di Anna Rossi

Il debito intellettuale, nei confronti di molti pensatori al servizio del bene comune, dovrà essere prima o poi onorato. Lo sviluppo della libera personalità di ogni singolo è un diritto/dovere che non deve essere ostacolato dalla società. I mali di cui è affetto il pianeta riflettono la minaccia di uno status equivoco che sta compromettendo il destino dell’uomo stesso. Oggi, più che mai, urge che la natura morale ritrovi la sua espressione nella formulazione e nella difesa dei Diritti dell’uomo.
La paura e la mancanza di fiducia nelle istituzioni di giustizia, da parte delle donne/vittime, sono causate da quest’assenza di tutela che, nel garantire elevati livelli di impunità , disperde gli sforzi collettivi nell’affermazione dei diritti stessi.
Questa realtà attraversa il globo indisturbata.
Dalla Columbia al Nepal, dalla Cina all’Argentina, dall’Arabia Saudita alle Filippine…è l’inaudita violenza che si tinge di diversi colori politici non risparmiando l’occidente “civile”, opulento e garantito.
La minaccia alle donne si materializza attraverso processi differenti: dalle donne colombiane assassinate e ricattate, in una guerra armata, perché fidanzate, compagne, spose, sorelle o figlie del “nemico” a quelle nepalesi vendute a migliaia al commercio della prostituzione in paesi come l’India.
In Europa e negli Stati Uniti il conflitto è mistificato da un benessere illusorio e da un’ostentata idea di libertà che non corrispondono, però, alle statistiche nefaste sul processo paritario. Il moderno ombelico della “società civile” trasuda dunque anch’esso di ingiustizia.
Gli anelli di una catena infinita legano le donne una all’altra in una sorta di frustrazione condivisa.
Spesso all’origine del dramma femminile si collocano le difficili situazioni della vita: povertà, violenza intrafamiliare, esclusione, disgregazione sociale e familiare, insufficienza e bassa qualità dei servizi di educazione e salute, mancanza di prospettive occupazionali.
Di fronte alla limitata accessibilità delle istituzioni, le donne hanno sviluppato forme di partecipazione proprie all’interno dei processi di gestione comunitaria. La loro vita corre, in condizioni di perenne emergenza, sul filo dell’autogestione individuale e organizzata, al fine di far fronte alle necessità continue imposte dalla situazione socio-politica del paese in cui vivono.
Questa introduzione è solo un lampo di luce nello scenario mondiale, un lampo necessario quanto esplicativo che mette in discussione le forme di relazione della paventata democrazia paritaria, la quale continua a restare in attesa di una sua evoluzione ed affermazione globalizzanti.
L’atteggiamento discriminatorio che lega le tradizioni allo stallo culturale è mutuamente perseguito dalla convinzione che gli spazi pubblici e quelli privati, intrisi di potere e danaro, debbano essere imposti ed accettati nelle loro forme di disuguaglianza.
Mi spiego: le espressioni di un sistema che taglia fuori dai tavoli delle ratifiche il popolo femminile sono spesso raggirate da promesse di integrazione mai onorate. I consensi che raccolgono neutralità di pensiero sono altresì amplissimi e non valgono per quelle donne che credono nella possibilità di costruire una società diversa per tutto il genere umano.
Dalla storia antica a quella contemporanea la nostra giovinezza non è stata favorita dallo sviluppo dell’amore sociale e l’indigenza lavorativa resta la conferma della dimensione personale di un lavoro umano disunito.
Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare la quale a sua volta è la grande educatrice delle generazioni future.
L’attentato rivolto al patrimonio socio-culturale della famiglia umana ha innescato una sorta di anti-virus di cui le donne sono per natura portatrici.
Queste donne non possono pensare di avere perso. Sono le donne che in una sorta di “sorellanza” si fidano , si confidano e si affidano alle altre donne. Sono le donne che hanno compreso l’importanza dei numeri e del riconoscimento reciproco, sono coloro che esprimono l’impegno a curare le relazioni fra donne ferite e guardinghe, sono le instancabili attrici che danno autorità alle donne che le hanno precedute, alle donne del presente ed a quelle del futuro.
Per assurdo mi viene da meditare sulla risposta negativa delle donne italiane al bisogno riproduttivo a discapito dell’attenzione psicosociale. Dal 1930 i tentativi di incremento delle nascite si sono dimostrati fallimentari. Il basso tasso di scolarizzazione di quegli anni, al contrario di quel che accade ancora oggi in Africa o in Asia, ha continuato a centellinare i nascituri ed ad oggi nulla è cambiato nonostante l’alfabetizazione abbia cambiato il volto femminile. La verità va oltre le sacche di povertà per giungere all’arrancare dell’affermazione personale della classe media in una società che chiede tutto in cambio di molto poco. Siamo di fronte alla dimostrazione più toccante di quanto le donne del Bel Paese, in fondo, non si fidano né si affidano alla propaganda di un’ipotetica assistenza se non permeata da una tangibile partecipazione alla vita sociale.
Fra le pieghe del silenzio/assenso si fa strada la voglia di uscire da questa sorta di limbo che ci imprigiona fra le persecuzioni storiche ed il modello nordico.
Per quanto gli uomini rimangano le principali vittime delle violazioni del diritto alla vita, alle donne va riconosciuto il primato di sottomissione alla violenza sessuale…una pratica che, attraverso scale differenti di esternazione, non può più continuare ad essere una pratica abituale di intimidazione.
La situazione di maggiore vulnerabilità femminile è incarnata nella dispersione informativa costante che allontana dalla formazione coesa di gruppi solidali e virtuosi necessari alla crescita econonica/sociale e politica di ogni nazione.
Lo scherno pubblico verso più della metà della popolazione mondiale si esprime sottilmente davanti agli insuccessi quotidiani forniti dai prevaricatori di turno.
La capacità di resistenza e di sopravvivenza alle ingiustizie delle “piccole donne” ha già dimostrato la forza a resistere nei piccoli spazi di vita concessi loro.
E’ giunto il tempo di lacerare l’universo simbolico che spinge gli uomini verso condotte aggressive. E’ giunto il tempo della riconciliazione con l’altro. Non volere che la vita continui a sfuggire di mano ogni istante non può più significare un eterno parto di dolore e amore. Gli orrori delle guerre devono cessare ed in questo lungo processo di vivificazione della pace vanno incrementati gli incontri di mediazione e contrattazione dei ruoli decisionali.
Condizionamenti e pressioni hanno strappato gli ultimi brandelli di una genuina propensione all’attesa del giusto riconoscimento di un ruolo partecipativo/decisionale e non solo funzionale.
La netta divisione fra i generi che la menzogna impone mal si concilia con la coerenza degli uomini giusti creando così una sorta di vittimismo indiretto che riconosce le ingiustizie anche quando queste si presentano camuffate da scatole con fiocco.
Il nodo da sciogliere resta l’irrigidimento verso il coinvolgimento femminile: l’esclusione dei bisogni delle donne dai tanto vantati “piani di sviluppo”.
La realizzazione delle libertà concrete costituisce la prima finalità dell’azione sociale, culturale e civica e richiama ad una contro-rivoluzione i dispersi e le disperse dell’ingiustizia e del supruso.
Il destino dell’uomo è legato alla sua capacità di riconciliarsi con se stesso nel riconoscimento della pluralità e della ricca diversità degli uomini.
Entrare in amicizia con “l’altro” è la chiave che apre la porta del rispetto e ne ricorda la soglia.

Prof. Anna Rossi
Docente di Linguaggio di Business English “Scienze sociali”

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