Peter Nguura va di villaggio in villaggio, in Kenya, tra i Masai, per spiegare l’impatto devastante delle mutilazioni genitali per le bambine e proporre riti di passaggio alternativi
di Monica Coviello
A fermare la drammatica tradizione del cutting, delle mutilazioni genitali femminili, lui ci prova con le parole. Peter Nguura, keniota, padre di tre bambini e project manager di Amref Health Africa (African Medical and Research Foundation), va di villaggio in villaggio, nelle comunità Masaai, e chiede di incontrare i capi. Gli anziani, quelli che ancora decidono sulla vita delle ragazze, sul loro futuro, sui matrimoni.
Prova a spiegare, utilizzando anche foto e video, qual è l’impatto delle mutilazioni genitali per le bambine, quanta è la loro sofferenza e quali i segni e le conseguenze che sconteranno per tutta la vita. E spesso riesce a trasmettere il messaggio.
Nel mondo, secondo il nuovo rapporto Unicef, almeno 200 milioni di donne e bambine, 70 milioni di casi in più di quelli stimati nel 2014, hanno subito mutilazioni genitali femminili. Tra le vittime, 44 milioni sono bambine e adolescenti fino a 14 anni. 3 milioni a rischio ogni anno. Nel solo Kenya, dove opera Peter, 100.000 bambine subiscono le mutilazioni genitali ogni anno.
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