di Cristiana Bullita

Contrariamente a quanto alcuni pensano, o fingono di pensare, la realtà presenta aspetti irriducibilmente contraddittori. L’idea che sia sempre possibile conciliare posizioni contrastanti è ingannevole e illusoria. Le diverse alternative non si lasciano sempre ridurre alla continuità di un unico processo dialettico che fagociti le differenze insensibilmente, senza strappi e dolore. Ciò potrebbe accadere, forse, se quelle differenze fossero solo apparenti, cioè se inerissero l’astrattezza del pensiero e non la concretezza delle cose reali. Ma essere razzisti o antirazzisti, fascisti o antifascisti, clericali o anticlericali, imperialisti o antimperialisti, sionisti o antisionisti, significa agire, prima che pensare, in modi radicalmente diversi, e quindi realizzare un modello sociale o il suo contrario. Come avverte Adorno, le contraddizioni sono oggettive; chi manifesta uno spirito sfrenatamente conciliatorio non è attento all’esistenza reale, ma solo a quella concettuale. Alla dialettica della sintesi e della conciliazione, il francofortese oppone la sua “Dialettica negativa” e il rigetto del mito della “totalità pacificata”. Ciò che è reale non è affatto razionale, con buona pace di Hegel, e il mondo è caratterizzato da disarmonie e contraddizioni non conciliate. Forzando quelle contraddizioni verso una sintesi impossibile si finisce per razionalizzare l’irrazionale, unificare il diverso, armonizzare il disarmonico, senza saper più guardare la realtà per ciò che essa è veramente. Si finisce per compiere un’operazione mistificatoria negando il non identico e fornendo un quadro alterato e ingannevole del mondo e dei nostri rapporti reciproci.

Trovo estremamente irritante, nel momento di più acceso confronto tra individui che la pensano diversamente, l’intervento -non richiesto- del mediatore di turno che pronuncia la fatidica frase: vogliatevi bene! Come se il problema fosse quello, come se il richiamo allo spirito evangelico potesse dissolvere immediatamente il motivo del contendere, e con esso il legittimo dissenso delle parti. Il momento di più viva stizzosa alterazione si raggiunge quando l’improvvisato paciere vuol convincere i contendenti che, in fondo, la pensano allo stesso modo o che, comunque, il dissidio è superabile. Eh, no! È bene smetterla di raccontare frottole, almeno a se stessi: termini opposti non raggiungono sempre una conciliazione, tesi e antitesi non trovano sempre una mediazione. E in certi casi è bene che sia così, se si ha a cuore l’etica. Nell’esempio sopra, razzismo e antirazzismo non sono conciliabili, dei due l’uno: Aut-Aut. Come ammoniva Kierkegaard, contestando l’“et-et” hegeliano, nella ruvida concretezza del reale, i distinti e gli opposti non si lasciano sintetizzare e restano tali.

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