di Dimitri Buffa
Quella dell’opposizione iraniana in esilio è proprio una lunga strada verso il ritorno a una parvenza di democrazia liberale e laica dopo decenni di dittatura teocratica khomenista e degli ayatollah. Che a sua volta era succeduta al regime dello Shah di Persia e dello Shavak, che tutto era tranne che liberale e democratica anche se con il senno di poi sicuramente migliore di quella di Ahmadinejad.
Dobbiamo alla Consulta torinese per la laicità delle istituzioni e all’associazione Iran democratico la produzione di un dvd (in vendita a soli dieci euro) curato da Paolo Balmas (progetto coordinato da Davide Meinero, analista di politica mediorientale) in cui in una settantina di minuti si ripercorrono principali momenti della storia iraniana dal 1900 ad oggi visti attraverso interviste e materiali d’archivio.
Combattenti, politici, scrittori, poeti, artisti, musicisti e religiosi raccontano la loro esperienza e la loro attività nell’ambito del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, il parlamento “ombra” formato dagli esuli iraniani in fuga dal regime degli Ayatollah.
L’Associazione Iran Libero e Democratico si propone anche in collaborazione con le organizzazioni dei rifugiati politici e oppositori iraniani presenti in Italia di denunciare la natura dittatoriale e totalitaria del regime teocratico e fondamentalista che opprime il popolo iraniano, di appoggiare e sostenere la legittima resistenza del popolo iraniano rappresentata dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri), di promuovere la nascita di una repubblica liberal democratica e laica in Iran secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli, di denunziare le violazioni dei diritti umani, civili, politici e sociali, perpetrati in Iran, di tutelare i detenuti politici in Iran garantendone anche la difesa legale, di supportare i cittadini iraniani costretti a riparare all’Est per sfuggire alle persecuzioni.
Del documentario ciò che colpisce immediatamente sono due cose: la storia del campo degli esuli iraniani in Iraq ad Ashraf, sempre in procinto di venire sgombrato dalle autorità sciite locali chiaramente alleate con Teheran, e la forza di una donna, Marjam Rajavi, la leader eletta della resistenza iraniana in esilio che promette un nuovo paese in cui stato e religione saranno separati.
Nel documentario si parla anche della primavera mancata dell’Iran, cui Obama non ritenne di dare lo stesso aiuto fornito ai fratelli mussulmani e alle primavere arabe.
Tutto notoriamente iniziò nel 2009 quando Ahmadinejad venne rieletto presidente. La gente scese in piazza contro i brogli elettorali. Quella fu la scintilla che diede il via a tutte le proteste da parte di molti giovani iraniani, baluardo delle opposizioni.
L’Iran è un paese di giovani ad alcuni dei quali il regime vieta il diritto di laurearsi e di concludere i propri studi universitari.
Proprio costoro nel 2009 sognavano la democrazia e la libertà e furono costretti a lottare contro i guardiani della rivoluzione e l’esercito che controlla la società iraniana. Un paese che in pratica vive nella paura, in una sorta di due vite parallele, come spiegato anche in tanti film dai registi perseguitati.
Le donne sono relegate nel fondo della società, considerate dai loro stessi uomini come uno strumento, un oggetto, senza anima e senza pensiero. A proposito del campo Ashraf, di cui nel documentario si vedono le imponenti manifestazioni di protesta contro Teheran, proprio lo scorso 3 settembre, nel quadro di un’azione umanitaria promossa dal ministro degli Esteri, Giulio Terzi, sono arrivate in Italia due rifugiate iraniane provenienti da quell’avamposto della resistenza iraniana.
L’operazione, che rispondeva agli appelli delle Nazioni Unite per una soluzione condivisa, e rispettosa dei diritti umani, per la vicenda di Camp Ashraf, era stata promossa dalla Farnesina d’intesa con il ministero dell’ Interno ed in collaborazione con l’ Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. «Con questo gesto concreto – aveva detto Terzi alla stampa – intendiamo svolgere un’ azione umanitaria che contempera il diritto del Governo iracheno alla propria sovranità territoriale con il pieno rispetto dei diritti umani delle persone rifugiate».
Una delle due rifugiate, affetta da gravi patologie, verrà curata in Italia grazie al supporto della Regione Marche, che l’ha inserita in un programma destinato all’assistenza umanitaria ed al sostegno di persone colpite in situazioni di conflitto.
L’ambasciata italiana a Baghdad ha già avviato ulteriori contatti con le autorità irachene e con i responsabili locali dell’Unhcr, per verificare la possibilità di accogliere presto in Italia altri rifugiati di Camp Ashraf. Ma tutto ciò è in realtà una goccia in un mare.
Per la cronaca Camp Ashraf situato in Iraq, nella provincia nord orientale di Diyala, a circa sessanta kilometri a nord della capitale Baghdad e ad ottanta dal confine iraniano, è la base dell’Organizzazione dei muijadin del Popolo iraniano (Ompi), movimento di opposizione al regime iraniano presente in Iraq sin dagli anni Ottanta del secolo scorso.
Dal primo gennaio 2009 il controllo di Camp Ashraf è formalmente passato dall’esercito Usa – che lo aveva acquisito nel giugno 2003 nel corso della Seconda Guerra del Golfo – al governo iracheno, impegnatosi ad assicurare il trattamento di tutti i residenti secondo le leggi nazionali. Sin dal 2003, infatti, la coalizione internazionale intervenuta in Iraq ha riconosciuto agli appartenenti a Mek – Mojahedin-e Khalq di Camp Ashraf, nel frattempo disarmati e controllati dall’esercito statunitense, lo status di “protected persons” ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra. E proprio alla garanzia diretta da parte irachena della conservazione dello status di “protected” ai residenti di Camp Ashraf il generale David Petraeus, allora vice comandante delle forze della coalizione alleata, aveva condizionato il passaggio di responsabilità sul campo al governo di Baghdad.Tuttavia ripetutamente negli anni il governo iracheno ha minacciato di espellere i circa 3.400 esponenti del Mek, oltre ai tanti esuli politici iraniani, da quella che un tempo era la loro base militare di Camp Ashraf, senza tuttavia mai proporre un piano concreto di dislocamento degli esuli.
E limitandosi, invece, a sostenere di non avere la forza per rimuovere gli iraniani; i quali, dal canto loro, si rifiutano di abbandonare l’enclave dove si sono stabiliti da decenni.
Le modalità dei ripetuti attacchi contro Camp Ashraf sembrano tuttavia smentire l’ipotesi del deficit di forza lamentato dalle autorità di Baghdad.
Ad esempio, la mattina dell’8 aprile 2011 l’enclave iraniana è stata teatro di un’operazione condotta dall’esercito iracheno che ha causato trentaquattro vittime alcune delle quali investite a morte da autoveicoli, oltre a moltissimi feriti (380 secondo il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana). La “letale operazione irachena” è stata condannata (15 aprile 2011) dall’Alto Commissario Onu per i diritti Umani, Navi Pillay, che nel sottolineare come l’esercito iracheno fosse consapevole dei rischi connessi al lancio di una simile operazione, ha stigmatizzato l’elevato numero di vittime e chiesto lo svolgimento di un’inchiesta indipendente per individuare e punire i responsabili di un tale uso eccessivo della forza.
Quindi il problema di queste migliaia di persone non potrà essere relegato in futuro a sporadiche iniziative umanitarie come quella della Farnesina.
Occorrerà al contrario una forte opera diplomatica internazionale per mettere in riga Teheran e il governo ormai suo alleato di Baghdad.
E dvd come questo intitolato La lunga strada, prodotto anche dalla consulta torinese per la laicità delle istituzioni, indubbiamente possono aiutare molto più concretamente a sensibilizzare la pubblica opinione di quanto non possano farlo tante retoriche declamazioni istituzionali. Italiane o europee che siano. (23 settembre 2012)
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