È nato a Torino nel 1929. Già allievo di Giovanni Getto, nel 1952 si laurea con una tesi sull’opera letteraria di Giordano Bruno. Dal 1967 al 1999 è stato professore di letteratura Italiana all’Università di Torino. Ha pubblicato, dopo Astrazione e realtà (1960), un gran numero di opere che riguardano figure e tempi della letteratura italiana, da Dante a Marino, dal Petrarca all’Ariosto, dal Boccaccio a D’Annunzio, dal Tasso a Sbarbaro, a Montale, a Pavese e ad altri contemporanei. Ha scritto anche alcune raccolte di versi. È il responsabile scientifico del Grande Dizionario della Lingua Italiana.
1) Oggi facilmente ci si fregia del titolo di critici letterari, ma come si diventa un buon critico?
Non credo che sia tanto facile “fregiarsi” del titolo di critico letterario: spesso i recensori non sono che giornalisti che fanno per lo più un riassunto del romanzo che presentano oppure elencano i capitoli di un libro di attualità, di storia, di filosofia, di moda. Molto frequentemente servono alla casa editrice che ha stampato il libro o all’autore amico o collaboratore dello stesso giornale. Per poter davvero interpretare un’opera, commentarla, comprenderla e dire al lettore che cosa di nuovo e di grande (di sublime o, almeno, di significativo) essa offra, per cui è bene per la propria vita e maturazione e gioia leggerla, il critico deve aver letto se non tutti i libri della biblioteca di Babele, almeno quelli fondamentali: i classici greci e latini, la Bibbia, via via quelli moderni, da Dante al Boccaccia, dal Tetrarca al Manzoni, da Shakespeare a Cervantes, da Goethe a Dostoevskji, e i tanti altri che devono essere aggiunti (l’elenco diventerebbe infinito); ma anche tantissimi “minori”, in modo da dare il senso del valore e della necessità della scrittura letteraria. Senza un poco almeno di filologia non si riesce a capire nessun’opera d’oggi e di ieri.
2) Cosa Le ha insegnato la sua esperienza universitaria in merito alla didattica della poesia?
C’è un’unica didattica possibile della poesia: il commento minuzioso, accanito, strenuo, per cercare di spiegare e di interpretare quanto meglio è possibile un testo. Poi si arriva a comunicarne la bellezza e la verità. E ci vogliono passione e partecipazione e fiducia, perché l’insegnamento sia davvero efficace. Non sopporto gli insegnanti (anche tanti colleghi) che riducono l’insegnamento a mestiere freddo e astratto oppure si abbassano a obbedire alle mode, ai mezzi di comunicazione di massa, agli ordini delle ideologie.
3) Quali autori stranieri ama leggere?
Leggo e rileggo molto volentieri narratori come Cervantes, Rabelais, Boccaccia, Sterne, Manzoni, Thomas Mann, Bulgakov, Proust, d’Annunzio, Gadda, tanti altri ancora; e l’elenco dei poeti sarebbe troppo lungo, dai poemi omerici a Celan e dopo ancora. Orma leggo soprattutto per gioia e piacere, in modo disinteressato: cioè, rileggo. E ogni tanto ritorno ad altri autori a me cari, per il tentativo di interpretarli ancora, più volte, da altri punti di vista.
4) Quale è la situazione attuale della poesia italiana?
E chi lo sa? Ci sono poeti valorosissimi, come sempre in tutti i periodi della storia, e ci sono poeti alla moda e destinati a scomparire molto presto, poeti mediocri, mestieranti (e anche i più banali sono sempre un segno favorevole e prezioso della continuità della scrittura poetica e narrativa come invenzione alternativa rispetto alla storia atroce, alla quotidianità, alla scienza, alla tecnologia): Con molta gioia, per esempio, poche settimane fa ho letto la raccolta poetica di Viviani, somma, esemplare. Attendo altre lezioni di verità e di bellezza.
5) Quali sono i caratteri della letteratura italiana del ‘900?
La risposta è impossibile. Non sopporto il generico, il canone, la sintesi, i “caratteri” di un secolo e altre astrattezze del genere. Il critico guarda all’autore concreto, preciso, e al passato poetico con cui egli si è messo in contatto, quando ha scritto, e alle altre arti, come la musica e le arti figurative, da cui la scrittura letteraria non può prescindere, e anche al tempo storico e morale. E’ sempre un’esegesi nuova del già letto e interpretato, perché l’interpretazione delle arti e di quella della parola in specie non si consuma mai, ma si rinnova continuamente.
6) La poesia è gioco: Il poeta si diverte, lasciatelo divertire…?
Sì, la poesia è anche gioco: bene Palazzeschi invita il poeta a divertirsi e a divertire, ma già l’hanno fatto Catullo, Rustico, Cecco, Ariosto, Shakespeare, Marino, Leopardi, (i Paralipomeni), Porta, Belli, Tessa e tanti altri.
7) Quale è “la poesia del cuore alla quale diciamo addio”, titolo di un suo lavoro critico ?
E’ la poesia patetica, della nostalgia del mondo perduto delle origini, della morte del sacro, che, in realtà, non è morto affatto (“Pan non è morto!”). La poesia romantica ha avuto fine, in Italia, con il Pascoli e con d’Annunzio, in Europa con Rimbaud, Lautréamont, Mallarmé, Rilke, Valéry, PoundEliot, ecc.
8) Predilige la poesia al teatro, alla narrativa ecc?
Mi trovo perfettamente a mio agio con la poesia come con la crtica, con il teatro come con la narrativa, la pittura come con la scultura e l’architettura e la musica. Non ho privilegi.
9) Cosa pensa della fusione tra le arti secondo i dettami delle avanguardie del ‘900 sull’esempio di Guillaume Apollinaire che scrisse “versi da vedere”?
L’aspirazione alla fusione delle arti è stata un’utopia delle avanguardie della prima metà del novecento, e i futuristi, gli espressionisti, Dadail Surrealismo ne sono stati le estrinsecazioni sempre clamorose e fervidissime. Ma, in realtà, come tutte le utopie anche questa ha avuto un suo tempo specifico e prezioso, e non è andata più in là. Spesso è diventata accademia.
10) Crede nei corsi di scrittura creativa?
E’ molto utile insegnare la tecnica della scrittura, in versi, in narrativa, in teatro, in critica. Bisogna chiarire che usare il verso libero è molto più difficile che adoperare l’endecasillabo o il settenario o ogni altro metro regolare, perché è necessario far coincidere il verso al ritmo e al messaggio. Altrimenti non si fa cha andare a capo ogni tanto, e allora siamo nella sordità, nella banalità, della pessima prosa. Anche la narrativa e il teatro e la critica richiedono ritmo e scansione. Al di là della tecnica non si può andare: dopo aver imparato a capire che cosa sono i metri classici e che cosa sono il sonetto, la canzone, l’ottava, la sestina e tutti gli altri schemi del narrare o della dialettica drammatica o delle modalità dell’interpretazione del testo. A quel punto, “hic Rhodus, hic salta”. E se non hai la capacità interiore di “saltare”, rinuncia o accontentati di scrivere per diletto. Se un’opera non è degna e almeno ambisce al sublime, tale non è diventata per quanto ci si applichi negli anche più accurati corsi di scrittura.
Fausta Genziana Le Piane
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