rassicurante, stimolante. Mai nella realtà ci siamo sentiti così capiti, così complici, così affiatati come in quelle chat serali. «Buonanotte tesoro» diventa il messaggio con cui chiudiamo le nostre giornate e non c’è nulla di più reale e sentito, tanto che non possiamo più farne a meno. Peccato sia tutta una truffa. Ben confezionata. Ma noi, che sembriamo mettere il paraocchi e diventiamo totalmente acritici davanti alle emozioni, ci facciamo trascinare in un turbinio di corteggiamenti e promesse, e crediamo a ogni parola che ci compare sullo schermo del computer o del telefonino, senza porci la minima domanda su chi sia a digitarla. Il problema è che dall’altro capo della chat raramente ci sono le giovani e bellissime ragazze thailandesi delle foto che abbiamo ricevuto via mail. E tanto meno ci sono i Marines in divisa che ci hanno spedito un loro selfie dall’ultima missione in Afghanistan. Molto meno romanticamente, a chattare sono organizzazioni criminali più o meno strutturate. Nei migliori dei casi si tratta di gruppi di delinquenti dell’Europa dell’Est che cercano soldi facili per fini personali. Nella peggiore delle ipotesi ci sono militanti legati a cellule terroristiche che fanno base in Nigeria o in Costa d’Avorio. E così, pensando di condividere del denaro con l’uomo o la donna dei nostri sogni, finiamo addirittura per finanziare Isis ed affini. Perché finanziare? Perché ogni storia d’amore on line a un certo punto inciampa nella richiesta urgente di soldi. Per comprare una ricarica internet e rimanere connessi, un biglietto aereo e incontrarsi, per aiutare la mamma ricoverata in fin di vita, per ottenere dei documenti o sbloccare un controllo alla dogana. Noi, allocchi innamorati, non esitiamo nemmeno un attimo a trasferire denaro tramite Western Union: a volte 500 o mille euro, altre 10mila. E veniamo letteralmente spennati da partner virtuali che – guarda un po’- spariscono dopo avere ricevuto il versamento.
CHI CI CASCA
Non si creda che le vittime siano tutte sprovvedute. Ingenue, questo sì, ma si tratta di avvocatesse 40enni in carriera, giovani ingegneri di 30 anni, casalinghe di 50 anni che sperano nell’amore definitivo, manager pronti al matrimonio. Tutti lasciati a becco asciutto e non sempre abbastanza coraggiosi da denunciare la truffa, di cui si vergognano profondamente. Per questo i dati in mano alla polizia postale sono in crescita ma parziali. Per chi viene truffato a volte è più semplice rivolgersi alle associazioni di volontari che combattono il fenomeno degli inganni d’amore anziché presentarsi in questura e dichiarare il nome e il cognome (falsi) di quello che fino a pochi giorni prima era il partner del cuore. E con cui, in tanti casi, dopo poche settimane si ritorna a chattare come se nulla fosse, ricucendo il sogno infranto e tornando a fantasticare su quelle parole dolci. In una sorta di sindrome di Stoccolma da cui liberarsi non è poi così scontato, nemmeno quando si scopre la verità.
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