racconto di Anna Manna

Dal lampadario pendeva una calza grandissima: dentro cocci di tazzine rotte e cianfrusaglie vecchie.
Dominava la stanza la calza rossa, col Babbo natale coi baffoni bianchi sul bordo.
Pendeva immobile e sorprendente. Era la cosa più bella del salotto.
Eppure era una casa lussuosa, rifinita, addolcita da anni di amorevole cura e visite di parenti e amici.
Fotografie sorridenti, testimonianze di momenti felici, viaggi, incontri, pranzi, cerimonie.
Ma tutto scompariva, era come annullato da quella calza grandissima e pendente.
Che da una parte riproponeva le atmosfere della fanciullezza ma dall’altra le cancellava perché era grande, più grande della norma e disegnava nell’aria quasi il timore dell’attesa di una strana befana.
Chi entrava in casa vedeva subito quella lana rossa e festosa a forma di calza che troneggiava nel centro del salotto, legata al lampadario per vezzo perché anche da sola si sarebbe retta in piedi tanto era grande.
Lisa si scoprì a pensare che nella vita la giusta dimensione rende tutto sopportabile. Una calza piccola, nel posto giusto, sarebbe stata innocua, ma così grande, così vistosa, così troneggiante rendeva l’attesa spasmodica ed inquietante. Come se una befana enorme dovesse scendere dal camino e dunque l’avrebbe rotto con conseguenze disastrose. Una festa troppo grande, un evento troppo grande, che dimentichi le giuste dimensioni, può diventare tragico pensava Lisa.
Il marito Giovanni dopo il primo attacco di irritazione spasmodica alla vista di quello scherzo di Stefanino, che pure aveva ormai venticinque anni, si placò e cominciò a convivere con quell’infanzia strampalata, quel ricordo abnorme di una fanciullezza felice e smisurata. Per una generazione di bamboccioni, pensò, ci voleva una calza enorme e fuori dai limiti come la loro età divaricata da arnesi spettacolari di tortura che li obbligavano a restare bambini in eterno.
Stefanino girava con manuali di filosofia antica dove poggiava la colazione che sgocciolava sul computer invadendo i faccioni dei politici che ogni mattina saltavano da quello scatolone magico per piovere in casa e cominciare ad illividire rapporti e melodie domestiche. Le veline occhieggiavano al giovane che se ne infischiava, i tronisti veleggiavano verso la madre che li rinchiudeva schifata nel televisore, il padre rimpiangeva le ballerine di una volta che potevi desiderarle senza sentirti una latrina. La battaglia iniziava la mattina presto, bisognava azzerare il televisore, senza spegnerlo perché era necessario sapere, ma senza esserne sopraffatti.
Così mostri, miraggi, miracoli e senzatetto giravano per casa e bisognava ricacciarli negli angoli meno importanti del cuore. Alle ore 7,45, mascherati da ufficio i genitori, spavaldi giovani di 60 anni, si concludeva un ciclo.
La guerra era finita e Stefanino rimaneva padrone in casa.
Ad aspettare lo squillo del miracolo. Un lavoro annunciato. Impossibile miracolo. Ed infatti era talmente consapevole che si trattava di miracolo che non rispondeva al telefono. Tanto non era il lavoro agognato.
Quella lunga calza rossa l’aveva filata nelle interminabili mattinate trascorse a casa. Ed ora pendeva nel salotto all’alba del 2013. Il mondo non era finito con i Maya, il telefono non aveva squillato né per annunciare la fine del mondo, né per offrire lavoro.
Non era successo nulla e questo sembrava il peggiore dei Natali.
Lisa tra Natale e Capodanno pensò di dare un senso positivo a quella ridicola calza pendente dal soffitto. Comprò una carta pergamena e con un vivace pennarello rosso scrisse: “In questa calza raccoglieremo i cocci dell’Apocalisse che non c’è stata e ricostruiremo un mondo migliore.
Sarà la nostra befana, la befana che ricostruisce senza dimenticare tutto quello che c’è stato di bello, anzi rinnovando il mondo con i cocci, conservati come preziosi ricordi di ieri.”
Giovanni alla scoperta della bella idea della moglie si sentì morire. Così anche lo scherzo ridicolo di Stefanino diventava impegnativo!
Quasi un programma di lavoro e lui si sentiva stanchissimo……
Si decise, visto la piega che aveva preso la calza che pendeva protagonista di fare una cena con i parenti. Ma fuori dalle feste comandate. La cena della calza!
Magari il 28 o il ventinove di dicembre!
Cominciarono i preparativi: ognuno doveva portare un piatto, speciale ma non troppo, senza troppa fatica, magari i resti, i cocci di Natale insomma!
Lisa pensò di spolverare una portata che preparava al marito nei primi anni di matrimonio, così mi ricordo i tempi meno caotici, si diceva. E mentre cucinava si fermò molte volte a pensare a quel tempo.
Ogni cenetta la sera aveva fiori di colori diversi, abbinati alla tovaglia. Poi si accorse che i bucati erano abbondanti, dimenticò le tovaglie… ed i fiori. Così passarono i primi anni di matrimonio. Il ricordo la intenerì.
La zia Giulia confezionò i cestini di frutta candita… quelli così speciali che quando Stefanino andava all’asilo, le suore morivano dalla voglia di rubarli!!!
Stefanino sorrideva un pochino beffardo, un pochino addolcito. Intanto la calza sembrava aumentare di larghezza e di lunghezza. Aveva invaso tutto il salone.
Nonna Chiara, forse era già morta chissà, ma sembrò resuscitare. Tutti comunque la sentivano presente con le sue ciambelline di Natale. Alla fine un trionfo di fritti entrò in casa. Il piatto enorme era sorretto come un trofeo in processione da cugini, nipoti, giovanotti con il futuro della famiglia stampato in faccia.
Elena ricordò il menù del battesimo di Gegè e lo ripropose a memoria. Gianluca si divertì a cucinare le frittelle della laurea in Architettura. Come un’Arca di Noè la calza si riempì dei ricordi gastronomici di ognuno. Ma nessuno badava al cibo, i cuori erano avvolti dall’aria mesta e dolce della nostalgia. Alcuni dei parenti non vennero alla cena, ormai distanti dai ricordi, qualcuno volle dedicare anche a loro un brindisi ed un sorriso.
Così passarono i giorni beati tra Natale e Capodanno ma loro continuavano a stare seduti intorno a quella tavola imbandita con i ricordi. Era una meraviglia vederli così vicini, così affettuosi, così felici. Tra gli altri discorsi si parlò dello scampato pericolo, di quella fine del mondo che ormai sembrava a tutti una barzelletta. Ma come aveva fatto il mondo intero a credere a quella sciocchezza?
Non saprei dire quando cominciò quella strana danza della calza : certo all’improvviso o forse piano piano la calza cominciò a muoversi, a vibrare. Poi tutti si accorsero che non era solo la calza a danzare. Che tutto il palazzo si smembrava, che cadevano calcinacci, che il cielo si spaccava…. era l’Apocalisse in clamoroso ritardo!
Ma insomma era arrivata in fine, quando nessuno la temeva più.
Molti ebbero paura, molti scapparono, molti furono annichiliti da disastro.
Lisa era dentro la calza a rimestare tra i cocci e mentre assaporava i ricordi più dolci si accorse di essere al sicuro nella calza che pendeva nel cielo, gonfia di tutte le meravigliose melodie della vita. Giovanni stava per affondare nel nulla attaccato alla sua ferrea ragione ma alla fine la simpatia per la folle adesione della moglie alla dolcezza lo salvò, si aggrappò anche lui alla calza chiamando a squarciagola Stefanino.
Che sornione se ne stava appollaiato su una stella con il filo rosso della calza in mano. L’aveva costruita lui quella tana, quella stalla in ritardo, quella via di fuga. Ed ora davanti all’apocalisse si divertiva a recuperare i genitori avvinghiati all’amore per la loro casa e per i loro ricordi.
Era un giovane di oggi, non aveva nulla, neanche più il futuro.
Ma quella pergamena della mamma, con quella frase sciocca dentro la calza, l’aveva colpito.
Così raccolse i cocci ad uno ad uno e cominciò a costruire un mondo nuovo.

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