di Maria Pia Sozzi

Solo quando attraversai la strada mi resi conto di voler lasciare ogni cosa alle spalle, non mi voltai…
Pochi soldi in tasca, molto coraggio ma, nel cuore, tanto amore per vivere.
Non sapevo in quale direzione andare: ero libera di decidere!
Una vita vissuta nella penombra dei miei pensieri, dei sogni e ora il mondo era lì: potevo scegliere quel che desideravo!
Il tempo correva veloce e la notte mi sorprese a pensare, ricordare… fantasticare. Non avevo ne sonno ne fame, tutto ciò che era intorno mi saziava.
La bellezza della notte, il tepore dell’asfalto riscaldato dal sole ormai spento, saliva come dolce respiro, accarezzando la mia pelle.
Nulla in quel momento poteva consolarmi di più!
Avevo dimenticato la bellezza di vivere sotto un cielo schizzato di stelle.
La notte aveva indossato il suo abito tempestato da preziosi diamanti e gli alberi, alti ed eleganti come tanti cavalieri, erano lì, ad attenderla per scortarla nei sogni di tanta gente come me.
Provavo delle emozioni indescrivibili, mi sentivo leggera, camminavo senza toccare terra, era come se improvvisamente fossi tornata nel grembo di mia madre: mi sentivo coccolata e amata.
Qualcuno mi passò vicino, si fermò, mi chiese se avessi bisogno d’aiuto; aveva un viso vagamente famigliare e non mi spaventai; risposi che tutto andava bene, non avevo bisogno di nulla, gentilmente si allontanò. Nell’agitare la mano per salutarmi qualcosa gli scivolò in terra, raccolsi di corsa l’oggetto e chiamai lo sconosciuto per avvertirlo ma non vidi nessuno; mi girai, mi rigirai, ma… nessuno… aprii il palmo della mano e vidi una chiave con una piccola targhetta: “felicità” … “Ha perduto la chiave della felicità! Come farà?”
Camminai a lungo, la città era deserta, spalancai la mano, la piccola chiave era lì, improvvisamente capii che dovevo tenerla e che forse era giunto il momento che tanto aspettavo: conquistare un po’ di felicità!…

Ma prima… fuggire…

Arrivai in cima alla collina, non avevo più fiato ma dovevo affrettarmi per non perdere quel treno che mi avrebbe “strappato” da quella città che mi vide infelice. Un ultimo sforzo per non pentirmi di quello che stavo facendo. Fuggivo, si! Fuggivo da tutte quelle persone che credevo mi amassero per quel che ero e non per quel che rappresentavo. Avevo la gola secca per il gran correre; il caldo era insopportabile, ma raggiungere quel treno era la mia unica salvezza. I ricordi si accavallavano e battevano nella testa come un martello. Con un ultimo sforzo scivolai giù dalla collina e vidi, in lontananza, il treno in attesa. Ero salva!
In carrozza non c’era nessuno: questo mi consolava perché ero in uno stato a dir vero pietoso. Avevo dei soldi per vivere almeno due mesi e questo mi confortava.
La stanchezza m’avvolse e all’improvviso sprofondai in un sonno buio e senza sogni.
Una brusca frenata mi svegliò, spalancai gli occhi. Quanto tempo era passato? Guardai l’orologio ma poco m’importava dell’ora… era ancora notte e tanto mi bastava!
La carrozza non era più vuota. Alcune persone mi sedevano di fronte, lanciai un sorriso e fui ricambiata.
Dove ero diretta? Dove andavo? La mia mente era confusa; non ricordavo dove portasse quel treno che rallentava la sua corsa e così anche i miei pensieri.
Guidata da ricordi confusi scesi in una piccola stazione illuminata da pallidi lampioni.
Faticavo a camminare, il respiro era affannoso; non riuscivo a coordinare i movimenti, i pensieri si confondevano; dovevo sedermi: svuotare la mente e il cuore per riprendere il ritmo della vita.
Con lentezza presi la testa tra le mani e fermai ogni cosa, respirai profondamente e d’improvviso la nebbia sì dileguò…

Mi ritrovai…
……

Nell’oscurità gelida della notte, il freddo apriva profonde ferite nella terra.
Potevo udire il rumore dell’acqua mentre ghiacciava. Gli occhi bruciavano e lacrime senza pianto scivolavano sul viso gelato e rosso come il fuoco.
Nulla in quel paese era più come lo ricordavo: anche l’inverno era più rigido.
Mentre mi avviavo verso la casa che fu dei nonni, una nebbia bianca come il latte scese davanti ai miei occhi: ogni movimento era lento, ogni passo pesante, ma tutto questo non m’impedì di trovare il sentiero. Conoscevo quei luoghi meglio del contorno del mio viso.
Dopo tanto camminare giunsi davanti alla piccola “tenuta”. Con mano tremante inserii la chiave nella toppa ed entrai. Accesi la luce. Lo stupore e l’emozione di trovarmi in quella casa mi fecero girare la testa. Ero felice! Di corsa, come in preda alla pazzia, girai da una stanza all’altra, cantando e ballando; i miei occhi lampeggiavano di gioia, udivo le risate dei nonni come quando da bambina giocavo in quelle stanze. Continuai ad aprire le porte presa da un’incontrollabile frenesia.
Mi ricordai della soffitta dove passavo le ore a rovistare tra vecchie cose: inutili per gli “altri” ma piene di mistero e fascino per me. Salii le scale ed aprii la porta. All’improvviso quel mondo fantastico che il tempo aveva scolorito, era lì, davanti a me. La stanza era poco illuminata ma dal lucernaio posto al centro del soffitto, la luna regalava lunghi raggi argentati per farla apparire come una piazza vestita a festa. Iniziai a danzare e giravo… giravo, finché esausta caddi sulla poltrona che fu della nonna e, stordita da tanta emozione, avvertii il suo abbraccio. In quel momento mi resi conto di quel che avevo perduto: in un angolo l’immagine dei nonni tornava a donarmi, ancora una volta, la mia spensierata fanciullezza.
Mi addormentai felice su quella poltrona.
La luce del primo mattino mi svegliò… intensa e calda… una nuova vita m’attendeva!

Maria Pia Sozzi

Mezione speciale al
Premio Letterario Nazionale
“Roncio d’Oro 2012” – Ronciglione 25 Agosto

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