ndr.: pubblichiamo questo saggio di Giancarlo Di Lorenzo che a prima vista sembra poco consono con gli argomenti trattati nel nostro sito. In realtà, a parte il suo indiscusso valore culturale, è interessante notare come molto di quanto scritto fa riferimento al lavoro di tre donne: Lucrezia Spera, Silvia Koci Montanari, Barbara Falco… un contributo femminile non trascurabile.
La planimetria della città di Roma, capitale del Cristianesimo e centro europeo di pellegrinaggi insieme con Santiago di Compostela in Galizia (Spagna), risente del sacro nel suo centro storico, soprattutto a partire dal primo Giubileo, quello del 1300 e cantato da Dante fin dal primo verso della Commedia, indetto da papa Bonifacio VIII. Lo stesso attuale Corso Vittorio Emauele, in seguito agli sventramenti dal 1883 al 1932 e alla sistemazione della statua del Metastasio di Emilio Gallori (1886) nel 1910 da Piazza San Silvestro ai più consentanei Oratorio dei Filippini e Chiesa Nuova e di quella di Marco Minghetti, opera di Lio Gangeri del 1895, séguita quella Via Peregrinorum, che è traccia nel nome dell’adiacente Via del Pellegrino, che doveva congiungere il Colosseo con la basilica di San Pietro.
Questa planimetria del sacro del centro storico dell’Urbe si apprende sin dalla Presentazione di Claudio Cerreti a La geografia della città di Roma e lo spazio del sacro (L’esempio delle trasformazioni territoriali lungo il percorso della Visita alle Sette Chiese Privilegiate), edito dalla Società Geografica Italiana nel 1998.
Ma nel saggio di Lucrezia Spera (ben 88 pagine esclusa la bibliografia) si apprende che già nella tarda antichità e nell’alto Medioevo i pellegrini visitavano le tombe degli Apostoli e dei Martiri e che grazie ad essi mutava il tessuto urbano fin nel suburbio. Più tardi, specie in seguito al Giubileo del 1300 e al programma della processione di San Filippo Neri (1515-1595) alle Sette Chiese, si ha il processo di inurbamento della liturgia martiriale, a partire da papa Adriano I (772-795).
Nel seguente saggio di Silvia Koci Montanari apprendiamo che le Sette Chiese erano San Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le mura e San Sebastiano. Ella presenta un poemetto di Carlo Goldoni in 57 ottave (456 versi) su La visita alle Sette Chiese, dove le esperienze del Goldoni preludono a quelle del Byron.
Ma la funzione di Roma come centro religioso si affianca a quella di sede dell’aristocrazia romana e pontificia e a quella di capitale dello Stato della Chiesa prima e Italiano poi; anzi il Giubileo indetto da Bonifacio VIII sostituisce Gerusalemme come sede di pellegrinaggi cristiani con Roma (1300). Ciò si ricava dal bel saggio di Marco Maggioli La Sacralità nella pianificazione urbana. Già iniziato con Martino V e Nicolò V, il Maggioli c’informa che alla fine del ‘400 l’aspetto dell’Urbe era già mutato per le abitazioni dei cardinali e dei banchieri. All’inizio del ‘500 Giulio II (1503 – 1513) per distribuire meglio i poteri crea le vie della Lungara e Giulia. Ma è con Sisto V (1585-1590), grazie anche alle riforme neriane (ndr), che il percorso delle Sette Chiese assume un ruolo decisivo. La costruzione della nuova Basilica di San Pietro e della piazza antistante comporta sventramenti e nuove costruzioni, però la costruzione del San Michele e dell’arazzeria ad essa connessa permise a Clemente XI (1700-1721) di aprire la prima attività preindustriale; contemporaneamente gli ospedali davano assistenza ai pellegrini. Da ciò si evince che le confraternite svolsero il loro ruolo nell’abbellire chiese e abitazioni; ad esse si aggiunsero le dimore dei nobili e le attività dei banchieri, soprattutto fiorentini. In sostanza dal primo giubileo dopo il Concilio di Trento, quello del 1575, si pone l’esigenza di riorganizzare lo spazio abitato, di creare nuovi assi di comunicazione e di migliorare l’accoglienza per i pellegrini.
Il quinto ed ultimo saggio, di Barbara Falco, tratta finalmente e più specificamente delle Trasformazioni territoriali lungo il percorso delle Sette Chiese Privilegiate e ci rivela che se per i turisti la visita alle Sette Chiese è sporadica, per i romani è ormai assente quasi del tutto.
Il 20 settembre 1870 Roma divenne la capitale di uno Stato grande e laico. Se venne costruito il primo quartiere operaio dentro le mura (Testaccio) e dal 1920 il primo quartiere operaio fuori le mura (Garbatella) e se l’architetto fiorentino Gino Coppedè cantava i fasti della borghesia con uno stile composito, prevalentemente falsobabilonese e falso barocco (Quartiere Coppedè 1915-21), è pur vero che il quartiere Prati, da Prati di Castello a Prati della Vittoria, venne costruito nei primi tre decenni del Novecento su prati su cui non si costruiva e dai quali si vede (poco) la basilica di San Pietro; basti pensare ai nomi “laici“ (Cola di Rienzo, Giulio Cesare, Mazzini) delle sue vie e piazze e quella del Risorgimento che è antistante Piazza S.Pietro.
Ma già nel 1348 Cola di Rienzo costruiva quella scalinata dell’Ara Coeli che doveva fare del Campidoglio e della sua piazza il potere civile contrapposto a quello religioso (San Pietro).
Giancarlo Di Lorenzo
Viterbo 29-30 Aprile 2007
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