Facevo liste infinite partendo dalle mutande fino agli elastici per i capelli. Nel mezzo il mondo. Nel mezzo io. Ed ero brava davvero; meticolosa al punto giusto riuscivo a includere in poco spazio tutto ciò che ti rende la vita fuori dalla tana una cosa sopportabile. Non dimenticavo mai nulla grazie alla mia super lista. Le mie prime valigie erano enormi: capacità di contenere il mio mondo per due mesi di trasferta dalla nonna. Vestiti da maschiaccio e magliettine scollacciate da civetta alle prime armi. Scarpe, scarpe di ogni sorta perché non si sa mai che ti succede e il costume con il copricostume e tutti i monili perché una ragazzina senza monili che ragazzina è? Poi certo la valigia a parte, quella preziosa e pesantissima. Non fatemi la domanda sciocca che puntualmente mi sentivo ripetere da mia madre “ma, tutti quei libri sono necessari? E tutte quelle musicassette? E pure i colori, le perline e tutte le diavolerie che giacciono tumultuose in camera?” Devo ammetterlo c’erano anche i libri di scuola, quelli di latino e greco non mi sono mai mancati alle superiori, e non perché fossi studiosa, solo rimandata a Settembre. Il bello di preparare una valigia sta nella cura che metti nello scegliere, nel ridurre all’essenziale, nello scremare. Ti prendi cura di te ti concentri su cosa veramente ti serve e se ti osservi da lontano, se ne hai voglia, riesci a capire cose di te che nessuna meditazione potrebbe svelarti. Questo l’ho capito con il tempo. Ora non sono più capace di fare valigie. Me ne sono accorta tempo fa ma non ho voluto ascoltarmi. Ho proseguito inzuccherando questa mi difficoltà, non l’ho guardata e l’incapacità alla valigia mi è diventata quasi cronica. Sofferenza e insofferenza che esplodono caotiche quando la mente è concentrata in altro.
Stamattina però ho capito. Non è che non la sappia più fare è che non sapevo più che metterci dentro. Non sapevo più che scegliere semplicemente perché non volevo scegliere. Semplicemente avrei portato via tutto, o, lasciato tutto. Alla fine, si dice, che gli estremi si equivalgono. Eccone un esempio. Io non volevo fare una sola valigia, volevo andarmene scomparire ricominciare esistere rinnovare vivere. Volevo me stessa persa in qualche valigia del passato, in qualche valigia che non ricordavo dove fosse, in una valigia abbandonata su un treno o un aereo un traghetto non so e la rabbia era proprio questa: Quale la valigia persa che conteneva me? Se mi fossi ricordata almeno il colore, il viaggio, il dove, magari non avrei potuto recuperare il nostalgico contenuto, ma riannodarmi si. Cosa tenni dopo la morte di zio Marco adorato? La sua valigia di cartone e ancora ce l’ho. Dovrei controllare se vi ho messo un po’ di me in quella valigia, anzi un po’ di lui che mi ricorda chi ero, le mie radici. Non capisco la magia alchemica ma stamani dalla mente mi escono le mie valigie, alcune di loro almeno. Del vecchio valigione di pelle nera ho raccontato. Lei è nonna Erica, altra radice profonda a cui aggrapparmi. Ricordo la difficoltà di fare lo zaino per l’interrail. Il passaggio dal valigione allo zaino fu notevole. Ma che elettricità nell’aria, che voglia di avventura. Il mio vecchio Invicta era veramente di colori improbabili ma splendido pieno delle mie curiosità alla volta del Muro di Berlino. La lista in quell’occasione fu di primaria necessità. Metterti qualcosa in spalla e dovertelo trascinare cambia in un soffio la prospettiva. Eppure poche cose azzeccate fecero di me una viaggiatrice sbarazzina e accattivante. La mia magliettina rossa, pantaloncini leggeri, guida dell’Europa dell’est, occhiali da sole, quaderno degli appunti, pochi monili ma giusti, come detto quelli non mancano mai, ah si il mio inseparabile giubbettino di jeans, la macchina fotografica usa e getta e gli elastici per i capelli. Che mi portai a casa dalla Polonia? Una cartella di pelle fatta a mano. Dopo quel viaggio lo usai pochissime volte il mio zaino dai colori improbabili e vederlo partire per Santiago sulle spalle di mio fratello mi fece tenerezza come un vecchio amico che accompagna e protegge una persona che ami. Nei viaggi successivi imparai magistralmente l’arte del minimalismo, ad esempio i monili me li facevo con cordicelle e conchiglie durante il viaggio e i ricordi li stampavo nella memoria. Unico peso mai mancato quello di un buon libro e gli elastici per i capelli. In Croazia lasciai andare anche il mio adorato giubbetto di jeans. Incappammo in un brutto incidente autostradale e la ragazza scioccata e infreddolita ne aveva più bisogno di me. Non ci pensai due volte scapicollandomi dalla moto e restò a guardia delle ferite di una sconosciuta. Chissà se lei se lo ricorda, se lo buttò o lo tenne con sé. Ogni tanto ci penso. Poi ho perso l’abitudine e l’attitudine alla valigia. Le partenze ad un certo punto della mia vita divennero macigni. Viaggi comodi in case comode ma prive di serenità prive di quel guizzo di voglia di vivere che contraddistingue ogni viaggio. Tutto uguale a se stesso nella monotonia assordante di una vita poco entusiasmate. Nemmeno più di valige o zaini si parlò ma di un borsone da palestra, enorme certo, e di tante borse e valigette da far diventare pazzi. Iniziai a inserire vestiti scarpe senza senso senza gusto alla rinfusa cercando di ricordare come si stilava la lista perfetta ma senza risultato. Meglio, direi, il risultato era evidente sulla valigia di qualcun altro qualcuno che non si prendeva briga di prepararsi mutande magliette maglioni costume lamette da barba schiuma da barba spazzolino chiavi di casa; sé stesso negli oggetti della quotidianità. Che gusto c’era nell’andare in vacanza con un delegante che non mostrava interesse al viaggio? Che desiderio di relax e condivisione? Una valigia per due sembra un titolo da commedia rosa in realtà lo è della peggior tragedia dell’anima. Occupandomi del suo ho annullato il mio in un gioco perverso di aggettivi possessivi. Il risultato bizzarro era un perfetto ometto e una donna sbrindellata con un sciabordio di cose tutte sconclusionate tra loro, il cui rimando era una donna incapace di accostare una gonna ad una maglietta. Solo ciabatte e scarpe da ginnastica tanti libri e i soliti elastici per i capelli.
Conosco perfettamente la data e la valigia che mi hanno restituita a me stessa, che mi hanno riconsegnato la voglia di piacermi, di piacere, di accostare indumenti di mettere monili, profumi, pizzi, niente merletti per carità. La valigia una vera valigia di mezza misura viola con le ruote. Che meraviglia il rumore delle ruote della valigia che ti trascini verso il tuo viaggio e che meraviglia pure la malinconia che il rientro ti accompagna. Finalmente quel contenitore si faceva somigliante al contenuto e questo mi bastava; avevo finalmente messo il po’ di me che stavo recuperando strappandomi dal buio. Come quando salti veloce su un tram in corsa e hai paura che ti caschi qualcosa dalle tasche ma il salto vale il timore del viaggio. Anche in quel viaggio libri ed elastici per i capelli; che non usai, entrambi, per la prima volta in vita mia. Vita nuova. Ora viaggio leggera, le mani libere da impicci, vestiti comodi e femminili scarpe da ginnastica per correre incontro agli altri viaggiatori, monili pochi e selezionati come gli amici che ti arricchiscono la vita, non più usa e getta ma una vera macchina fotografica che sto imparando ad usare come sto imparando ad usare la mia vita senza molte istruzioni, perché istruzioni non ne esistono. Anzi si. Vivere la propria vita come se si stesse facendo una valigia per un viaggio importante, tenendo solo le cose e le persone che vale la pena portarsi a spalla come il mio vecchio zaino dai colori improbabili mi ha insegnato. E naturalmente gli elastici per i capelli.
Morgana
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