Gesù era solo. Dai Vangeli risultano azioni di accoglienza, inviti a pranzo, folle osannanti, seguaci talvolta faziosi e testardi, donne ambiziose, che sognavano incarichi importanti per i loro figli nel suo “regno”. Un solo gesto d’amore. Camminava, camminava. Era stanco e solo. Maddalena aveva capito. Gli lavò i piedi, li asciugò con i suoi capelli e lo stava ad ascoltare. In Italia, un sacerdote amico di famiglia in un pomeriggio della Settimana Santa, stanco ed oppresso dai racconti di sciagure dei suoi penitenti, è venuto a “confidarsi” un po’ con noi. Una tazza di tè ed un po’ di chiacchiere. Era stanco di sentir “raccontare peccati”. Ci sono diversi tipi di solitudine. C’è quella inconsapevole che si colma con i rituali collettivi, le festività “coatte”, i divertimenti assordanti, le abbuffate di cibo, sesso, oggetti. Tutto questo porta sazietà , a volte disgusto, spesso malattie e, talvolta, la morte.
Poi c’è la solitudine interiore dei portatori di messaggi: Gesù, Socrate, Antonio Gramsci, Hannah Arendt, ad esempio.
Più forte è il dislivello di consapevolezza, più forte e dolorosa è la solitudine di chi per la sua elevatezza non è capito, ma, piuttosto, temuto. Si ha paura di ciò che non si capisce. Aumentano gli ostacoli, gli impedimenti. Si fraintende, si piega arbitrariamente a diversi usi il messaggio di queste persone, le si perseguita, le si fa tacere, le si uccide.
Gramsci morì precocemente di emorragia cerebrale. Era una morte progettata. Qualcuno aveva detto: “Impediremo a questa mente di pensare”. Nel caso di Hannah Arendt c’era sempre qualche professore, a scuola, che le rinfacciava la sua provenienza ebraica. E lei se ne ricordava solo in quel momento, quando a casa vedeva le reazioni infuriate di sua madre. In quel momento si puntava il dito sulla sua “differenza” ed in età giovanile questo comporta un doloroso sentimento di solitudine.
Le persone che vedono più chiaro, dietro le cortine, sono generalmente meno suscettibili di fronte alle reazioni di chi le circonda. Albert Camus era solito dire: “Non mi interessano le reazioni degli uomini tanto quanto il loro destino”. Ma soffriva e si confidava col suo Diario. Anche lui ha subito la sorte che, a suo parere, accomunava i martiri. E’ stato ed è usato. A circa cinquant’anni dalla morte, con le pubblicazioni curate dalla figlia Catherine forse si comincerà a vedere la sua universalità. Fino ad ora il suo pensiero ha alimentato antagonismi ed è stato inaridito da una critica vivisezionatrice.
Sì, la solitudine dei grandi è più dolorosa, perchè è meno legata alla materia, può essere letale, perchè coinvolge la sfera della sensibilità, che in loro è più acuta e può paralizzare la volontà, portare all’ isolamento, anche fisico, o al disgusto della vita. Degli altri amiamo vedere ciò che ci piace vedere, ciò che ci ‘serve’, oppure li frequentiamo per abitudine o per “contratto”.
E’ rara ed eroica una visione sempre “fresca”, non deturpata dai condizionamenti mentali. Quella visione fresca che gli impressionisti ci regalano ancora coi loro dipinti vibranti.
Dal dolore non si esce. Lo si vive. Dobbiamo farcene una ragione, anche perchè le lacrime lavano le scorie, sono utili. “Sois sage o ma douleur” cantava nelle sue melodiose poesie Verlaine. Ma è bello piangere di gioia, quando una mano non richiesta arriva a stringerne un’altra, quando due braccia stringono e trasmettono calore ed energia, quando la parola di un altro essere umano arriva dritto al cuore, quando qualcuno legge un dramma inespresso.
Buon anno nell’equilibrio!

Antonia Chimenti

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