Rigorosi studi durati 9 anni certificano: nessun legame con malattie cardiovascolari, fa invece bene alle ossa.
I grassi sono davvero tornati? Dopo le diete iperproteiche o carboidrato-centriche anche i grassi vivono il loro momento, se non di gloria, di meritata rivalutazione. E la comunità scientifica fa mea culpa per la demonizzazione degli ultimi decenni
di Elisa Poli
Tempo fa rabbrividii quando un amico condì davanti ai miei occhi della fette di mozzarella freschissima usando non un filo d’olio ma del burro noisette (fatto sciogliere a fuoco basso e leggermente dorato).
Il mio orgoglio mediterraneo si scioccò, quasi offeso, ma l’effetto al palato fu sorprendente. Se, d’altra parte i cugini francesi in cucina “affogano” nel burro non solo carne ma anche verdure e pesce un motivo ci sarà. L’effetto di gratificazione che hanno i grassi è innegabile e su questo aspetto primitivo dell’alimentazione si basano quei meccanismi deleteri del lato più inquietante e consumista dell’industria.
Guarda caso un anno fa la copertina di Time Magazine incitava “Eat butter”. L’ennesima manovra pubblicitaria? No, piuttosto una rottura, una provocazione forse: la stessa rivista che demonizzava burro, uova e bacon negli anni Ottanta, ha fatto retromarcia. E il sottotitolo spiega: gli scienziati avevano etichettato il burro come nemico, ecco perché si sbagliavano.
Dietro questa rivalutazione infatti ci sono gli studi della nutrizionista Nina Teicholz. Il suo “The Big Fat Surprise”, frutto di un lavoro durato 9 anni, spiega che il momento in cui il burro divenne il nemico pubblico n.1 della nostra tavola può esser fatto risalire al 13 gennaio del 1961, quando Ancel Keys, inventore delle razioni K per i soldati della Seconda Guerra Mondiale, comparve sulla copertina del Time Magazine. Keys aveva portato avanti lo studio Seven Countries Study (che prosegue ancora oggi) analizzando il rapporto tra alimentazione e malattie cardio-vascolari, causa principale di morte nei paesi dell’Occidente. Nelle sue conclusioni Keys aveva individuato nei grassi le responsabilità maggiori, andando poi a scoprire e descrivere gli effetti di questi ultimi sul colesterolo.
Nel 2010 l’American Journal for Clinical Nutrition pubblica un importante studio sui grassi, concludendo che “non vi sono evidenze scientifiche convincenti sul fatto che i grassi saturi causino problemi cardiaci. Né che il consumo di grassi saturi causi l’obesità”.
Anche gli Annals of Internal Medicine pubblicano uno studio sintetico, comparandone ben 72, che sostiene che non ci siano evidenze scientifiche che i grassi saturi aumentino il rischio di malattie cardiovascolari, ma che anzi una mancanza di grassi saturi potrebbe addirittura essere dannosa.
Pierluigi Rossi, medico specialista in Scienza dell’Alimentazione, spiega che il burro è un’emulsione di acqua e molecole lipidiche, digeribile, con pochissimo lattosio e ben tollerato anche da chi soffre di allergie alimentari. Ricco di vitamine importanti, come A, E e K, è uno dei pochi alimenti a contenere la vitamina D, oggi definita un ormone, che agisce sull’integrità delle ossa e ha un ruolo cruciale nel sistema immunitario. Contiene anche acidi grassi (tra cui omega 3 e Omega 6) utilizzati per produrre energia e mantenere costante la temperatura corporea.
La cover del Time di giugno 2014 Noi siamo mediterranei, è vero. L’olio extra vergine di oliva ci scorre nel sangue e la nostra dieta è stata scientificamente certificata come salutare. Ma anche il burro, come pure i formaggi, è un capitale nutrizionale e gastronomico del nostro Paese.
Il focus quindi deve essere su qualità e quantità. Mangiare meno, ma di tutto e scelto con cura. Il problema è infatti quello che si annida nella lunga lista di ingredienti nei prodotti industriali, pieni di zucchero e ultralavorati, soprattutto nel caso di quelli definiti “light” e “fat-free”.
Anche il Guardian lo sostiene: a trarre il maggior giovamento dalla guerra ai grassi saturi sono stati proprio i cibi prodotti industrialmente, come se al “devi vendere spazzatura” si fosse aggiunto “però assicurati che sia spazzatura light” (theguardian.com).
Il consiglio “non mangiare nulla di ciò che tua nonna non riconoscerebbe come cibo” sembra essere quindi più che mai calzante.
Difficilmente ora burro e grassi animali scompariranno dalle nostre tavole. Dolci, brioche, risotto e cotoletta alla milanese (che nella versione dello chef Dabide Scabin richiede circa di 150 g di burro a testa per la cottura di una porzione di filetto di fassona) sono sani e salvi.
Per la gioia di Julia Child, e di tante nonne, rispettose del panetto di burro quasi fosse un lingotto d’oro.
(di Elisa Poli, Collage Eugenia Loli)
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