Le immagini della prigione irachena di Abu Ghraib hanno scosso tutti a tal punto da sollevare la delicata questione del sesso nell’ambito dei rapporti tra musulmani e occidentali. Se da un lato l’intera struttura sociale musulmana sembrerebbe mantenere il compito arcaico di contenere la sessualità femminile, al punto da farci osservare con una certa ironia questo aspetto della civiltà islamica, dall’altro lato la nostra struttura occidentale, strabordando di abusi ed indecenze di ogni tipo, non ci pone di sicuro in un’ottica di garanti dell’esempio etico e dell’applicazione del diritto inteso conforme alle Costituzioni vigenti in Europa.
La rabbia della Fallaci lascia quasi perplessi davanti al disordine ed all’incoerenza che regnano in occidente. Sospeso il bombardamento mediatico contro il nemico islamico, la questione sollevata dalla Fallaci sonnecchia indisturbata fra le pieghe di altri eventi in attesa di essere risvegliata al primo strategico suono di tromba.
Vero è che in questa Europa risiedono comodamente sia l’immobilismo che il trasformismo. Da tenaci custodi dell’uguaglianza, della giustizia e della libertà i cittadini europei sembrerebbero ridotti a passivi spettatori di un dissolvimento dei principi fondanti le democrazie.
La miriade di iniziative, sorte nel corso degli anni a sostegno della salvaguardia delle identità nazionali, al fine di tutelare con armonia e spirito solidale il costante dialogo fra i cittadini degli stati membri, sono implose sotto l’impulso della agguerrita e devastante competizione degli affari più spregiudicati.
Dalla tutela dell’ambiente a quella dei diritti umani corrono spazi infiniti di corruzione ed illeciti che stanno dilaniando le piccole e grandi realtà e che a mio avviso non risparmieranno nulla e nessuno.
Lanciamo uno sguardo ad alcuni articoli della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e misuriamo le distanze che corrono fra ciò che viene scritto e sottoscritto e ciò che invece appartiene ai fatti, al vero, alla quotidianità della storia che registra e memorizza.
Il preambolo al punto 1 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (che citerò in seguito con la semplice parola Carta) recita: I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
1. Siamo noi europei tutti d’accordo sul nostro patrimonio spirituale e morale?
2. Contribuiscono i governi degli attuali Stati membri al mantenimento di “questi valori comuni” nel rispetto delle diversità delle culture e delle tradizioni nostrane?
3. La dignità umana che si afferma inviolabile all’art.1 della Carta è davvero rispettata e tutelata?
4. Art.4: Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Possiamo davvero ignorare le condizioni di schiavitù in cui minori e donne e uomini vivono in Europa?
5. Art.11: Libertà di espressione e d’informazione. E’davvero questo principio compatibile con l’attuale veicolazione delle idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera? I media sono davvero gli attori del pluralismo?
6. Art.13: Libertà delle arti e delle scienze. La libertà accademica è rispettata o imbavagliata da riforme che ne amputano lo sviluppo?
7. Art.14: Diritto all’istruzione. L’esercizio delle leggi nazionali garantisce davvero il diritto di accedere gratuitamente all’istruzione obbligatoria e ad una formazione professionale continua?
8. Art.15 Libertà professionale e diritto di lavorare. Punto 3 dello stesso articolo: I cittadini di paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell’Unione. E’ il lavoro nero una realtà violenta che nel contesto globalizzante sfrutta nei nostri territori persone autoctone e stranieri o la conseguenza inevitabile dell’interesse privato e dell’incapacità organizzativa di chi detiene la responsabilità istituzionale?
9. Art.23 Parità tra uomini e donne. La parità tra uomini e donne è assicurata in tutti i campi o è puntualmente violata lasciando nello svantaggio uno dei due sessi?
10. Art.24 Diritti del bambino. Possiamo candidamente sostenere che il benessere dell’infanzia è dettato da un interesse superiore atto a garantisce una relazione personale del bambino con il mondo adulto equilibrata e serena?
11. Art. 25 Diritti degli anziani. Conducono i nostri anziani una vita dignitosa e partecipativa della vita sociale e culturale? Come affrontano gli Stati membri la “questione senile” nei casi dove la legislazione rimette alle famiglie l’onere esasperante di cura?
La constatazione oggettiva dell’ imbarbarimento di questi sani principi, scritti e sottoscritti, nero su bianco, dai nostri rappresentanti europei, ci conduce all’art. 41: Diritto ad una buona amministrazione.
Poiché l’art.44: Diritto di petizione. reca con sè il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo. Molte di queste già giacciono fra le carte degli uffici di competenza.
Avevamo dunque dei sogni, semplici e banali desideri per un vivere civile. La fine della seconda guerra mondiale ci aveva invitato al risveglio dall’incubo della barbarie ma oggi possiamo dire che molto di quel tragico secolo è stato dimenticato. Eppure abbiamo fatto di più. Abbiamo ignorato il passato e riproposto in chiave moderna l’efferatezza della violenza camuffandola con abiti democratici. Alla luce dell’evoluzione possiamo dire di aver fatto passi in avanti in termini di mascheramento. L’essere umano che oggi proponiamo è un essere stordito quando succube e spietato quando dirige. Servi di un potere finanziario, che opprime il cittadino comune, siamo stati occupati da un colonialismo senza bandiera che condiziona silente e inarrestabile ogni nostra scelta. Lontani dal pensiero del “giusto”, ossia da colui che non fa ciò che non vorrebbe fosse lui fatto, vaghiamo alla ricerca di una serenità che non può coesistere fra ingiustizia e ciarpame di guerra globale.
All’alba di nuove forme di governo mondiale siamo incapaci di distinguere il valore della comunità umana, la quale, se rispettosa dell’altro ed organizzata nell’equo ed irrinunciabile servizio sociale, dovrebbe renderci inossidabili anche in balia della sopravvivenza e non così fragili da barattare le nostre paure con le generazioni future.
Il concetto di dignità svilisce così sotto l’allarme delle infinite emergenze, più o meno indotte, lasciando all’ansia occupare il tempo della gioia. Continueremo a parlarci addosso. Ascolteremo numeri fasulli. Sprofonderemo nelle credenze che inchiodano. Moriremo orfani di una libertà che non siamo stati capaci di conquistare veramente e che quindi non difendiamo.
Se qualcuno, nel passato, ha salvato l’uomo, lo ha fatto attraverso il sacrificio. Quell’eterna domanda che interpella il cuore di ognuno: “Voi chi dite che io sia?” (Mc 8,29) suonerebbe rivoluzionaria se, come per magia, potessimo rivolgerla a noi stessi, magari davanti ad uno specchio, e provare a dare risposta dell’operato a cui l’universo chiama ogni singolo.
Vogliamo rispetto. Lo rubacchiamo. Ci illudiamo di averlo. Lo confondiamo con il benessere. Lo barattiamo con le cose. Lo neghiamo al prossimo. Lo svendiamo per paura. Lo chiediamo ad intermittenza come luce di un nastro a festa. Ma il rispetto è figlio della dignità personale e quindi non si può chiedere ad altri. Al contrario, seppur calpestato e deriso, la pretesa ad essere è sì forte quanto lo è la testimonianza che ne diamo, verso noi stessi e verso il prossimo.
Li 08/04/2010
Anna Rossi
Docente di Business Language
Facoltà di Scienze Sociali – Roma –
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