di Laura Tussi
La scuola ha il compito di educare al rispetto delle diversità culturali, promuovendo una diffusa conoscenza e coscienza multilaterale.
Questo significa costruire progetti educativi finalizzati a prevenire il sorgere di mentalità etnocentriche e intolleranti nei confronti delle differenti culture, per poter raggiungere l’obiettivo di una mentalità internazionale.
La scuola deve consolidare il ruolo di iniziazione a una pedagogia dell’infanzia pronta ad accogliere, rispettare e valorizzare i diversi volti antropologici, offrendosi come eccellente sede educativa di decondizionamento etnocentrico, azzerando la formazione di stereotipi, pregiudizi, assiomi e dogmatismi veicolati dai massmedia e dalla famiglia.
Per attivare l’obiettivo di decondizionamento etnocentrico, la scuola deve evitare un modello educativo tradizionale chiuso nei confronti dell’ambiente esterno, contribuendo alla diffusione di un’educazione multiculturale, capace di condurre ai confini delle frontiere transnazionali.
Una prospettiva aperta alle molteplici realtà etniche si è giustamente affermata nella direzione della conoscenza, del riconoscimento delle pari dignità, della valorizzazione delle diversità apportate da molteplici gruppi, minoranze, culture e religioni.
In questa prospettiva, la diversità non viene più interpretata come mancanza e colpa, nei confronti del modello sociale dominante, ma come risorsa positiva che attinga dalla conoscenza per favorire l’inserimento del singolo individuo nel proprio e nell’altrui contesto relazionale.
La dimensione educativa dell’interculturalità non si presenta come un oggetto formativo univoco, ma, al contrario, è un sistema complesso che prevede l’interrelazione di diverse componenti, dove l’educazione alle molteplici culture non significa solo esplorarne separatamente le specifiche dimensioni, ma intende rendere proprie le competenze nella direzione di interpretazione dell’altro da sé.
La conoscenza e l’interpretazione delle differenze non possono limitarsi a fornire dimensioni culturali astratte e disinteressate rispetto al problema dei comportamenti concreti da assumere nei confronti del rapporto con l’altro.
La didattica interculturale si muove nella direzione di una prassi e di una ricerca fondate e finalizzate all’intervento con la diversità, dove il momento della conoscenza, dell’interpretazione e dell’intervento costituiscono ambiti irrinunciabili della didattica aperta all’interculturalità, all’interno di un progetto educativo che deve comunque presentarsi unitario e pluridimensionale, assicurando al soggetto le nozioni, i linguaggi, gli strumenti di ricerca che costituiscono le chiavi di osservazione dei significati e della cultura dell’altro, nel compito fondamentale di integrare gli apporti delle singole prospettive di conoscenza, consentendo di interpretare l’altro nella sua complessità.
Questa dimensione formativa è inerente alla necessità per ogni individuo di verificare strumenti per interpretare l’altro, di tipo plurilaterale e sistemico, nell’esigenza di agire con l’alterità, nella necessità per l’intera collettività di tradurre le proprie conoscenze e interpretazioni dell’altro in impegno operativo, in comportamenti finalizzati alla costruzione interattiva tra donne e uomini, rispettosa della reciproca dignità.
La pedagogia può assumere un ruolo primario per la formazione dei principi di libertà, uguaglianza, giustizia e umanità.
Queste idee rivoluzionarie hanno influenzato i movimenti democratici interessati alla riforma emancipatoria dell’educazione e un loro obiettivo principale è che le opportunità per la partecipazione alla vita sociale e alla gestione democratica siano uguali per tutti, senza differenze di appartenenza, di genere, di religione, di etnia.
Il problema risiede nel convivere come soggetti di pari dignità in una società multiculturale, al fine di comprendersi e operare per la giustizia sociale e per la soluzione pacifica dei conflitti legati alla convivenza.
Positiva è l’interpretazione pedagogica che considera lo straniero come soggetto, perché nel momento in cui l’emigrazione è realtà, divengono esigenze vitali anche la comunicazione, la comprensione, l’orientamento, l’autoeducazione nei paesi d’accoglienza ancora sconosciuti con i loro propri codici linguistici, i modi comportamentali e le forme di vita diverse.[1] Il nostro quotidiano è pervaso da elementi provenienti da altre culture, ma, contemporaneamente, la popolazione endogena esprime e pratica spesso atteggiamenti xenofobi e, in alcuni casi, addirittura una notevole aggressività nei confronti di tutto quello che deriva da certe culture straniere. L’accettazione di una determinata realtà straniera e le persone che appartengono alla rispettiva cerchia culturale dipende dalla situazione socioeconomica e politica.
I migranti e i profughi appartengono a categorie svantaggiate, a minoranze etniche, religiose e linguistiche deboli e in svantaggio a livello sociale.
Di fronte al fenomeno dell’immigrazione, l’educazione interculturale è divenuta un nodo di riflessione imprescindibile, un argomento centrale su cui si prospetta parte rilevante del futuro dell’educazione e della convivenza democratica all’interno delle società, in quanto l’immigrazione non è più individuabile come fenomeno transitorio, ma costante della nostra civiltà e della società futura.
Laura Tussi
[1] D. Demetrio, G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale: bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, La Nuova Italia, Firenze 1999
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