lispector - LA 
 REALTA' TRACIMA DAL VASO DEL LINGUAGGIO COME ACQUA VIVA
Clarice Lispector

Attraverso le parole, i concetti, il linguaggio si sforza di catturare qualcosa della realtà che passa. Dal fondo melmoso dell’essere la rete del linguaggio tira in superficie casuali zolle di senso.
«La parola pesca quel che non è parola. Quando la non-parola -quello che è fra le righe- abbocca, qualcosa è stato scritto. Una volta che si è pescato quel che è fra le righe, ci si potrebbe sbarazzare con sollievo della parola. Ma lì finisce l’analogia: la non-parola, abboccando, ha incorporato l’esca. L’unica soluzione allora è scrivere distrattamente».
(C. Lispector, Acqua viva)

La parola-esca viene divorata dalla preda, che è un vorace brandello di essere. Si rende qui evidente la fallacia del linguaggio e della sua pretesa di possedere le cose.
«Sto entrando furtivamente in contatto con una realtà per me nuova e che non possiede ancora pensieri corrispondenti, e ancor meno parole che la significhino. È più una sensazione dietro al pensiero».
(C. Lispector, Acqua viva)

Può il mondo essere costretto nella gabbia logica delle nostre parole? O è necessario ammettere anche l’indicibile, cioè che l’inesprimibile accada? Il mondo può sfuggire ai nostri rapporti di senso? All’ordine, alla disciplina dei nostri nessi logici, alla trama razionale delle nostre costruzioni mentali?
Dice Lispector che dietro al pensiero, la cui forma è il linguaggio, si trova qualcosa d’inesprimibile.
«Dietro al pensiero raggiungo uno stato. Mi rifiuto di spezzarlo in parole… e quel che non posso e non voglio esprimere finisce per rimanere il più segreto dei miei segreti. So che ho paura dei momenti in cui non faccio uso del pensiero ed è uno stato momentaneo a cui è difficile arrivare e che, del tutto segreto, non usa più le parole con cui si producono i pensieri».
(C. Lispector, Acqua viva)

Le parole possono ferire il pensare-sentire nel tentativo di spiegarlo.
«Voglio vedere se riesco a afferrare ciò che mi è successo usando le parole. Nel farlo, finirò per distruggere un po’ quello che ho sentito…».
(C. Lispector, Acqua viva)

Una certa maniera di pensare-sentire è ineffabile in quanto priva di forma e l’oggettivazione della parola è destinata al fallimento.
«Non lo so spiegare, così come non si può raccontare l’aurora a un cieco. È indicibile ciò che mi è accaduto in forma di sentire: ho bisogno in fretta della tua empatia. Senti con me».
(C. Lispector, Acqua viva)

Il pensare-sentire si libera dalla schiavitù delle parole, è senza forma.
«Il giovedì è un giorno trasparente come l’ala di un insetto in controluce. Così come il lunedì è un giorno compatto. In fondo, ben dietro al pensiero, io vivo di queste idee, se si possono chiamare idee. Sono sensazioni che si trasformano in idee perché devo usare le parole. Usarle anche solo mentalmente. Il pensiero primario pensa con le parole. Il “libertà” [il pensare-sentire] si libera dalla schiavitù della parola».
(C. Lispector, Acqua viva)

Afferma Wittgenstein nel Tractatus che il fatto è ciò che accade, la cui immagine logica è il pensiero, il quale si dà nell’espressione linguistica. Tuttavia sembra esistere un accadere svincolato dalla sua immagine logica, un accadere che non si lascia ingabbiare dal linguaggio. Tale è l’impronunciabile, è «X».
«È impronunciabile. Tutto ciò che non so si trova in «X». La morte? La morte è «X». Ma anche molta vita, perché la vita è impronunciabile […] Una pantera nera in gabbia. Una volta guardai fissa negli occhi una pantera e quella guardò fissa nei miei. Ci trasmutammo. Che paura. Me ne andai di lì completamente annebbiata dentro, l’«X» inquieto. Tutto era successo dietro il pensiero».
(C. Lispector, Acqua viva)

Ma l’«X», proprio come il linguaggio, «accade solo a chi ha un corpo. Anche se è immateriale, ha bisogno del nostro corpo e del corpo della cosa».
Se il linguaggio è la casa dell’essere, secondo la nota formula heideggeriana, in Lispector l’essere, come il figliolo dissennato della Bibbia, parte per un paese lontano a sperperarvi i beni. Se ogni atto di pensiero è sempre atto di linguaggio, esiste tuttavia una porzione consistente della nostra realtà, attestata da sensazioni che Lispector chiama “pensare-sentire”, che ci dice che il mondo è indipendente dal linguaggio, e che questo è cosa tra le cose; peraltro cosa inadeguata alle cose. Lispector precorre quel filone dell’ontologia materialista che da Bruno Latour a Jan Bogost, passando per Jane Bennett, insiste sull’abbandono della distinzione ontologica tra soggetti e oggetti, umani e non-umani, sulla necessità dell’uomo di rinunciare al dominio linguistico del mondo, sulla vitalità della materia.
La realtà tracima oltre l’universo semantico dei segni: il sospetto è che sia impensabile, indicibile e incomunicabile -Gorgia docet- la gran parte di essa.

Cristiana Bullita

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