NICCHIA, CONTESSA DI CASTIGLIONE
di Nadia Angelini

Virginia Elisabetta Luisa Oldoini, può essere ritenuta, senza tema di essere smentiti, la donna più bella del Risorgimento Italiano.
Nasce a Firenze il 22 marzo del 1837 dalla Marchesa Isabella Lamporecchi e dal Marchese Fillippo Oldoini.
Appena giovinetta (all’età di 17 anni ) andò sposa al Conte Francesco Verasis Asinari di Costigliole d’Asti e Castiglione Tinella, che aveva dodici anni più di lei.
Trasferitasi in Piemonte con il marito, partorì a Torino il loro figlio Giorgio.
La sua figura alta e slanciata, i suoi lucenti e lunghi capelli a spire, quel volto dall’ovale perfetto, che ospitava occhi sorprendentemente grandi, azzurro-violetti ed un nasino diritto ed aristocratico su due labbra stupendamente disegnate, non fecero però di lei una donna felice.
Si ricordano i suoi silenzi, il balenio di tristezza che, molto spesso, attraversava il suo sguardo.
Fu una donna ammirata, e molto desiderata.
“Nacqui nell’istante in cui una stella cadente passava sulla mia culla…il segreto circonda la mia nascita e non so bene dove sia nata e da chi …posso solamente affermare che correva l’anno 1843 e non 1840”
Nessuno meglio di lei, conosceva la falsità di quelle affermazioni; nessuna più di lei, fu cosciente di possedere una bellezza estremamente fuori dal comune.
Nicchia, questo il suo soprannome per i parenti e gli amici più intimi, fu protagonista indiscussa nei salotti più prestigiosi, nei palazzi reali e nella storia militare Italiana di quello scorcio di secolo.
Fu proprio Camillo Benso Conte di Cavour che, sebbene invano avesse vivamente sconsigliato il Conte Francesco di Castiglione, suo cugino a sposarla, si servì di lei, usandola come ambasciatrice presso l’Imperatore di Francia Napoleone III.
Sembra infatti che l’Imperatore dei francesi fu travolto dallo splendore della Contessa di Castiglione, permettendo così all’Italia di far parte del trattato di pace dopo la guerra di Crimea ed a Cavour di essere ascoltato da una platea internazionale.
Quella di Camillo e Nicchia, era si una parentela scomoda per il primo, sotto alcuni aspetti; per taluni altri, invece, fu manna a piovere dal cielo e lo statista non perse occasione per assicurarsela.
Virginia era amante delle feste, adorava indossare abiti di sogno e gioielli da capogiro ed amò soprattutto le alcove regali!
E’ tramandato ai posteri che Re Vittorio Emanuele abbia letteralmente perso la testa per lei e che le abbia donato gioielli di valore inestimabile.
Altezzosa, scontante ed un pochino cinica; non riteneva importante il giudizio degli altri ai quali, per sue mire, non era interessata e considerò sempre con assoluta indifferenza tutto il genere femminile, che riteneva comunque inferiore a se stessa.
Bella, bella ed impossibile è davvero il caso di dire!
Destino iniquo fu il suo : non riuscire ad amare nessuno e saper di non essere amata, bensì solamente desiderata per tanta bellezza.
Anche per suo marito ella fu un trofeo da mostrare; lui aveva sposato la donna più splendida d’Italia e d’Europa!
Forse…l’unica storia che non è possibile considerare soltanto carnale fu quella con Costantino Nigra.
Legato alla diplomazia risorgimentale, uomo brillante, si crede fosse stato l’unico ad amarla non soltanto per la sua estrema bellezza…Forse che anche lei lo riamò? Ciò sembra davvero improbabile.
Bizzarra, fatua, vanesia e poco realista, questa donna col passare degli anni si ritrovò sola , spaventata dal trascorrere del tempo che, inesorabilmente le carpì la meravigliosa fresca bellezza che lei aveva usato in tutte le occasioni della vita.
Forse… avrà compreso che la sua attuale solitudine era il frutto tardivo di una vita spesa …a buttar via se stessa, ed aver permesso agli altri di usarla, sentendosene anche altamente gratificata.
Forse avrà davvero sperato e creduto che sarebbe stata sepolta con i suoi cani imbalsamati accanto a lei, come aveva scritto che accadesse. Per quell’ occasione sperò d’indossare la camicia della sua notte d’amore con il Re.
Nulla di tutto questo accadde; il suo testamento fu aperto dopo che ella fu sepolta.
Della sua casa fu fatto scempio: la polizia cercò e bruciò tutti i carteggi compromettenti che lei aveva custodito,come cimelio di un vessillo che le profonde rughe della vecchiaia avevano devastato.
I suoi gioielli rubacchiati un po’ da tutti ed i veli neri sugli specchi, che erano serviti a non veder riflesso un volto che ormai rinnegava, furono strappati via.
Della meravigliosa, splendida Nicchia, non resta che un piccolissimo cenno nella storia Italiana ed un ricordo che neanche il tempo potrà mai cancellare: la sua avvenenza che affascinò il mondo e piegò il volere dei Re.

CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR
di Maddalena Rispoli

Dietro il tondo occhialetto, ancora oggi il Conte guarda con accentuata miopia l’Italia e gli italiani sorridendo con l’aria beffarda e sorniona che lo contraddistinse anche in vita. E’ la stessa miopia che gli permise, giovane tenente del Genio, di lasciare il servizio per iniziare vagabondaggi culturali in Francia ed in Inghilterra dove osservò quanto gli poteva interessare per rendere migliori le sue competenze di proprietario terriero e, perché no?, anche le conduzioni politiche ed economiche di quei paesi. Per ben 17 anni fu sindaco di Grinzane, oggi Grinzane Cavour, dove curava le sue terre con molta capacità; pare che fosse sua l’intuizione di produrre il Barolo, vino così tanto amato insieme alla Bela Rusin da Re Vittorio Emanuele. Nel 1847 il Conte fonda il periodico “Il Risorgimento” e l’anno successivo è Deputato al Parlamento, nel 1851 Ministro dell’Agricoltura, Commercio e Marina. L’occhio è miope ma il cervello di faina per cui, senza por tempo in mezzo,darà vita al “connubio”:coalizione programmatica tra le componenti liberali più moderate della Destra liberale ( i cui esponenti sono D’Azeglio e lo stesso Ministro) e Sinistra piemontese rappresentata da Rattazzi, nel Novembre dello stesso anno sarà eletto Presidente del Consiglio dei Ministri. Gli eventi procedono come tutti ben sappiamo, la scena si arricchisce di molti protagonisti di cui egli si serve ma che comunque non
gradisce ritenendoli piuttosto ingombranti, come Mazzini e Garibaldi; del secondo teme in particolare che possa divenire un fastidioso peso ed avversa la spedizione dei Mille( fra le altre cose il suo intuito di faina gli suggeriva che forse l’Austria avrebbe mal visto un movimento di navi sospette in mare)addirittura cerca di inviare armi ai Borboni con estrema segretezza su navi piemontesi negli Abruzzi e in Calabria. D’altro canto nei suoi confronti si era espresso chiaramente a suo tempo con Lord Winspeare dicendo: ”Non aspettate sempre che Garibaldi vi attacchi, uscitegli incontro, battetelo, arrestatelo, impiccatelo!”
La politica piemontese dirà di non resistere al “grido di dolore” del sud ,ma in verità fu sempre molto accorta e furbesca verso i poveri patrioti napoletani tra cui spicca per ingenuità il povero Carlo Poerio il quale non seppe mai di essere un sorvegliato speciale come viene confermato da una lettera del Governatore della Divisione di Polizia di Novara, datata 24 agosto 1830, in cui si previene il Comandante sul “consaputo napoletano Avv. Poerio” il quale aveva preso passaporto in Livorno per Genova e Torino… “di stare sulla di lui comparsa nella massima attenzione “per mandare ad effetto le misure prescritte a suo riguardo…”.Però miracolo della politica, ciò non toglie che Cavour poi gli scriva per offrirgli un Ministero onde introdurre l’elemento meridionale nel nuovo ordine; Poerio rifiuterà e bene farà poiché le cifre diranno chiaro che nel 1865 su 59 Prefetti ,43 erano piemontesi e su 443 deputati al Parlamento, 251erano centro settentrionali. La politica piemontese tese sempre, Cavour in testa, ad escludere dai pubblici incarichi della vita impegnata quegli stessi “sudisti” che avevano lottato per l’unità. Il risultato fu che nel sud crollò tutto l’impulso industriale che Ferdinando II con tanto amore aveva voluto. L’industria tessile di Otranto, Salerno, Gallipoli, Pedimonte d’Alife morivano. Lo stesso avveniva per la produzione della robbia che aveva fatto vivere Caserta e Castellammare, iniziava quella questione meridionale che si sarebbe trascinata fino ai nostri giorni.
Il 6 giugno 1861, Cavour moriva a Torino