MENSILE DI COMUNICAZIONE, CULTURA E ATTUALITA’ DELLA CITTA’ METROPOLITANA DI VENEZIA
La dottoressa Letizia Lanza, antichista di vaglia, sembra da sempre impegnata, con i suoi libri, in una meritoria causa: quella di portare a conoscenza dei suoi lettori, col suffragio di riferimenti continui alla mitologia classica, esempi concreti di donne la cui creatività artistica sia andata in buona parte perduta perché sacrificata all’egocentrismo maschile. Il pubblico cui si rivolge la scrittrice è necessariamente d’élite, ma il fervore delle sue indagini, la lucidità dello stile, sorvegliato e a un tempo scorrevole, e soprattutto la partecipazione che ella suscita intorno ai casi dei personaggi descritti fanno sì che le sue pagine risultino gradite anche a lettori in cerca d’emozioni, non solo di documenti.
Ecco, a conferma di ciò, quest’ultimo volume (Medusa. Tentazioni e derive, Studio Editoriale Gordini, Padova 2007) di L. Lanza aprirsi sulla triste esperienza umana della poetessa Sylvia Plath (1932-1963), americana naturalizzata inglese, e morta suicida a Londra. La nostra scrittrice, qui come altrove, nel presentare i fatti, non procede per giustapposizione di particolari, quasi si trattasse di cronaca. I particolari ella li seziona e analizza, alla ricerca di segrete analogie e sfuggenti combinazioni fra i medesimi. E un esempio, questo di L. Lanza, di metodo psicanalitico, non però in senso strutturalista; ella mette sempre in primo piano l’individuo come presenza psicofisica, di cui intende sviscerare per così dire i fattori predisponenti all’opera d’arte. Il dramma della Plath fu quello d’aver troppo confidato in un uomo, Ted Hughes, suo compagno di vita e poeta anch’egli di discreta statura artistica, ma certamente egoista e insensibile nei riguardi di Sylvia che, per contribuire al suo successo, s’era prodigata in tanti modi.
lntrigante anche lo studio che L. Lanza dedica alla testa della Gorgone, o Medusa anguicrinita, la quale ci ricorda le stupende pagine che Mario Praz dedicò a tale soggetto nel capitolo I de La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica. Parlando dell’effetto che la raffigurazione pittorica d’ignoto fiammingo fece su Shelley che la vide agli Uffizi nel 1819, l’illustre critico riporta i versi da essa ispirati al poeta inglese, che vi ammirò “The tempestuous loveliness of terror”, la tempestosa leggiadria del terrore. Anche qui, secondo L. Lanza, l’immagine della Gorgone che compare orrenda sullo scudo d’Agamennone, come già su quello d’Atena, deriva dalla prevenuta attitudine mentale maschile che scorge nella deformazione del volto femminile la quintessenza della mostruosità malefica, o il vero volto della morte, che così non è più, come vorrebbero i poeti a cominciare da Omero, occasione di gloria e immortalità. Anzi, quella testa giunge ad essere figurazione, o prototipo della Grande Peccatrice cui si allude nell’Apocalisse.
Tutto il libro mostra esempi rappresentativi di quanto vada spesso perduto del talento e della creatività femminili; vogliamo però concludere questo nostro breve intervento ricordando, dell’opera, il capitolo intitolato “Voci dal delirio”, in cui ricorre ancora la figura di Medusa. In esso si parla infatti d’una singolare, interessante e poco nota vicenda, quella di Camille Claudel, sorella del poeta Paul Claudel, il celebre autore de L’Annuncio fatto a Maria, la cui vasta fama non ha potuto che mettere in ombra la personalità di Camille. La quale fu modella, sia pure discussa, del pittore Rodin e scultrice, autrice d’un gruppo marmoreo, Perseo e la Medusa, “di conturbante effetto”, come dice la Lanza. Confessiamo di non conoscerlo, ma non esitiamo a credere alle parole della brillante ricercatrice e saggista, il cui volume raccomandiamo a tutti coloro che, apprezzando gli argomenti cui abbiamo accennato, s’aspettano da una parte un serio lavoro d’analisi, da un’altra una esposizione appassionata e fluida, che non decada in mera convenzionalità accademica.
Claudio Angelini (Osservatore Romano)
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