La comunicazione fondamentalmente dovrebbe tradurre in termini verbali la ricerca della verità, tanto più doverosa per gli individui che per vocazione e per professione veicolano idee: i giornalisti, gli scrittori in genere.
La difformità di pensiero in un’epoca in cui l’obiettivo prioritario par esser diventato quello economico è generalmente male accettata. La malattia endemica miete vittime ovunque. E’ molto difficile poter esprimere il proprio dissenso dal comune sentire, ma è confortante ravvisare nella nostra società esseri umani che, quando l’occasione si presenta, non temono l’impopolarità che può derivare dall’esprimere le proprie convinzioni con onestà, anche se queste divergono da quelle passivamente accettate dalle masse, che sono ipnotizzate dal mito del consumismo, in tutti i settori della vita sociale.
La “lettera” di Claudio Angelini riguardo alla bellezza della lingua inglese tocca un punto dolente.
L’eccellenza della lingua inglese è sbandierata ovunque, paradossalmente anche dagli organismi ufficiali che dovrebbero tutelare la diffusione della lingua italiana. Mi riferisco ad un’esperienza concreta e reale vissuta otto anni fa al mio arrivo a Toronto. Nel corso di una conversazione tenuta con una responsabile dell’Istituto di Cultura italiana mi si fece notare che l’attività del Centro era concentrata sui corsi di lingua italiana e sulla traduzione di opere italiane in inglese.
A mio modesto parere “tradurre è un po’ tradire”, soprattutto quando a dover esser tradotte sono, ad esempio, le opere di poesia. La parola poetica perde parte della sua efficacia e con la parola se ne vanno pure ritmo ed armonia.
Sperimento ogni giorno nella mia attività di insegnante il travaglio del travaso di strutture linguistiche nettamente antitetiche: i miei allievi anglofoni mi chiedono sempre il “perche'” di queste differenze e inconsciamente desidererebbero che l’italiano ed il francese subissero modifiche strutturali per piegarsi alla loro conformazione mentale e linguistica.
Il rischio che si corre è troppo grave sul piano culturale ed ideologico, perché ci si possa ancora permettere di sottovalutare il penoso stato delle lingue considerate minoritarie.

Antonia Chimenti – Toronto, 5 luglio 2006

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