Dall’integrazione all’interazione
di Laura Tussi

Per intercultura intendiamo tutti i contatti tra culture diverse, di cui i fenomeni migratori sono solo un aspetto, anche se molto importante.
L’intercultura, oltre al caso dell’immigrazione di stranieri in Italia e lo spostamento di persone in altri paesi, comprende anche ogni genere di scambi di informazioni, di idee e di esperienze tra aree diverse del pianeta, perché essa non riguarda solo gli immigrati, gli altri, ma noi stessi e le modalità in cui guardiamo e viviamo il mondo e come, in realtà, siamo trascinati dalle potenti correnti di mutamento in corso su tutto il pianeta.
Nella prospettiva interculturale, il fenomeno delle immigrazioni e gli imponenti processi migratori in atto nel nostro Paese sono da considerare come un’opportunità per i migranti e per le società che li ricevono, in quanto in un’ottica interculturale il fenomeno migratorio appare molto vario.
Per intercultura non si intende solo immigrazione, ma diaspore, ossia persone e gruppi che si spostano tra paesi diversi, seguendo i cicli stagionali di lavoro, le necessità familiari, le scadenze scolastiche, i progetti matrimoniali e altro ancora.
La prospettiva di apertura, confronto e dialogo tra culture vede la pluralità identitaria come una ricchezza e per questo non si pone come esclusivo obiettivo l’integrazione, che è un’idea prodotta da una concezione inadeguata della civiltà e della pretesa di superiorità morale del mondo occidentale sugli altri, dove l’integrazione, appunto, risulta un obiettivo impossibile, perché la pluralità di lingue, religioni, musiche, culture, tradizioni è un bene da tutelare in un’ottica di interazione, anziché di assimilazione e omologazione ad un modello consolidato nel tempo e prestabilito dall’Occidente.
La prospettiva interculturale respinge il presupposto dell’idea che la cultura sia una realtà monolitica, in quanto essa è un insieme di narrazioni condivise, contestate, negoziate.
Partecipando e interagendo con una cultura risulta possibile sperimentare tradizioni, riti, storie, rituali e simboli, strumenti e condizioni materiali di vita, attraverso molteplici narrazioni.
L’identità si costituisce nella relazione con l’altro da sé, con la famiglia, gli amici, i gruppi sociali reali e virtuali e la concezione aperta all’accoglienza genera un’idea d’identità opposta al pensiero fondamentalista, ossia se le società umane non sono omogenee e separate, ma differenziate e caratterizzate da confini permeabili, allora le identità delle persone e dei gruppi non si prospettano come recinti da difendere dalla cattiva influenza dell’esterno e dell’estraneo, ma diventano ambiti di scambio, di dialogo e interazione.
Le persone non hanno diverse identità, ma le costruiscono nelle relazioni quotidiane con gli altri, usando vari strumenti con cui interagiscono con l’ambiente fisico e sociale, come il loro corpo, gli oggetti, le conversazioni, i discorsi e le narrazioni, in un approccio discorsivo, dialettico e dialogico, dove la narrazione non è vista come una produzione mentale individuale, ma come creatività sociale, dialogica, come strumento per riflettere collaborativamente sulle situazioni.
L’identità prodotta dalle narrazioni è plurale, ma non necessariamente coerente, perché gli eventi narrati possono essere dolorosi e difficili da riferire, in quanto i migranti che hanno vissuto esperienze traumatiche producono narrazioni frammentarie, lacunose, confuse e fondate su esperienze contrastanti, in incoerenze e silenzi tipici delle identità diasporiche.
L’educazione interculturale pone come condizione la rinuncia all’etnocentrismo occidentale e la ricerca multiculturale evidenzia le differenze tra comunità, gruppi e categorie sociali, apprezzando le diversità, senza renderle delle barriere impenetrabili, in cui si cerca di osservare come funzionano gli scambi tra persone e gruppi differenti.
La contrapposizione tra autoctoni e migranti è consueta, in quanto è sufficiente imparare dai mass media a ragionare per stereotipi e pregiudizi, dimenticando la storia e gli scambi continui nella vita quotidiana, dove fare intercultura significa superare la visione delle differenze morali come compartimenti separati.
L’approccio interculturale indica come non cristallizzare le differenze, in una prospettiva pedagogica che assuma la dimensione internazionale del sapere, in un’ottica relazionale e dinamica nelle teorie e nelle prassi formative, studiando l’altro nelle interazioni tra scambi pacifici e conflitti violenti.
La gigantesca ibridazione di popoli e culture ha provocato la diffusione di società composite, in cui convivono gruppi umani di diversa provenienza, dove si cerca faticosamente di trovare un equilibrio tra la condivisione di valori comuni e le diverse appartenenze sociali e culturali.
Il multiculturalismo vorrebbe suggerire una prospettiva di interazione dinamica tra comunità differenti, in un’ibridazione che assuma i caratteri dialettici dell’interculturalità dove il conflitto non si trasformi in razzismo e la coesistenza possa evolversi in intrecci positivi tra soggetti diversi, capaci di realizzare una cittadinanza planetaria aperta, nel riconoscimento positivo della diversità culturale, il cui risvolto è posto nel riconoscimento di una comune umanità di comunicazione, comprensione, scambio e relazioni dialogiche.
La pedagogia interculturale si preoccupa fondamentalmente dell’inserimento degli alunni stranieri nella scuola, e, in generale, dei soggetti stranieri, anche adulti, nei sistemi formativi e nelle relazioni educative tra migranti e autoctoni, interrogandosi criticamente in merito ai saperi trasmessi dalle istituzioni formative.
Ogni esperienza educativa, in realtà è interculturale, perché è incontro di modi di essere, di visioni del mondo, di caratteristiche personali e sociali diverse, con lo scopo di contribuire all’educazione e interazione di individui differenti per motivi linguistici, etnici, religiosi ed altro, perché imparino a convivere senza conflitti e riuscendo a gestire pacificamente il contrasto reciproco. Gardner con la teoria delle intelligenze multiple offre un contributo prezioso per un intervento educativo capace di valorizzare le diversità individuali degli studenti.
L’introduzione dell’autonomia scolastica nel nostro ordinamento sottolinea la funzione attiva della scuola che è invitata a corrispondere alle esigenze formative dei diversi alunni e del territorio e questa impostazione è risultata feconda nel campo dell’inserimento dei ragazzi stranieri nel contesto educativo e interculturale.
Gli studenti stranieri possono così vedere l’apprezzamento per il loro corredo cognitivo ed esperienziale attraverso il ricorso, da parte dei docenti, a un’offerta formativa individualizzata che sappia apprezzare le loro più svariate qualità creative e cognitive.
La scoperta e la valorizzazione di culture altre e di persone portatrici di diversi caratteri e provenienze originarie avviene in un contesto di relazione con gli autoctoni, ponendo in discussione anche i nostri contesti di appartenenza, dove lo straniero ci interroga in merito ai vissuti nella scuola, nei saperi e nei metodi educativi che invitano a ripensare la nostra identità, la nostra storia e la nostra cultura, perché riconoscere la diversità dell’altro significa anche riconoscere le nostre diversità, le nostre alterità, le nostre mancanze, i nostri difetti.
L’Occidente deve rendersi consapevole che la sua storia non è monoculturale e monoetnica, in quanto siamo frutto di contaminazioni di popoli e culture e l’Islam è parte fondante della nostra civiltà.

Laura Tussi

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