Il rito alternativo contro le mutilazioni genitali
Si svolgerà il 28 agosto la più grande cerimonia di passaggio di ragazze masaai senza il tradizionale “taglio”. Al contrario, alle giovani saranno impartite nozioni di educazione sessuale e salute di genere.
ROMA – Saranno benedette con un libro e una penna, non dovranno mostrare coraggio davanti al dolore dell’infibulazione, saranno libere di vivere la loro vita in un corpo sano, capace di provare piacere e salvo da malattie e infezioni. E’ questo il destino delle 1.200 ragazze masaai che in Kenya prenderanno parte al più grande rito di passaggio alternativo mai celebrato finora. Un rito che scardina la tradizione del “taglio”, della recisione della clitoride, cui ancora milioni di donne nel mondo sono sottoposte.
L’impegno sul campo. Grazie all’impegno di ong locali e internazionali come Amref, negli ultimi anni sempre più comunità hanno scelto di abbandonare la cruenta tradizione della mutilazione genitale femminile, festeggiando il passaggio all’età adulta delle giovani con riti meno violenti, ma altrettanto significativi. Negli ultimi tre anni in Kenya e Tanzania, più di 7000 ragazze sono state salvate dalla mutilazione grazie all’appoggio di otto comunità locali e al sostegno formale di oltre 350 leader locali. Quest’ultimi infatti hanno preso atto delle conseguenze che questi riti hanno non solo sulla vita e sui diritti delle donne, ma anche sul dilagare dell’analfabetismo e dell’elevata mortalità dovuta a parti in età precoce.
Giurare su un libro. L’opera di sensibilizzazione è iniziata dialogando con gli anziani e i guerrieri che ritengono una vergogna sposare una donna non ifibulata. Grazie alla lotta di Amref e di alcune donne locali che hanno cercato di spiegare le ripercussioni che tali pratiche hanno sulla salute, sull’educazione e sulla vita sessuale delle giovani, in alcune zone si è riusciti a cambiare la rotta. Una nuova strada che non perde di vista la tradizione. La celebrazione alternativa infatti ripercorre gli stessi rituali di passaggio. Le giovani sono svegliate nel cuore della notte, lavate, vestite e condotte lontano dall’abitazione. Ma invece di esser deturpate con un coltello, vengono benedette con una penna e prestano giuramento sopra a un libro. La celebrazione del 28 agosto è preceduta da tre giorni dove le ragazze riceveranno lezioni di educazione alla sessualità, sensibilizzazione su Aids e Hiv e diritti umani.
Piccoli segnali. Ma se le giovani provenienti da Kenya e Tanzania saranno salvate dalle ferite fisiche e psicologiche inferte da una pratica crudele, stesso destino non tocca a milioni di donne che ancora nel mondo subiscono inermi la mutilazione genitale. Nonostante nel 2012 l’Onu con una risoluzione approvata all’unanimità abbia dichiarato la messa al bando universale delle mutilazioni genitali femmini, sono ancora circa 100 milioni le bambine e giovani ragazze che vengono sottoposte al rituale “taglio”. Sebbene la pratica differisca nella modalità e quindi nell’invasività di paese in paese, le ripercussioni sul fisico, sulla psiche e sulla stessa dignità delle donne è messa a serio rischio.
Il 90% delle mutilazioni avviene in Africa. I paesi dove la pratica è più diffusa sono: Mali, Sudan, Kenya, Tanzania ed Egitto. Spesso sono le stesse donne, soggiogate da una cultura e da una società che le reprime, a sostenere questo rito di pasaggio come necessario per l’orgoglio e l’accettazione sociale. Ma cambiare è possibile e i rituali alternativi possono divetare un’alternativa reale e rispettosa del corpo femminile. (di CHIARA NARDINOCCHI)
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