© Copyright : Torino Natalia Ginzburg foto di Loretta Junck
da Lillo Montalto Monella
Per capire la portata storica del divario di genere basta guardarsi intorno, passeggiando per le strade italiane (ma non solo).
Nel nostro Paese, i luoghi pubblici intitolati a donne sono una percentuale compresa tra il 5% e il 7% del totale. Escludendo gli odonimi generici (nome di strada come “piazza Libertà”), nei nostri capoluoghi di provincia bisogna leggere almeno 11 targe che recano nomi maschili prima di imbattersi in una strada, una piazza o un giardino intitolato ad una figura femminile.
E questo tenendo in conto anche di sante, madonne e beate: escludendo le figure religiose dal computo, questa possibilità si fa ancora più rara.
Lo stima Toponomastica Femminile, un’associazione costituitasi ufficialmente nel 2014 che vanta circa 250 iscritte in Italia (quasi 10mila su Facebook) che si è resa protagonista di un censimento “dal basso” della quasi totalità dei comuni italiani. Lo scopo è quello di “impostare ricerche, pubblicare dati e fare pressioni su ogni singolo territorio affinché strade, piazze, giardini e luoghi urbani in senso lato, siano dedicati alle donne per compensare l’evidente sessismo che caratterizza l’attuale odonomastica”.
Sul sito dell’associazione sono reperibili tutti i dati di ciascun comune italiano, e per ognuno è indicato l’indice di femminilizzazione, ovvero quante sono le intitolazioni a donne per ogni 100 intitolazioni a uomini.
In questa mappa qui in basso – riferita ai soli capoluoghi italiani e con l’esclusione degli odonimi generici – si può esplorare meglio la realtà toponomastica delle province italiane. Il quadro che ne esce non è dei più promettenti, secondo Livia Capasso, vicepresidente di Toponomastica Femminile.
“Siamo riuscite a far sì che parecchie associate facciano parte delle commissioni toponomastiche di diversi comuni italiani come Roma, Padova etc. È importante che si dotino di un regolamento toponomastico in cui ci sia scritto che bisogna attribuire un ugual numero di vie a uomini e donne”, dice Capasso a euronews. “Le quote rosa non sono mai una cosa bella per le donne perché significa che hanno bisogno di essere difese da una legge, ma in questo caso è un ‘male’ necessario”.
Le commissioni toponomastiche sono un organo meramente consultivo ma non tutte le città ne sono dotate. La delibera della commissione viene posta al vaglio della giunta comunale e, infine, inviata per l’autorizzazione definitiva al prefetto.
All’estero la situazione non migliora
L’associazione ha referenti anche all’estero, dove la situazione non è certo più rosea (“la storia è sempre uguale”, dice Capasso). Anche in Spagna siamo fermi al 5%. Nella sola Granada, per esempio, dove opera un’associata, Sofia Vega Ocaña, è stato stimato che il 12% delle strade della città andalusa siano intitolate a donne.
A Lisbona Debora Ricci ha calcolato che dei circa 5mila odonimi, solo 520 siano femminili.
In Francia, secondo la storica Malka Marcovich, la percentuale delle donne meritevoli di targa stradale sfiora il 5%.
A Oslo, Norvegia, stima l’associazione un totale di 2.451 strade, di cui 91 intitolate a figure femminili contro le 451 intitolate a figure maschili.
In Svizzera, una ricerca nel cantone svizzero di Ginevra del 2005 ha evidenziato che delle 560 strade intitolate a individui e gruppi familiari, soltanto 20 (meno del 4%) si riferiscono a figure femminili e soltanto 4 scuole e quattro sale e musei pubblici sono intitolati a donne.
Le città più virtuose e le meno virtuose
Tra le città con la toponomastica più rispettosa del sesso femminile, secondo Capasso, c’è Napoli, “dove il Sindaco ha abbracciato la nostra causa”. Bene anche Formia, che “ha intitolato 22 strade a 22 donne“. I meno virtuosi? “Tutti gli altri comuni”.
A Roma lo schema si ripete: 16.064 strade censite, 7.670 con una intitolazione al maschile, 656 al femminile. 89 sono sante, 56 Madonne. Le scienziate? Sono 15. Le artiste 23. Qui come a Torino, città governate dalle “sindache” grilline Raggi e Appendino, “c’è meno dialogo che a Napoli, con De Magistris”, conclude Capasso.
Ci sono casi come Perugia, dove dei 151 odonimi femminili (vs 711 maschili) ben 60 non alludono a nessuna figura in particolare ma sono nomi generici come via Letizia, via Marilena, via Adelaide, e casi come Palermo dove ben 74 sono le strade dedicate a figure mitologiche o leggendarie (es. via Medea, via Elettra, via Calliope etc.)
Il nome femminile più diffuso è Santa Maria: in genere è la Madonna in tutte le sue declinazioni a fare da padrona in fatto di toponomastica femminile.
L’associazione è impegnata anche nell’attività di formazione nelle scuole (“per portare avanti l’esigenza di usare un linguaggio rispettoso del genere”), promuove corsi a livello accademico (per esempio, quello online in Linguaggio, identità di genere e lingua italiana della prof.ssa Giuliana Giusti), organizza mostre in cui vengono fatti conoscere mestieri femminili dimenticati (come quello della gelsominaia in Sicilia), salotti letterari e camere d’autrici.
Se per le strade ancora poco si muove, talvolta, in qualche albergo della Penisola, spunta una targa dedicata ad una figura femminile che ha contribuito a rendere questo mondo un posto migliore. Frutto, anche questo, dell’oscuro ma infaticabile lavoro dietro le quinte del collettivo di Toponomastica Femminile.
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