Egidio Marchese
emarchese@primus.ca
Letteratura canadese e altre culture

Licia Canton e Antonio d’Alfonso, sono due esponenti di rilievo della cultura italo-canadese, entrambi scrittori di varia dimensione: editori, poeti, scrittori di narrativa, conferenzieri, saggisti. La loro biografia e bibliografia sono note ai lettori di Bibliosofia, dove sono apparsi molti articoli, saggi, interviste di loro e su di loro.
Di Licia Canton, nata a Savarzere (Venezia) e residente a Montreal dall’età di cinque anni, ricordiamo la sua attività di editore della rivista Accenti (http://www.www.accenti.ca), la pubblicazione dei volumi da lei curata: The Dynamics of Cultural Exchange: Creative and Critical Works (2002), Adjacencies: Canadian Minority Writing (con D. Beneventi & L. Moyes) (2004), Writing Beyond History (con De Santis & Fazio) (2006), and Rebus: Artists and Poets in Correspondence (con Anna Carlevaris). Tra molti suoi articoli e conferenze menzioniamo il suo saggio su D’Alfonso ³The Risks and Pleasures of Revised Translation² (http://www.athabascau.ca/writers/fabrizio.html). Sono di prossima pubblicazione i suoi due ultimi libri Antonio D’Alfonso: Essays on His Works, e The Butcher’s Daughter, una raccolta di suoi racconti.
Su Bibliosofia sono apparsi vari suoi articoli: ³La lingua del Belpaese in Canada² (n.32), ³Intervista a Licia Canton² di Anna Maria Zampieri Pan (n.38), ³”Ingrata”: Negoziando Linguaggio e Identità in “The Italians” e “Black Madonna” di Frank Paci² (n.48), ³La narrazione di un’Identità in “The Lion’s Mouth” ² (n.52), ³Our Women, Our Writers / Le nostre scrittrici canadesi² (n.61), ³Intervista a Delia De Santis² (n.64), ³Vino di mandorla e fertilitಠ(n.70), ³Intervista con Gabriella Iacobucci² (n.77), ³Our Women, Our Writers: Marisa De Franceschi² (n.79), ³Intervista a Marisa De Franceschi² (n.84). L’ultima sua conferenza è stata la relazione “Antonio D’Alfonso and the Passage of Time: From Fabrizio’s Passion to A Friday in August,” presentata al convegno organizzato dall’Associazione Italiana di Studi Canadesi che si è svolto il 27-29 ottobre 2006 all’Università di Genova.
Di Antonio D’alfonso, nato e cresciuto a Montreal da genitori molisani, ricordiamo la sua famosa attività di editore di Guarnica Editions Inc. fondata nel 1978, e i suoi volumi più celebri che hanno ricevuto vari premi e riconoscimenti: L’autre rivage (poesie e prosa poetica del 1987, anche in versione inglese): finalista al premio Prix Émile Nelligan. 1998: L’apostrophe qui me scinde: finalista al premio Prix Saint Sulpice. 200: Fabrizio’s Passion: vincitore del premio Bressani Award (pubblicato anche nella versione francese). 2002: Comment ça se passe: finalista al premio Trillium Award. 2003: La passione di Fabrizio vincitore del premio internazionale Emigrazione in Italia. 2005: Un vendredi du mois d’août, vincitore del Trillium Award. (27 Avril 2005). Si aggiungono i volumi di grande successo: In Italics: In Defense of Ethnicity (saggi, Guernica, 1996, anche in versione italiana), e il volume di saggi più recente Gambling With Falure (Exile Editions, Toronto 2006). Si susseguono innumerevoli articoli e anche interviste come l’ultima rilasciata a Fredy Franzoni della radio svizzera nell’agosto del 2006, di cui l’autore ci ha dato gentilmente il testo registrato.
Su Bibliografia sono apparsi vari articoli di e su Antonio D’Alfonso: Antonio D’Alfonso vince il Trillium canadese, di Mariella Policheni (n.14), ³Introduzione a Cursivi italici e Autoritratto² dell’autore (n.24), ³Intervista ad Antonio D’Alfonso² di Alessandra Jarque (n.25); ³Un’investigazione sull’identità e lo spaesamento² di Pasquale Verdicchio (n.26), ³L’dentità di Antonio D’Alfonso² di Egidio Marchese (n.27).
La nostra intervista a Licia Canton verte soprattutto su Antonio D’Alfonso.

* * *

Egidio Marchese: Ti sei occupata e hai scritto varie volte di Antonio D’Alfonso. Innanzi tutto, com’è Antonio D’Alfonso come uomo?

Licia Canton: Secondo me ci sono poche persone che conoscono molto bene l’uomo. Purtroppo io non sono una di quelle poche. Ho conosciuto Antonio nel 1990 quando iniziai il dottorato all’Università di Montreal. La mia prima impressione fu ch’egli fosse un uomo felice e generoso. Mi ha dato molti libri per le mie ricerche letterarie. Ho conosciuto Julia, allora sua moglie, ed eravamo all’inizio di un’amicizia che poi non ha fiorito, perché si sono divisi e ho perso contatto con lei. Con Antonio, negli ultimi 16 anni siamo stati in contatto per ragioni letterarie. Sono 16 anni che mi arrivano libri a casa senza che io li abbia richiesti. Lo considero ancora un uomo generoso in questo senso. Abbiamo un rapporto professionale, basato sul rispetto reciproco del nostro lavoro. Direi che è un uomo complicato e non mi azzardo a capirlo. Piuttosto mi soffermo a cercare di capire i suoi scritti, dove ogni tanto si vedono diversi lati del suo essere.

E.M. Sono passati già dieci anni da quando hai fatto il dottorato all’università di Montreal trattando anche di Antonio D’Alfonso. Puoi parlarci di questo tuo interesse? Perché Antonio D’Alfonso?

L.C. Ho voluto concentrare le mie ricerche sui romanzi di autori italocanadesi e Fabrizio’s Passion, il primo romanzo di D’Alfonso, è una componente rilevante della tesi. Il romanzo è importante non soltanto perché allora (dieci anni fa) era uno dei pochi romanzi scritti da uno scrittore italoquebecchese, ma anche perché la narrativa rispecchia la realtà culturale di una generazione – quella di D’Alfonso – figli di immigrati italiani cresciuti nel Quebec, influiti non soltanto dall’italiano o dal dialetto e dall’inglese, ma anche dal francese. Attraverso il protagonista Fabrizio, il romanzo di D’Alfonso illustra bene l’incrocio delle tre culture.

E.M. Dopo la tua tesi di dottorato, hai scritto ancora degli articoli su Antonio D’Alfonso. Puoi parlarci di questi tuoi articoli? Quali aspetti delle sue opere hai trattato?

L.C. Fabrizio’s Passion è la versione inglese di Avril ou l’anti-passion. Ho scritto uno studio comparato sulle due versioni, argomentando che la seconda non è una traduzione della prima: l’autore ha riscritto la narrativa in inglese. In maggioranza è rimasto fedele all’originale, ma ho sottolineato degli elementi che sono stati cambiati. Lo stesso romanzo è apparso in italiano e poi in portoghese. Queste versioni sono traduzioni fatte da traduttori e non dallo stesso autore. Ho anche scritto sulla presenza di altre lingue nella narrativa di D’Alfonso, cioè il ruolo specifico di parole italiane o francesi nella narrativa inglese.

E.M. Nell’introduzione del suo ultimo libro ³Gambling With Failure² D’Alfonso scrive che la sua scrittura non segue una metodologia accademica, è spesso disordinata e ripetittiva e ciascuna ripetizione è come un ³musical leitmotif.² Quali sono secondo te queste ripetizioni di D’Alfonso? In altre parole, quali sono i motivi, i temi o i sentimenti ricorrenti nelle sue opere?

L.C. Ci sarebbe molto da dire, ma in poche parole: l’amore, l’impulso naturale, il sesso, la famiglia, il ruolo del genitore, le cicatrici della vita, i rapporti distruttivi, la donna, la confusione, l’importanza del rapporto umano, dell’amicizia e della fratellanza, la musicalità della parola, la lingua, il miscuglio di varie lingue, l’impulso creativo, ecc.

E.M. Cosa vuole esprimere il titolo del libro ³Gambling With Failure²?

L.C. Ci possono essere varie interpretazioni di questo titolo, che può fare riferimento all’individuo o a una comunità. È un titolo che riflette l’incertezza e la fine di un essere. Quando si dice fallimento o fallito questo termine ha un significato finale, ma può anche indicare un altro inizio. Dopo il fallimento c’è una rinascita anche se in una forma diversa. Tutto ciò che ha fatto D’Alfonso, come artista e scrittore (e forse anche dal lato personale) lo ha fatto con passione e spesso impulsivamente, cioè rischiando. Lo ha fatto perché si sentiva di farlo, o perché bisognava farlo. Non ha fatto un ‘business plan’ prima di agire o di reagire e dunque il successo non era una cosa sicura. Ma, secondo me, il successo stesso è nel fare, magari utile anche se fallisci, perché poi c’è sempre una rinascita, una nuova prospettiva.
Direi che la parola ‘failure’ è una parola che Antonio ama esprimere, pronunciare, utilizzare. In diverse conversazioni che ho avuto con lui ritorna spesso questa parola.

E.M. L’ultimo tuo studio su D’Alfonso è la relazione intitolata “Antonio D’Alfonso and the Passage of Time: From Fabrizio’s Passion to A Friday in August,” che hai presentato all’Università di Genova il 27-29 ottobre 2006. Puoi dirci qualcosa del Convegno e dell’Associazione che lo ha organizzato?

L.C. Il convegno, intitolato Boundaries, Passages & Sanctuaries, è stato organizzato dall’Associazione Italiana di Studi Canadesi e dalla British Association for Canadian Studies. I relatori venivano dal Canada, dall’Italia, dall’Inghilterra, dalla Germania. Sono studiosi in vari campi – dalla letteratura alla storia, dall’arte alla giurisprudenza – e il Canada è il comune denominatore che li unisce. Ho rivisto alcuni colleghi che avevo conosciuto all’Università di Udine due anni prima – Valerio Bruni e Deborah Saidero – come pure Orianna Palusci dell’Università di Trento e Luigi Bruti Liberati dell’Università di Milano, ora presidente dell’Associazione Italiana di Studi Canadesi.
Sono molto orgogliosa di essere stata invitata a presentare il mio lavoro al convegno. Nell’ambito universitario italiano c’è un grande interesse per gli scritti di Antonio D’Alfonso; infatti, c’era presente un bel pubblico quando ho fatto la mia relazione.
La mia partecipazione è stata possibile con il sostegno del Governo del Canada. Per me è sempre molto interessante e fruttuoso sentire che cosa stanno studiando i ricercatori universitari italiani nel ramo delle lettere canadesi e in particolare l’interesse che portano alla cultura italocanadese. Come direttrice della rivista culturale Accenti, è importante rimanere aggiornata sui temi discussi durante tali convegni, che sono una fonte di quello che cerchiamo di trattare nella nostra rivista.

E.M. Puoi parlarci del contenuto della tua relazione al Convegno di Genova?

L.C. Ho parlato del passare del tempo tra i due romanzi – Fabrizio’s Passion (1995) e A Friday in August (2005) – all’interno della narrative stessa, e ho toccato gli elementi autobiografici.
Fabrizio’s Passion tratta dell’emigrazione dei genitori molisani di Fabrizio Notte. Il secondo romanzo si sofferma sul ritorno a Montreal di Notte che cerca di valutare o di giustificare le sue scelte di vita visitando luoghi e persone della sua giovinezza. Nel 1992, Antonio D’Alfonso lascia Montreal per continuare la sua carriera di autore e di editore a Toronto. Un po’ come il suo protagonista Notte in A Friday in August, D’Alfonso (l’uomo) ha espresso più volte che è rimasto deluso della sua ‘esperienza’ a Toronto, e infatti torna a Montreal ripetutamente alla ricerca di un espressione intellettuale e culturale.
Sono passati dieci anni tra la pubblicazione dei due romanzi. Sono romanzi di una trilogia Š l’autore sta scrivendo il terzo romanzo.

E.M. C’è molta attesa sulla pubblicazione del tuo prossimo libro ³Antonio D’Alfonso: Essays on His Works.² Cosa puoi dirci a questo proposito?

L.C. Sono diversi anni che lavoro su questo volume. Antonio D’Alfonso: Essays on His Works sarà disponibile nel 2008. Ho curato un volume di saggi di circa 20 collaboratori: professori, poeti, traduttori, ecc. Ognuno ha scritto un saggio su un tema specifico o una pubblicazione specifica di D’Alfonso. Sono saggi accessibili a tutti, non sono soltanto accademici. C’è una bella varietà di stili e di contenuto. C’è pure un’intervista con D’Alfonso, la sua biografia e bibliografia. Penso che il volume sia un bell’omaggio all’opera di D’Alfonso. Fra i collaboratori ci sono italocandesi come pure altri. Ad esempio, Paul Bélanger scrive sul poeta, Domenic Beneventi si sofferma sul tema della lingua, Nancy Giacomini parla dell’identità etnica, Chantal Ringuet analizza la passione del ritorno, e Pasquale Verdicchio parla dell’inizio dell’attività letteraria di D’Alfonso.

E.M. Parlando più in generale, il tema costante e centrale dell’identità e della cultura, già ricorrente in ³In Italics: In Defense of Ethnicity² e anche in ³Duologue: On Culture and Identity² (una discussione con Pasquale Verdicchio), torna a essere discusso in termini radicali in ³Gambling With Failure² e anche nell’intervista a D’Alfonso di Fredy Franzoni della radio svizzera nell’agosto del 2006. Si parla di cultura italiana che muore, di cultura italo-canadese che non esiste, di una cultura italica ch’è una speranza. Come definisci e commenti queste prese di posizioni radicali di D’Alfonso?

L.C. Questo è un argomento complicato, un tema sensibile, che deve essere analizzato e considerato a lunga scadenza. Sono disposta a parlare di italicità, di una rete inclusiva, di una cultura italica che porta lo sguardo verso il futuro. Ma non sono pronta a negare la cultura italo-canadese che stiamo vivendo ora. Siamo magari in fase di trasformazione, ma per ora esiste ancora.

E.M. Per finire, non resisto a non farti una domanda al di fuori del tema D’Alfonso. È stata annunciata la pubblicazione di un tuo libro intitolato ³The Butcher’s Daughter,² una raccolta di tuoi racconti. Cosa puoi dirci di questo?

L.C. Direi che questo progetto è un lungo viaggio – il risultato di tante idee ed emozioni. Dicono che il bello è il viaggio e non la destinazione, e a volte si arriva in un luogo diverso da quello che si aveva in mente alla partenza. Come Antonio D’Alfonso, sono anch’io un prodotto di tre culture e ho voluto scrivere dei racconti che toccano in maniere diverse queste culture. I racconti sono diversi ma c’è un legame fra l’uno e l’altro.

E.M. Ti ringrazio della tua gentile partecipazione a questa intervista.

L.C. Il piacere è tutto mio.

##########

Commenti di Antonio D’Alfonso
sull’intervista di E. Marchese a L.Canton su Antonio D’Alfonso
a_dalfonso@sympatico.ca
(traduzione di Egidio Marchese)

Ho scritto ad Antonio D’Alfonso dopo la mia intervista a Licia Canton su Antonio D’Alfonso in Bibliosofia del 1 dicembre 2006.
“Mi piacerebbe avere i tuoi commenti su questa intervista da mettere su Bibliosofia. Soprattutto circa la mia domanda del significato di “Gambling with Failure” o sulla tua concezione dell’identità e di una cultura italiana che muore, una cultura italocanadese che non esiste e una cultura italiana ch’è una speranza. Questo tema è stato discusso ultimamente anche alla tua intervista con Fredy Franzoni alla Radio svizzera in agosto.”
Ed ecco la risposta di Antonio D’Alfonso circa quelle sue idee che avevo presentato fuori ogni contesto, come idee provocatorie, paradossali, originali e interessantissime:

“Caro Egidio, vorrei dire qualche parola sulle idee «di una cultura italiana che muore, una cultura italocanadese che non esiste e una cultura italica ch’è una speranza». Mi piace il tema… Fammelo discutere in inglese…” (e.m.)

* * *

“La vera amicizia è l’opposizione.”
William Blake.

Non ho mai avuto l’intenzione di…, beh! questo non è vero, ché ogni qualvolta uno prende in mano la penna, è per scioccare, con amore, odio o rabbia. C’è stato raramente un atto letterario che non abbia inteso scioccare. Credo che questa sia la raison d’être della letteratura: dare una scossa elettrica alla comunità in cui si vive.
L’idea di una lingua italiana che muore non è mia. È qualcosa che ho letto sul Corriere Canadese, credo, alcuni anni fa. Avevo letto in qualche dizionario di “termini difficili” che la lingua italiana era parlata da circa lo stesso numero di persone vietnamite che parlano la loro lingua. Approssimativamente 60 milioni di persone. Saranno stati un paio di milioni in più, ma quale che fosse quella cifra essa non era, secondo l’UNESCO, contrariamente alla mia opinione, alta abbastanza perché la lingua potesse sopravvivere questo secolo. Infatti, il pezzo d’informazione menziona un limite di tempo di circa venticinque anni. Ci potrà dispiacere leggere una simile triste notizia, ma il suo significato è alquanto chiaro: prima del 2030 la lingua italiana potrà essere alla fine del nastro. Il registratore potrà funzionare ancora, ma il nastro sbatterà contro la parte metallica della macchina. Ricordo che mi è stato detto che per sopravvivere una lingua ha bisogno che sia parlata da oltre 150 milioni di persone al mondo giornalmente. (L’ultimo papa aveva espresso pure la sua costernazione per la lingua italiana che starebbe per sparire.)
Se questo è il caso, che una lingua parlata da molte persone possa sparire, non credo che le madrelingue siano innate. Ogni lingua è insegnata, acquisita. Quando ho espresso l’idea che la cultura italiana stava per morire, io volevo, sì, scioccare i miei lettori, almeno quelli che credono che la cultura si identifichi con la lingua. Se la lingua italiana muore, ciò significa che anche la cultura italiana muore? Non siamo ridicoli. Certamente essa non morirà. Sono morto io quando ho scambiato il mio dialetto con la lingua nazionale della TV italiana? (In quale altro posto si parla il corretto italiano, se non nella TV? Devo ancora incontrare un italiano che parli il corretto italiano. Tutti parliamo un italiano frantumato.) Davvero? Sì. All’improvviso, il paradosso di questi linguisti nazionalisti viene fuori all’improvviso.
“Aspetta un po’,” dico. “Non eri tu che dicevi che la lingua e la cultura sono tutt’uno?”
“Sì, ma… Comunque non può essere che la nostra lingua morirà! Guarda, qui, spendiamo miliardi per tenerla viva…”
Il coro è lo stesso ovunque. Per tutti i popoli, tutte le culture, in tutti gli angoli del mondo. Le lingue stanno per morire. O investiamo un sacco di soldi per mantenere la lingua viva o essa perderà il suo significato per la stessa gente che aveva quella propria lingua.
Nel Ventunesimo secolo la gente dappertutto dovrà scoprire altri mezzi di comunicazione, altre lingue, altri metodi per esprimere se stessa. Gli italiani sono fortunati per molti aspetti. Non abbiamo mai avuto un problema linguistico. La lingua non è mai stata un problema per noi. Anche quando eravamo solo un mucchio di tribù nel cuore di ciò che ora chiamiamo Italia. Ci siamo sempre assicurati di essere capiti, non importa quale lingua si parlasse. Io vengo da una regione dell’Italia, gli Abruzzi (sono contrario a una falsa divisione economica in due separate regioni, Abruzzo-Molise) dove i Sanniti non lasciarono molto di letteratura – i loro grandi poeti Ovidio e Orazio scelsero di comporre in latino – tuttavia i Sanniti riuscirono a lasciare la loro cultura alle popolazioni italiche.
Nel mio film Bruco, uno dei personaggi dice che gli italiani continuerebbero ad essere italiani anche se parlassero il vietnamita. Questa tale eventualità sarà possibile solo se gli italiani verranno fuori con una chiara concezione di quello che costituisce la loro cultura. Gli italiani non sono i soli che si trovano in questa situazione. Parlo degli italiani perché sono italiano; non voglio mai essere accusato di appropriarmi della voce di un’altra cultura. Lavoro su un’ipotesi in cui si intende racchiudere tutte le culture. Non ho idea di quale cultura sia. Non sono neanche sicuro che si sappia cosa sia la cultura. Il solo pensatore che ha spiegato meglio questa cosa è stato Marshall McLuhan: egli usò l’immagine dell’acqua per descrivere il pesce che è tratto fuori dal suo ambiente. Si ha bisogno della cultura per la nostra stabilità fisica, mentale ed emotiva. La cultura può essere definita allo stesso modo con cui siamo arrivati a definire l’acqua. H20. È matematico. Allo stesso modo la cultura scaturisce dall’agricoltura (le prime scritture erano le tavole in cui si tenevano in considerazione le nostre divinità.)
La mia concezione della cultura italica sorge dalla comprensione che la cultura non sarà più circoscritta nei termini della lingua e del territorio. Circoscrivere così la cultura accelererà soltanto la morte della cultura. (Tra parentesi: sono sorpreso che il Quebec possa cadere nella trappola tesa dal Primo Ministro Harper. Come potrebbe il Quebec, che aspira a diventare un paese, accettare di essere limitato a una nazione? Come filosofia questo è completamente contrario alla gente del Quebec. Una tale nozione può solo allettare altri nazionalisti. Non sono sorpreso. Sono solo scioccato, perché non c’è nazione che possa crescere dentro un paese; ma non sono sorpreso, perché, come ho detto molti anni fa, ci dirigiamo verso un estremo nazionalismo.) Hitler ha vinto la guerra. Possiamo appendere Mussolini per i piedi ma le idee della sua testa possono rotolare fuori e continuare a rotolare per tutto il corso fino ai nipoti.
In quanto anti-nazionalisti, è nostra responsabilità ricordare alla gente che il nazionalismo affretterà solamente la nostra scomparsa. Allora cosa abbiamo, se non abbiamo definito la cultura? La Politica della Nostalgia. Se continuiamo a guardare ai nostri piedi mentre camminiamo finiremo con lo sbattere contro i muri. Scrivo questo non perché voglio essere un politico. Non ho mai inteso essere politico, la politica è venuta fuori dalle parole che ho usato. Quello è differente. È l’Altro che definisce quello che dico come politico. Voglio ricordare agli italiani del Quebec e del Canada che se volete una cultura si deve lavorare sodo per questo. In altri termini, se volete che gli italiani abbiano una cultura che non sia né francese né britannica, si deve pagare il prezzo per questo. Troppi italiani nel Nord America inglese sono britannici. Troppi italiani nel Quebec sono francesi. Con questo non voglio dire che loro parlano solo la lingua di quelle culture, loro hanno veramente abbracciato quelle culture e sono divenuti i loro difensori. Non c’è niente di sbagliato in ciò. Assolutamente niente. Preferisco queste persone a quelle che vivono in un mondo di finzione che definisco la Politica della Nostalgia.
Quel che conta è la responsabilità. Tra la Politica della Nostalgia e l’Assimilazione c’è qualcosa di più del concetto ora popolare di Integrazione: cos’è integrazione, se non l’assunzione di operai che lavorano nelle aziende delle corporazioni che li sfruttano? O se preferite, l’arruolamento di uomini e donne nel servizio militare della nazione-stato. Conosci te stesso, dice un profeta. Sì, conosci te stesso e amerai i tuoi vicini. Il miglior modo di conoscere voi stessi è di ascoltare e leggere e osservare quello che altri dicono, scrivono e fanno nel mondo. Potrete non capire sempre quello che dicono, potrete anche fraintendere quello che leggete, ma se siete pazienti abbastanza imparerete cosa sta succedendo là di fronte a voi. Contrariamente alla credenza popolare, io credo che la terra sia un paradiso. Potrò non amare tutti, ma potrò certamente amare molti nel mondo. La mia concezione dell’Italico sorge da questo desiderio di trovare amici e innamorati attraverso il mondo che condividono quello che io condivido. Vedere con nuovi occhi quello che uno sa. Il nostro lavoro di intellettuali è di assicurare che la conoscenza non sia mai dimenticata. Anche se divento un robot, io potrò ancora imparare a essere un umano.

(5 dicembre 2006)

Categorizzato in: