Ho avuto il piacere e l’onore di conoscere Ester Riposi a Pejo, in provincia di Trento, nel corso di un comune periodo di vacanza per due anni consecutivi. Non ero al corrente ancora della sua incredibile vita di partigiana e non solo ma ho conosciuto una persona vitale, energica, intelligente con una memoria straordinaria. Riporto di seguito il suo intervento a Pejo relativo alla morte di un patriota del luogo, Edoardo Focherini.

Fausta Genziana Le Piane

Ester Riposi con Pertini – 1975

LA VITA E LA EROICA FINE DI ODOARDO FOCHERINI
Ester Riposi

«SALIREleALTEZZE: sui binari di Odoardo», Pèio, 23 giugno 2008 – Quarta Stazione.
La via della Montagna: il titolo della mia conversazione con voi qui stasera si collega assai bene con il titolo del ciclo con il quale, onorevolmente, la Biblioteca di Pèio ha voluto ricordare la vita e la eroica fine avvenuta nel camoi di Hersbruck-Flössenburg (Alta Baviera – Germania) di Odoardo Focherini.
Prima dello scorso anno, durante un fortuito incontro con Rinaldo Delpero collega bibliotecario, non conoscevo questa figura di autentico Patriota e ben ha fatto il Presidente Napolitano a onorare la sua memoria con l’assegnazione della Medaglia d’oro al Valor Civile. Solo ci si può meravigliare che siano stati lasciati passare tanti decenni prima di ricordare coloro che volontariamente hanno dato la loro vita per un ideale di Libertà e di Giustizia com’è stato il caso del nostro Odoardo Focherini.
Chi vi parla, essendo stata per alcuni anni, membro della Commissione unica nazionale di primo grado per le ricompense al Valor Militare a partigiani caduti, può testimoniare di quante dimenticanze, volute o meno, si siano macchiate le Associazioni partigiane sorte alla fine della guerra che, forse, hanno pensato più a onorare i vivi che i caduti per la libertà e la dignità della Patria! E poiché sono stata relatore della proposta di un eroico Sacerdote toscano, don Aldo Mei, condannato a morte per aver nascosto nella sua chiesa alcuni ebrei, accosto questa figura per la quale chiesi ai colleghi commissari la concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, a quella del nostro Odoardo e immagino che lassù, dove il tempo e lo spazio sono infiniti, si siano incontrati. Un altro eroe voglio ricordare: un disertore alto-atesino, Josef Mayr-Nüsser, cattolico di Bolzano che rifiutandosi di servire il nazismo in nome della sua fede, lo fece diventare un “nemico mortale” per il nazismo dominante! Anche per lui una vita di lavoro, di affetti familiari: era sposato con un figlio di pochi mesi quando è stato arrestato!. È un eroe che accosto al nostro Focherini anche perché alla sua memoria –ci risulta- le competenti autorità ecclesiastiche, hanno promosso causa di beatificazione della quale, purtroppo, non si sa più nulla! Avesse ragione il Cardinale Martini che «la Chiesa di oggi è ricca di vizi capitali…» (citazione da un intervento stampa su La Repubblica di giugno 2008 -ndr). Un altro ricordo, quello dell’ing. Manlio Longari, dirigente della Lancia (la fabbrica di auto famose che era sorta a Bolzano prima della guerra) che accettò eroicamente la morte piuttosto di tradire i compagni di lotta e al quale la mia Commissione conferì la Medaglia d’oro al Valor Militare. So che a Bolzano c’è la piazza intitolata al suo nome ed anche una scuola dove su una parete dell’atrio è murata la motivazione che ricorda ai giovani il suo eroico comportamento per salvare i compagni di lavoro e di lotta partigiana.
E a questo punto riterrei doveroso aggiungere anche un breve cenno alla memoria del giovanissimo eroe cadorino Terenzio Baldovin, che a soli 19 anni trovò la morte nel Lager di Obertraubling-Flössenburg , proveniente dal campo di Bolzano, perché si era rifiutato di sputare sulla nostra Bandiera! Già partigiano al suo paese, Lozzo di Cadore, venne arrestato il 30 novembre 1944 a seguito di una azione di guerriglia della quale si assunse la colpa –se così si può dire!- per salvare il suo paese. Ma quella sua giovanissima fidanzata era in attesa di un figlio suo! Egli lo seppe e riuscì prima di essere deportato in Germania a mandare alla madre un documento nel quale, oltre ad assumersi la paternità, desiderava anche dargli il proprio nome! Oggi, la figlia Lorenzina Baldovin, nata il 1° giugno 1945, pochi mesi dopo la morte del padre, mantiene vivo il suo ricordo con grande emozione unita all’orgoglio di essere la figlia di un così giovanissimo eroe che a costo della vita ha saputo difendere l’onore della Patria.
Per me scoprire, dallo scorso anno la eroica figura di questo padre di famiglia che avendo già sette figli non esitò ad assumere pericolose responsabilità personali verso i fatti che sono parte importante e da ricordare -come avete fatto con questa serie di “Stazioni”- ai giovani, ma anche agli anziani che se questi fatti storici non li hanno toccati personalmente, tendono a dimenticarli!
Il cammino di conoscenza di Odoardo Focherini si va snodando ad ogni incontro (previsto con assoluta originalità) nel ricordo delle origini trentine sue e della moglie Maria Marchesi. E mi spiace non poter ascoltare il prof. Vittore Bocchetta, un testimone eccezionale, che ricorderà l’inizio del suo calvario – la data di partenza da Gries-Bolzano verso il campo di Flössenburg-Hersbruck, lo stesso per Focherini, ma dal quale il prof. Bocchetta è sopravvissuto (davvero un “testimone di eccezione” che saprà descrivere come nessun altro la disumanità dei poteri totalitari che, purtroppo, ancora imperversano in tante parti del mondo!).
Ed anche le “Stazioni” previste per il prossimo anno, quella sui secoli dell’antisemitismo locale e quella sulla memoria dei lager oggi che hanno funestato l’intero secolo appena trascorso con i campi profughi della grande guerra e quelli tragici della distruzione del popolo armeno (del quale in questi ultimi anni si comincia a conoscere la tragica storia!) che, purtroppo non ha insegnato niente a nessuno, cui scopo è quello di far conoscere la storia di un lager in territorio italiano, quello di Fossoli, dove sono passati oltre al nostro Odoardo Focherini anche il noto scrittore e memorialista Primo Levi! E poi, a seguire sempre nel prossimo anno, i movimenti di resistenza al nazi-fascismo sorti nella Germania hitleriana. Chi vi parla da alcuni anni celebra in una scuola media di Belluno la “Giornata della Memoria”, commentando ogni volta un episodio di questa eroica Resistenza dei giovani tedeschi e dei loro docenti, quali furono, ad esempio i protagonisti del movimento della «Rosa Bianca» che tanto ha commosso i nostri giovanissimi studenti. E spero di poter continuare ancora in questa mia presenza tra loro che li aiuti non solo a scoprire ma, soprattutto, a non dimenticare mai quanto è costata alla mia generazione la battaglia per il ritorno alla libertà per tutti i popoli europei coinvolti nei cinque anni dell’occupazione nazista che ha lasciato solo lutti e macerie, dalle quali piano piano, siamo riusciti ad emergere! Ecco perché questa serie di ricordi in memoria di Odoardo Focherini non può non essere di validissimo esempio soprattutto per i giovani che sono il futuro del mondo! E mi piace la prevista conclusione di questa iniziativa della quale sicuramente ne rimarrà per tanto tempo il ricordo, soprattutto quello delle “tre tende” –il richiamo evangelico della Trasfigurazione di Gesù!- e, speriamo, che per quel tempo anche la sua causa di Beatificazione abbia raggiunto il suo auspicabile traguardo! Ed anche per Josef Mayr-Nüsser vorrei riuscire a vedere conclusa la sua causa di beatificazione della quale non sappiamo nulla da quando ne abbiamo dato notizia pubblica a Belluno nel ciclo di conferenze del 1996 sul tema «Tedeschi contro Hitler».
Che dirvi della mia personale esperienza nella nostra lotta partigiana? Intanto che è durata oltre venti mesi ed è finita dopo il 1° Maggio del 1945 quando il resto del Nord Italia era stato liberato prima dai partigiani e poi dagli Alleati già da una settimana ed ogni anno ci ritroviamo per celebrare l’ultimo atroce eccidio avvenuto alle porte della città il 1° Maggio 1945 durante il passaggio dei tedeschi in fuga che hanno voluto lasciare il loro ultimo atroce sigillo con l’uccisione di inermi cittadini già sicuri di poter festeggiare la Liberazione! La motivazione della Medaglia d’oro concessa alla città elenca nelle sue drammatiche cifre un rosario di numeri che ricorda per sempre quanto è costato il suo ritorno alla libertà! Belluno, una piccola città benché capoluogo di provincia, ha dato molto di più in proporzione alla sua popolazione perché il ricordo, allora ancora vivo nella memoria dei nostri genitori, dell’occupazione austro-ungarica del 1917 –dopo il disastro di Caporetto!- quando i suoi cittadini hanno dovuto subire una lunga serie di ristrettezze e perfino la fame, perché gli occupanti si erano impossessati di tutto senza lasciare alle popolazioni la possibilità di sopravvivere se non con quel poco che veniva loro concesso! E questo ricordo ha dato ai bellunesi la forza di sollevarsi tutti (giovani, donne, e i pochi uomini rimasti) contro i nazisti che erano, come sapete, arrivati ad occupare tutti gli angoli della provincia dalle montagne alla pianura perché essa insieme alle altre del Friuli e dell’Alto-Adige formarono l’Alpen Vorland, il territorio donato da Mussolini ad Hitler subito dopo l’8 Settembre del 1943.
Io ho sempre sostenuto, con i miei ricordi, che anche i nostri Parroci erano diventati partigiani ed aiutavano in tutti i modi i nostri combattenti ma soprattutto le famiglie che avevano subito in quei lunghissimi mesi le più atroci azioni con le case bruciate, l’arresto e la deportazione dei giovani e quelle 65 forche –esecuzioni che ancora oggi stentiamo ad accettare come possibili nel pieno ‘900, come se i nostri paesi fossero regrediti di qualche secolo! Ancora oggi ricordo quella prima esecuzione di un giovane come mio fratello, come di un fatto abnorme che mai avrei pensato di vivere! Nei vari luoghi della provincia, compreso il mio paese, Trichiana, che ha avuto ben quattro Fratelli impiccati, il numero più elevato dopo quello dei sette fratelli Cervi! Questo è avvenuto ed oggi, nonostante sia vivo il ricordo di questi tragici avvenimenti, si tende a dimenticarli!
Nei libri che ricordano la nostra lotta partigiana ci sono molte citazioni che mi riguardano specialmente da quando nel novembre del 1944: dopo la tragica estate che aveva disperso le formazioni partigiane su ordini superiori per evitare, per quanto possibile, inutili massacri a causa dei continui rastrellamenti del nemico –tra questi dispersi c’era anche il mio giovanissimo fratello, 16 anni, che soltanto dopo 15 giorni lo abbiamo visto arrivare a casa attraverso i tetti dall’altipiano del Consiglio a piedi, dormendo nei cimiteri e cibandosi di erbe dei campi! E fu proprio dal novembre del ’44 quando ripresero vigore le formazioni partigiane nell’intera provincia che venni chiamata a far parte del Comando militare di Zona, che comprendeva le due province di Belluno e Treviso, alla guida della «Sezione Collegamenti» forte di oltre una trentina di ragazze partigiane. Per questo, sono stata riconosciuta come i colleghi delle altre Sezioni partigiane con il grado di sottotenente e sono l’unica donna che fa parte dell’Unione degli Ufficiali in Congedo della mia provincia: una Sezione molto attiva che ogni anno con i «Convegni di Autunno» esplorava tutte le problematiche dei giovani che entravano nelle nostre Forze Armate prima con la leva ed ora con l’arruolamento volontario. Uno di questi convegni è stato dedicato, qualche anno fa, alle donne entrate nelle varie Accademie militari per avviarsi alla carriera di Ufficiali e, nel mio intervento, ho detto che auguravo loro di conquistare pacificamente i loro gradi e non “sul campo” come era capitato a me!
Dal breve film che Tele Belluno mi ha dedicato il 25 aprile 2007 –tratto da una lunga intervista durata qualche ora fattami dal regista nella primavera precedente- si può ben capire quanto è stata dura la mia esperienza in quel tragico periodo anche per le responsabilità che mi ero assunta forse ingenuamente e senza pensare alle conseguenze. Per questo, ed anche perché non amo il “reducismo” non voglio aggiungere altro, se non una memoria contenuta in un libro uscito nei primi anni ’50 il cui autore è un giornalista di Bolzano, Mario Bernardo, che nella divisione partigiana «Belluno» aveva assunto il compito di Capo di Stato Maggiore. Alla pagina 149 scrive: «All’inizio dell’autunno 1944 Irina, una ragazza coraggiosa, già staffetta partigiana, viene incaricata di assumere la guida della Sezione Collegamenti del Comando superiore. In mezzo a questa guerra insidiosa e senza risparmio di colpi con qualsiasi tempo, le strade erano instancabilmente percorse da giovani donne in bicicletta, a piedi o con i pochissimi automezzi in transito, tenevano collegate le file dell’organizzazione, trasportavano quintali di stampa e propaganda, guidavano i responsabili, poco pratici dei luoghi, da un estremo all’altro del territorio. Ogni reparto, fino al battaglione, aveva le sue staffette. Il Comando Zona aveva istituito un centro speciale collegamenti alla cui direzione era stata messa IRINA, una giovane piena di entusiasmo e di coraggio proveniente dal movimento cattolico. Senza il prezioso contributo di queste donne che spesso pagarono con i più atroci tormenti la loro dedizione e il loro entusiasmo il movimento non avrebbe potuto vivere…».
Da quando ho lasciato il lavoro nel 1978, ho continuato il mio impegno prima a Roma e poi definitivamente a Belluno dal 1989, nei vari campi del volontariato, nelle Istituzioni le più varie che fanno ricca la nostra provincia. Per dieci anni prima da vice presidente e poi da presidente sono stata impegnata nella Commissione pari opportunità tra uomo e donna della Provincia di Belluno, con alcune ricerche su questo argomento, quella sulle «Donne anziane e madri sole», e quella sui Giovani delle scuole dalle elementari alle medie e alle superiori, promuovendo apposite Borse di studio sull’argomento della parità, che ha avuto successo soprattutto sui giovanissimi i quali mi hanno fatto pensare che una volta cresciuti, il concetto di parità sarà certamente da loro acquisito rendendo inutili per il futuro le Commissioni provinciali e forse anche l’apposito Ministero.
Dalla sua costituzione nei primi anni Cinquanta (la firma del Trattato che costituisce l’U.E. del Carbone e dell’Acciaio è del 18 aprile 1951) il mio impegno è stato profuso anche per le Istituzioni europee dove ho lavorato sia a Lussemburgo che a Strasburgo cercando di coinvolgere anche gli amici nella necessità di dare credito all’Europa Unita. La speranza ancora dura dopo tanti decenni di fiducia nel suo futuro soprattutto nel futuro dei giovani europei. Ma, da quando il suo allargamento dagli iniziali sei Paesi –dove il sogno dell’Europa unita era nel cuore di noi tutti che ci credevamo, come ci insegnava il Presidente del M.F.Europeo Altiero Spinelli -con il quale a quel tempo collaboravo- ora l’iniziale entusiasmo non voglio dire che si sia spento –poi c’è l’Euro, nel bene e nel male, a ricordarcelo ogni giorno!…- ma di certo si è di molto attenuato perché l’allargamento a 27 Paesi ha creato e sta creando parecchie discrasie tra di loro per le inevitabili differenze che esistono e che non si possono eliminare se non con tempi lunghi e con le nuove generazioni. Ma l’entusiasmo iniziale, quale era ai miei tempi, non riesco a vederlo e questo non mi rassicura sul futuro del nostro Continente anche se il ricordo delle due disastrose guerre mondiali dello scorso secolo, ci fa sperare almeno nella Pace. Ma, il resto quale sarà per i nostri figli e nipoti?
Non voglio dimenticare, infine, gli anniversari delle nostre Istituzioni che anche noi partigiani abbiamo contribuito a far nascere: la Repubblica e la Costituzione, il cui testo originale contenuto in un agile libretto (edito dal Senato in questa occasione) che porta la firma del primo Presidente della nostra Repubblica Enrico De Nicola, è sempre con me e quando ne ho il tempo ne rileggo gli articoli, che appartengono ai principi fondamentali (che conosco a memoria) dall’ 1 al 12! Sarebbe buona cosa che la Costituzione fosse studiata nelle scuole di ogni ordine e grado perché darebbe ai giovani quella serie di principi che darebbe loro la chiave per comprendere il passato e per aprire le porte del futuro. Uno strumento il cui innegabile valore –almeno per me ma, spero, per tutti- ci consente di convivere pacificamente con altri popoli senza timori, perché la Costituzione ci accompagna già da sessantanni! Non dimentichiamo le donne elette nella Assemblea Costituente: anche se erano solo 21 sui Costituenti maschi. Ma a 60 anni di distanza la testimonianza di queste dimenticate Costituenti donne che si sono battute per ottenere nella nostra Carta Costituzionale il voto anche per le donne, e i loro risultati appaiono non solo innovativi e profetici, ma ancora attuali, pur in una società dove sono cambiati ancora una volta il lavoro e la famiglia, la quotidianità e il tempo libero. Rimane però la conquista della parità, purtroppo, non ancora del tutto realizzata. Ogni donna che come me ha avuto il privilegio di essere chiamata a votare per la prima volta nel Referendum istituzionale –Monarchia o Repubblica- verrà ricordato da ciascuna per l’emozione vivissima che ci prese una volta entrate nella cabina elettorale! La data epocale, quella del 2 giugno 1946, sarà per sempre associata ad un volto femminile: quello sorridente che a quel tempo campeggiava nei molti giornali italiani con dei sottotitoli emblematici come quello del Corriere della Srra: «È nata la Repubblica italiana e rinasce l’Italia», un atto di fede nelle donne, nella loro concretezza per contribuire alla ricostruzione del nostro Paese, mentre quello della D.C., che raffigurava una donna anziana, affermava «che la guerra non ci sarebbe stata se le donne avessero potuto decidere del destino del nostro Paese», come sicuramente è avvenuto nella scelta istituzionale, Repubblica e non Monarchia, anche perché tra gli elettori le donne erano in maggioranza: hanno votato in 14 milioni cioè il 53 per cento!
Credo di aver ricordato questa sera tanta parte della mia vita che è anche quella di tutti gli italiani, nella memoria che ha dato origine a questa serie di iniziative a ricordo di un Patriota quale è stato Odoardo Focherini!
Vorrei concludere con la citazione della pagina conclusiva del libro del Maggiore inglese Harold William Tilman , vissuto con la sua Missione dall’autunno ’44 e fino alla Liberazione, tra le nostre montagne, con un vostro illustre concittadino Vittorio Gozzer –che trovò, dopo tanto eroismo nella lotta partigiana, tragica fine proprio a Belluno una sera di pochi anni or sono e che era il loro coraggioso interprete-. Il titolo di questo libro, che lascio in dono alla Biblioteca di Pejo, è stato tratto da un verso del poeta inglese William Blake: «Quando gli uomini e le montagne si incontrano», uscito nella primavera del 1946, scritto a caldo non appena finita la guerra. In esso sottolineava che era appropriato e si accordava con la tradizione di coloro che avevano amorevolmente conservato nei loro cuori la scintilla della libertà, avessero dovuto vivere gran parte della loro dura lotta sulle vette dei loro montagnosi paesi. (lettura da pag. 74, ultimo capoverso, e fino alla fine pag. 75 – voce Rinaldo Delpero)

Grazie! Ester Riposi
Trascrizione brano “da antologia” sui partigiani.
Da: «Missione SIMIA: Harold W. Tilman: un maggiore inglese tra i partigiani» di Harold William TILMAN, presentazione di Vittorio Gozzer, versione italiana di Ester Cason Angelini; Belluno: Comune di Belluno, Istituto storico bellunese della Resistenza, 1981; 82 p.; estatto dalle pag. 74-75, ultime due del testo di Tilman.

«Esprimere un giudizio ben ponderato sui meriti dei partigiani è semplicemente render loro giustizia, dato che in alcuni paesi liberati, e in grado minore anche in Italia, le azioni scriteriate di alcuni hanno offuscato la reputazione dell’intero movimento di resistenza. È generalmente accettato, immagino, il fatto che la rapidità e totalità della disfatta tedesca in Italia siano dovute in non piccola misura ai partigiani. (…) Per 18 mesi il movimento era stato come una piaga purulenta nel fianco dei Tedeschi e dei fascisti, e, inoltre, aveva dato prova di una perspicacia inestimabile, aveva sostenuto migliaia di nostri prigionieri e aiutato centinaia di aviatori a fuggire. (…)
Molto diversa era la qualità delle varie brigate e battaglioni. Com’è naturalmente, in un esercito irregolare, improvvisato, senza addestramento, né tradizione, quasi tutto dipende dalle capacità individuali dei capi. In alcune unità, la cura delle armi era eccellente, in altre pessima. Alcuni uomini erano coraggiosi fino ad essere temerari, altri il contrario. Come i nostri soldati, anche se più a proposito e con maggiori giustificazioni, essi credevano ad ogni voce che correva. Esageravano con molta approssimazione le perdite loro e quelle del nemico, soprattutto queste ultime. Nessun rastrellamento, a loro dire, fu mai portato a termine con meno di parecchie migliaia di Tedeschi, che invariabilmente subivano perdite dell’ordine delle centinaia. Anche molti capi si lasciavano andare a questi errori, e, sconsideratamente, passavano notizie improbabili o chiaramente false.
Ma, quando ricordo questi errori di poca importanza, per nulla peculiari dei partigiani in quanto tali, devo anche ricordare le condizioni in cui operarono, che sono, queste sì, specifiche dei soli partigiani. Un italiano, che diventava partigiano, doveva sopportare maggiori durezze di vita e correre rischi ben più grandi di quelli a cui andavano incontro le truppe regolari. La cattura significava quasi invariabilmente morte, con la probabilità di essere torturati prima ed impiccati dopo. Se i partigiani restavano gravemente feriti, le possibilità di salvarsi erano scarse, mentre per quelli che ce la facevano, l’assistenza era rozza, anche se pronta.
Un’azione riuscita di solito significava rappresaglie, durante le quali amici o parenti potevano esser fucilati, impiccati e, nel migliore dei casi, imprigionati, e le loro case e paesi bruciati. Il cibo era sempre quello, i vestiti insufficienti, le scarpe malandate, la pulizia quasi impossibile. Non potevano avere divertimenti, ricevere una paga, licenze o posta da casa; gli unici giornali che potevano leggere erano fascisti; non c’erano cantine, sigarette e tabacco erano rari o irraggiungibili. Non c’erano esercitazioni organizzate e neppure abbastanza lavoro per combattere la noia di lunghe settimane di attesa e inattività. In breve, tutto quel che rende tollerabile la vita del soldato regolare, che gli tien su il morale in momenti di calma e che in battaglia gli dà una possibilità ragionevole di sopravvivenza, mancava totalmente nella vita del partigiano. E non è tutto. Non esistevano periodi di riposo per i partigiani. Essi vivevano nell’ansia continua di essere scoperti, traditi o attaccati; i G.A.P., che vivevano nei paesi, non osavano mai dormire nelle case. E più gravi di tutto forse erano i timori e le gelosie a sfondo politico, che esistevano perfino all’interno della propria formazione, ed il sospetto che la fine della guerra potesse rappresentare per loro soltanto l’inizio di nuove lotte politiche.
È solo tenendo presente tutto questo, che si può esprimere un giudizio sui partigiani. Senza un Garibaldi che li ispirasse con il suo coraggio intrepido ed indomabile, gli uomini del nord Italia presero la direzione ch’egli avrebbe preso, nei termini ch’egli stesso aveva proposto, a suo tempo, ai loro antenati: -Non offro paga né alloggio, né viveri: io offro fame, sete, marce forzate, battaglia e morte. Queste furono le condizioni nelle quali essi prestarono il loro servizio. Il fatto che siano rimasti indissolubilmente uniti durante i duri mesi invernali, e che siano stati capaci e disposti a dare il meglio di sé, quando venne il momento, può darci un’idea della loro risolutezza , dello spirito di sacrificio, del patriottismo, e del loro riacceso ardore per la causa della libertà».

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