Libro Elias Canetti

È il primo libro, uscito nel 1977, di una trilogia autobiografica che Elias Canetti concluse nel 1985; quattro anni prima era stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Il romanzo è dedicato a Georges, suo fratello, brillante medico omosessuale morto nel 1971 a sessant’anni, nonché disperante oggetto della passione di Veza, moglie di Elias, mentre quest’ultimo era preso da innumerevoli relazioni extraconiugali. Ma quei furori erotico-sentimentali non sono compresi in questo romanzo. Qui gli affetti restano confinati nel perimetro di due grandi famiglie ebree, i Canetti e gli Arditti; in particolare, nel rapporto matrimoniale tra Jacques e Mathilde, innamoratissimi genitori di Elias, Nissim e Georges, e nel legame tra genitori e figli. La prematura morte di Jacques getta nella disperazione tutta la famiglia e imprime una dolorosa accelerazione al processo di crescita umana e culturale di Elias. Il ragazzino aveva un rapporto privilegiato con quel padre amorevole, che mai smette di rimpiangere, fino a che la figura materna emerge dallo sfondo della fitta trama di relazioni parentali – zii, zie, nonni, nonne, cugini, cugine – per assumere un ruolo di riferimento primario. È una donna colta e raffinata, sensibile alle cose dello spirito, convintamente pacifista, libera dai precetti religiosi, coraggiosa nell’affermare le proprie idee. Ma è anche cattiva, meschina, altezzosa, classista. Non ha mai superato la perdita del marito ed è devastata da molti disturbi di natura psichiatrica. Nutre un’imperiosa aspirazione all’immortalità di cui Elias si vergogna – ma sarà proprio lui a realizzare quel desiderio, con la sua opera letteraria. S’incarica della formazione intellettuale del figlio con modalità che oggi farebbero saltare sulla sedia qualsiasi educatore. Distaccata, severa, esigente, imprevedibile, senza alcuna condiscendenza per la fragilità e la tenerezza dell’infanzia, Mathilde si rapporta a Elias come a un adulto e lo avvia alla lettura – tanto teatro e soprattutto Shakespeare – e allo studio delle lingue. Nei molti trasferimenti in diversi Paesi europei – dalla Bulgaria in Inghilterra, Austria, Svizzera –, il bambino, poi adolescente, cambia scuola, amici, professori, impara lingue nuove mostrando un adattamento rapido ed efficace. Gode delle letture serali con la madre, e degli scambi di opinioni con lei, che costituiscono per lui una vera fonte di gioia. Per un lettore contemporaneo risulta quasi incredibile che un tempo i bambini –almeno certi bambini – studiassero il latino a dieci anni e, prima di andare a letto, si facessero leggere dalla mamma Schiller in tedesco e Shakespeare in inglese. Che una volta la punizione consistesse nel «portare via un libro per una settimana» e non nell’imporne la lettura. Oggi la gran parte dei ragazzini dispone di un vocabolario striminzito della propria lingua, chatta o naviga in rete fino a tarda notte e si addormenta col cellulare in mano. E le madri fanno probabilmente lo stesso. Quelle madri che minacciano «Non ti faccio usare la Play fino a domenica!», e siamo a venerdì.…

Elias è sempre attento a non deludere le aspettative di Mathilde, la quale lo costringe ad arrampicarsi al piano di un confronto quasi paritetico. Ma lui le riconoscerà indubbi meriti: il tabù del sesso e il rifiuto di qualunque finalità pratica del sapere. Il bambino segue con apprensione alcune frequentazioni maschili di sua madre, gelosissimo di lei. S’innamora delle mamme di diverse amiche e amichetti, sviluppa una sensibilità animalista, e a scuola, dove impara a prendere appunti stenografando, viene sfiorato dallo spettro antisemita che qualche anno dopo acquisterà la nota tragica concretezza. Arrivato ai sedici anni, invece dell’attesa ribellione adolescenziale, giunge quella della madre, la quale, convinta che le scienze naturali – definite sarcasticamente “filogenesi degli spinaci” –, la letteratura, l’arte attentino alla virilità del ragazzo, rammollendolo nello spirito, rinnega tutti gli insegnamenti fin lì impartiti, delegittima gli insegnanti, dileggia gli scrittori, insomma investe il povero Elias con una furia distruttiva improvvisa e feroce che lo destabilizza nel profondo. «Tu non sei niente», gli dice. Lo insulta con epiteti ingiusti: parassita, chiacchierone, arrogante, presuntuoso, limitato. Del resto da bambino non gli risparmiava di ritenerlo un idiota. Lui, che si era sempre rivelato acuto lettore della psiche di sua madre, e l’aveva assecondata, calmata con ingegnosi espedienti – come quando aveva inventato una danza di topi al plenilunio per placare la sua paura angosciosa – , lui ora si dà per vinto. Senza alcuna lungimiranza Mathilde gli impone l’ennesimo trasferimento, da Zurigo alla Repubblica di Weimar. Siamo negli anni Venti del Novecento. Presto lì per gli ebrei le cose si metteranno male davvero.

Cristiana Bullita

 

 

Categorizzato in: