di Cristiana Bullita
A giudicare dalla classe docente di questo Paese si direbbe di no. Dopo il mesto rifluire della protesta all’indomani dell’approvazione della legge 107, la pessima Buona Scuola, la gran parte dei docenti s’è rimboccata le maniche e, con zelo degno di miglior causa, s’è apprestata ad applicare puntualmente finanche le virgole di norme che ripugnano, o ripugnavano, al sentire comune della categoria.
Persone di rara finezza culturale si prestano all’esecuzione di compiti loro affidati dal dirigente scolastico con commovente abnegazione e senza porsi il benché minimo dubbio sulla bontà, sull’utilità, sull’opportunità di quelle richieste e del loro stesso servizio. La consegna è di per sé etica, in modo automatico. È la stessa autorità che affida l’incarico a garantirne non solo la liceità ma anche la convenienza sociale.
Il fedele esecutore rinuncia alla problematizzazione dei mezzi, e pure dei fini. Non interpella la coscienza, sospende l’esercizio della ragione. Forse può sembrare eccessivo rievocare pagine oscure della storia nelle quali alcuni hanno tentato di giustificare i loro crimini orrendi dicendo: mi era stato comandato. Così fece pure Abramo sul monte Moriah… Tuttavia il ricorso al principio di autorità da parte dei docenti è più frequente di quanto si possa immaginare e di quanto sia auspicabile in soggetti forniti di cultura e di libero arbitrio.
Il fedele esecutore tacita il buon senso, insieme ai principi morali e politici; lo fa per quieto vivere, per convenienza o per una sottile forma di perversione. Perché spesso non subisce nessuna coercizione, nessuna pressione. In certi casi s’immola prima che gli sia richiesto, per un bisogno malato di sottomissione, per servilismo. Non cede al potere violento e irresistibile di qualche regime totalitario o di certi scenari distopici, risponde solo a proposte di collaborazione, spesso non legalmente vincolanti, avanzate dal capo d’istituto. Proposte che possono essere vagliate e accettate oppure respinte, come ad esempio l’incarico di tutor nell’Alternanza Scuola Lavoro. L’ASL poteva essere fatta saltare semplicemente dicendo tutti “no”. Ma niente, il solerte esecutore dice solo e sempre “sì” e si mette subito all’opera, con un approccio al reale totalmente acritico. A che serve aver letto Dante, Manzoni, Gramsci o Pasolini se non si è in grado di distinguere il reale dal razionale e di capire che ciò che è non coincide necessariamente con ciò che deve essere? Naturalmente tra gli efficienti signorsì contigui al potere politico che nella legge si esprime e, nello specifico, nella legge 107/2015, c’è sicuramente chi manifesta sincere convinzioni personali, magari maturate in un processo lento e sofferto. Ma sono pochi, una netta minoranza. Gli altri, i più, presentano idee assai flessibili e mimetiche, collaborano a progetti e ASL e si lamentano nei corridoi per l’aggravio del loro carico di lavoro e per il tempo sottratto alla didattica… Tuttavia la legge non si discute: qualunque resistenza, qualunque obiezione, qualunque invito alla riflessione vengono visti con sospetto, se non con aperta ostilità. L’atteggiamento è quello di chi dice: io lavoro (cioè organizzo e prendo contatti con enti, imprese, ecc.) e tu chiacchieri, protesti, perdi tempo… Io sono un bravo docente, tu no!
Lo sottoscrivo: i cosiddetti docenti “contrastivi”, che i dirigenti, i loro staff e buona parte dei colleghi recepiscono come sabbia negli occhi, non sono bravi e non meritano niente. Già è tanto se si consente loro, almeno per adesso, di mantenere il posto di lavoro. Io li conosco bene, quei farabutti: non li si piega con sgangherate aggressioni verbali, con i sorrisetti sarcastici, con la derisione e il disprezzo, con la censura. Non li si piega nemmeno con l’esclusione dalla spartizione del lauto bottino premiale (ah ah ah), né con la sottrazione di classi in barba alla continuità didattica, né facendo in modo che certe notizie non escano dal ristretto circolo dei soliti noti, perché non si rischi di dare a loro, agli irriducibili ribelli, le stesse opportunità degli altri. Quelle canaglie sono addirittura impermeabili alle minacce e ai ricatti. Si ostinano a fare il loro lavoro in classe (quando vi trovano gli studenti, spesso impegnati in altre e più stimolanti attività), e basta! Naturalmente nel pomeriggio preparano le lezioni e correggono i compiti, ricevono i genitori e seguono corsi di formazione, partecipano alle riunioni di dipartimento, ai consigli di classe e ai collegi dei docenti. Non mancano mai e osano pure prendere la parola e dire la loro.
Sapere aude! ripetono spesso… Mah. Incapaci di sostenere le magnifiche sorti e progressive della scuola italiana, si mettono pure di traverso. Passatisti e molesti!
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