Farian Sabahi
Torniamo in Europa, dove assistiamo al ritorno dei cosiddetti foreign fighters dalla Siria e dall’Iraq. Come si può affrontare il problema?
«È necessario sradicare l’ideologia che anima questi giovani, lavorando con i leader religiosi musulmani affinché questi ragazzi scelgano una strada diversa rispetto al radicalismo. La questione è però dove trovare gli imam in grado di portare avanti questo compito. In ogni caso è un problema che devono risolvere i musulmani stessi, mobilitandosi per sradicare le interpretazioni radicali dei loro testi sacri».
Queste interpretazioni radicali portano con sé una buona dose di misoginia. Secondo lei, perché nei secoli l’Islam è diventato così aggressivo con le donne?
«Non è colpa dell’Islam in sé, quanto di quei musulmani che hanno imbastardito la nostra religione. Mi arrabbio quando penso a tutte le ingiustizie che le donne musulmane hanno dovuto subire, laddove 14 secoli fa la Rivelazione ci aveva permesso di ottenere diritti. Penso a Maria, la madre di Gesù, a cui è dedicato un intero capitolo del Corano e che è tenuta in palmo di mano dai musulmani, segno del valore che l’Islam dà alle donne, ben diverso dall’atteggiamento di quegli uomini che stanno monopolizzando la nostra religione. Nel Ventunesimo secolo, dobbiamo ancora lottare per poter frequentare le scuole, per decidere per noi stesse. Confrontandoci con concetti assurdi come la tutela da parte di un guardiano, le differenze di genere in ambito ereditario, la questione dell’onore».
A proposito dei diritti delle donne nell’Islam, in che cosa consiste la vostra iniziativa #ImamsForShe?
«Lavoriamo con gli imam di sesso maschile, con gli studiosi e le studiose delle scritture dell’Islam, con tutti coloro che promuovono i diritti delle donne e delle bambine. Nel nostro programma ci sono workshop, campi sportivi per le ragazzine in cui teniamo anche corsi sulle interpretazioni liberali dell’Islam per dare a queste giovani gli strumenti per rispondere — con le armi della religione — alle imposizioni e difendere i propri diritti. Sarebbe bello se aderisse anche Malala (attivista pachistana vincitrice del Nobel per la pace, ndr)».
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