di Cristiana Bullita

cb03 - LA 
 MAGGIORANZA NON HA SEMPRE RAGIONE

«Vorrei […] ricordare a tutti due punti che si è sovente tentati di dimenticare:
l) democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha il diritto di governare
2) democrazia non significa pertanto che la minoranza ha torto. Significa che, mentre rispetta il governo della maggioranza, essa si esprime a voce alta ogni volta che pensa che la maggioranza abbia torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della democrazia), e deve farlo sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha ricevuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia».
(U. Eco, da www.repubblica.it, 2 luglio 2008)

Il dispotismo della maggioranza rappresenta un vero pericolo per le moderne democrazie, evidenziato già nel XIX secolo da Alexis De Tocqueville:
«Io considero empia e detestabile questa massima: che in materia di governo la maggioranza di un popolo ha il diritto di far tutto; tuttavia pongo nella volontà della maggioranza l’origine di tutti i poteri. Sono forse in contraddizione con me stesso? […] Cos’è mai la maggioranza, presa in corpo, se non un individuo che ha opinioni e spesso interessi contrari ad un altro individuo che si chiama minoranza? Ora, se voi ammettete che un uomo fornito di tutto il potere può abusarne contro i suoi avversari, perché non ammettete ciò anche per la maggioranza? Gli uomini, riunendosi, mutano forse il carattere? Divenendo più forti, divengono più pazienti di fronte agli ostacoli? Per parte mia, non posso crederlo; e non vorrei che il potere di fare tutto, che rifiuto ad un uomo solo, fosse accordato a parecchi».
(A. De Tocqueville, La democrazia in America)

In democrazia, la maggioranza esercita il potere attraverso i suoi rappresentanti nelle istituzioni. Quel potere però non può essere incondizionato e necessita di opportuni contrappesi, in modo da tener conto e rispettare i diritti delle minoranze. Qualunque forma di governo può degenerare in tirannide, se non si preoccupa di tutelare il legittimo dissenso di chi non si riconosce nel pensiero maggioritario.
Ecco un giudizio diretto e una possibile ricetta della maggioranza:
«Niente è più ripugnante della maggioranza: essa infatti si compone di pochi energici predecessori, di furfanti che vi si adattano, di deboli che si lasciano assimilare, e di una massa che trotterella dietro senza sapere minimamente quello che vuole».
(J. W. Goethe, Aforismi sulla natura)

Essa è infatti spesso costituita dall’energia di alcuni, ma anche dalla scaltra furbizia di altri e, soprattutto, dalla debolezza e dall’inconsapevolezza dei moltissimi che rispondono a un appello solo per riflesso condizionato.
John Stuart Mill (1806-1873) ci mette in guardia da un’altra forma di dispotismo, altrettanto pericolosa e odiosa di quella politica:
«Ovunque il dispotismo della consuetudine si erge a ostacolo del progresso umano, ed è in costante antagonismo con quella disposizione a tendere verso qualcosa che sia migliore dell’abitudine, chiamata, a seconda delle circostanze, spirito di libertà o di progresso o di innovazione».
(J. Stuart Mill, Saggio sulla libertà)

Il “dispotismo della consuetudine”, scrive il filosofo britannico, è quello “dell’opinione e del sentimento predominanti”, che, in nome della tradizione o di presunti valori condivisi, impone a tutti “le proprie idee e usanze” secondo un preciso modello a cui conformarsi, soffocando nel contempo “qualsiasi individualità discordante”. Impedire all’“opinione collettiva” d’intralciare l’“indipendenza individuale” è tanto importante quanto difendersi da un despota al potere. La riflessione sul diritto dell’individuo alla critica e alla diversità è, a mio parere, il contributo più importante di Mill alla crescita della cittadinanza democratica. Non di rado sono proprio le “individualità discordanti” ad iniettare nel tessuto asfittico delle società germi di propulsione innovatrice e a fornire nuove e più eque chiavi di lettura del mondo.

«Molti considerano lesiva dei propri interessi qualsiasi condotta che loro dispiaccia, e se ne risentono come di un oltraggio ai loro sentimenti […] Il pubblico contemporaneo del nostro paese conferisce impropriamente veste legale alle sue preferenze».
(J. Stuart Mill, Saggio sulla libertà)

Le maggioranze sono spesso perbeniste e ipocrite: inneggiano ad improbabili esempi di virtù e urlano logori slogan moralistici; si fanno risibili difenditrici del pubblico decoro e dello status quo, quale che sia.
Nel corso della storia, le maggioranze sono state responsabili di crimini imperdonabili. Socrate e Gesù, ad esempio, sono stati sacrificati da rappresentanti del popolo; così pure George Stinney, che, nel 1944, a soli 14 anni, dovette sedersi su alcuni elenchi telefonici per consentire agli elettrodi di posizionarsi correttamente sul suo piccolo corpo: era stato condannato alla sedia elettrica dallo Stato della Carolina del Sud. Fu ucciso tra gli applausi dei presenti. Settant’anni dopo fu riconosciuta la sua innocenza.
L’opinione dominante non sempre detiene la verità. Ciononostante è diffusa la tendenza ad accettare subito e in modo acritico le idee condivise da molti e a scartare altrettanto frettolosamente, con schifiltosa diffidenza, quelle sostenute da pochi.
Gli uomini non hanno mai saputo trovare un accordo universale sulle regole del vivere, sui principi pratici morali e politici. Osserva acutamente Blaise Pascal, nel XVII secolo:
«Nulla si vede di giusto o d’ingiusto che non muti qualità col mutar di clima. Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche […] Singolare giustizia, che ha come confine un fiume! Verità di qua dei Pirenei, errore di là».
(B. Pascal, Pensieri, 294)

Si finisce per abbracciare il cattolicesimo o il confucianesimo a seconda se si sia nati in Italia o in Cina: come suggerisce anche una prospettiva filosofica “debolista”, il destino culturale di ciascuno è casuale, in quanto dipendente dalle abitudini e dalle convenzioni, dagli influssi sociali, dal linguaggio e dalle parole che, all’interno di una certa tradizione, hanno mantenuto un senso oppure l’hanno perso. Pertanto anche la norma posta dall’“autorità collettiva” non può avanzare alcuna pretesa di verità.
E allora:
«Non cercare il favore della moltitudine: raramente esso si ottiene con mezzi leciti e onesti. Cerca piuttosto l’approvazione dei pochi; ma non contare le voci, soppesale».
(Immanuel Kant, Critica del Giudizio)

Quanto è vero: non è forse preferibile l’assenso gratuito di poche persone stimabili al plauso oneroso di una massa stolta e conformista?
Pertanto, ancora una volta, morettianamente:
«Io, anche in una società più decente di questa mi ritroverò sempre con una minoranza di persone […] Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza».
(N. Moretti, Caro diario, 1993)

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