Nel Giappone attuale, paese dell’avanguardia tecnologica, dello shopping compulsivo, del primato di
modernità, la condizione femminile rimane ancora ai minimi storici.
Essere donna oggi in Giappone è dura, anche se le nuove generazioni stanno invertendo le tendenze dei padri e soprattutto delle madri, avvicinandosi alla parità dei sessi.
Fino ad ora la donna è sempre stata qualcosa da tenere da parte, l’ideogramma che in giapponese indica la moglie significa “interno, parte più profonda” (oku), mentre, neanche a dirlo, l’ideogramma di marito vuol dire anche “padrone, signore” (danna).
In effetti questo ha una doppia valenza, e come tale ha pro e contro.
I pro sono che la donna può non lavorare e gestire “dall’interno” la famiglia e gli affari sociali, stare con i propri figli, avere degli hobby, fare shopping nei negozi di alta moda con le altre casalinghe, visto il tempo libero a disposizione e considerato che lo stipendio del marito ha di solito un decente valore d’acquisto.
Di contro c’è un’insoddisfazione lavorativa non indifferente, poiché la donna in Giappone “deve” stare in casa con i figli per supportarli a pieno nella crescita, visto che per entrare all’asilo il bambino deve superare test adatti ad un aspirante ad Harward! Poi, per non avvizzirsi da sola in casa, mentre il bambino è a scuola, è invitata dalla società a fare shopping. Il marito lavora, guadagna e la moglie spende.
E la società gira.
Nelle aziende giapponesi, la donna che lavora non supera in media i 35 anni, pur avendo titolo di studio pari ai colleghi di sesso maschile viene considerata una OL (office lady), termine che sta appunto ad indicare non tanto un’impiegata come è giusto che sia, ma una “donna in ufficio”, ovvero quella che oltre a svolgere mansioni simili ai colleghi deve provvedere a servire il tè e pulire le scrivanie, tanto per fare un paio di esempi.
Per non parlare poi delle inclementi uniformi che deve indossare, a discapito della grande femminilità che invece emanerebbe col suo innato charme orientale. Assumere una donna in un ufficio è giusto per rispettare le leggi che prevedono che ogni tot impiegati maschi ci siano pure delle femmine, ma al momento della riconferma del contratto molte donne vengono “invitate” dall’azienda a ritirarsi, per dar loro la “possibilità” di stare appresso alla famiglia.
Considerando che un impiegato giapponese rimane in ufficio una media di 12/14 ore al giorno, con picchi di 18/20 ore (senza che gli venga riconosciuta un’ora di straordinario), va da sé che passerà in casa giusto il tempo di farsi un bagno e dormire qualche ora, spesso mangiando pasti veloci in brevi pause “rubate” al lavoro.
E’ di questi ultimi giorni la denuncia che le donne giapponesi più di altre soffrono della RHS (Retired Husband Syndrome) ovvero “Sindrome da marito in pensione”.
Questo purché relegate dalla società a doveri domestici, costrette a non poter passare con il marito non più di una settimana l’anno (monte ferie di un impiegato medio), una volta che il marito va in pensione si ritrovano in casa uno sconosciuto, e si ammalano.
Fortuna vuole che nel Giappone moderno la società, nel bene e nel male, sta mutando, e molte delle regole non scritte stanno cambiando in una sorta di ’68 light e infinito.
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